L'indiano Piscine Molitor Patel (detto Pi) racconta la sua vita, e di come sia sopravvissuto ad un naufragio in compagnia di una tigre del Bengala, ad uno scrittore canadese.
L'affascinante romanzo di Yann Martel viene trasposto in modo puntuale da Ang Lee in un film che lo banalizza e, nonostante l'accurata messa in scena e la profusione di effetti speciali, non conquista l'anima dello spettatore. Arduo compito quello di raccontare per immagini un'affabulazione ricca di invenzioni, simboli e inverosimiglianze, che regge sulla carta ma molto meno sullo schermo. Per combattere la noia di mostrare un giovane e una tigre in mezzo all'oceano per gran parte del film, Lee riempie le sequenze di cieli pittorici, mari di specchio, tempeste spettacolari, luminescenze notturne, balene e pesci volanti, grandi sforzi visivi ma senza poesia. La grande fiaba allegorica di Martel viene sacrificata al dio della visione iperrealista, nuocendo irrimediabilmente alla sua anima delicata e fantastica. Forse era meglio farne un cartone animato.
Life of Pi (Cina / USA, 2012)
Un film di Ang Lee.
Con Suraj Sharma, Irrfan Khan, Tabu, Rafe Spall, Gérard Depardieu.
Durata 127 min.
venerdì 21 dicembre 2012
martedì 13 novembre 2012
Salvati dalla fantascienza
Teheran, 1979. Il popolo si rivolta, lo Scià scappa con la cassa negli USA e l'ambasciata americana viene assaltata e tutti gli occupanti presi in ostaggio. Tranne cinque, che si rifugiano in casa dell'ambasciatore canadese. Tony Mendez (Ben Affleck), agente della CIA, li deve riportare a casa. Lo fa con il piano più incredibile che si possa immaginare: spacciarli per una troupe di un film di fantascienza.
Argo è un solido e accurato film di storia contemporanea, dall'impianto tradizionale, che narra fatti veri senza diventare troppo didascalico ed evitando di semplificare troppo. Non nasconde le porcate della CIA in Iran e non dipinge i rivoltosi come degli stupidi fanatici, ma restituisce bene il clima di quegli anni, con una messa in scena eccellente, una sceneggiatura ben oliata e un ritmo serrato. Assolutamente strepitosa la prima parte hollywoodiana, con l'irresistibile coppia John Goodman & Alan Arkin, che si divide un fuoco di fila di battute sul mondo del cinema tra il sarcastico e il cinico.
Lo strampalato e geniale piano fa da contraltare alla maniacale determinazione con cui le Guardie della Rivoluzione si dedicano alla caccia all'americano (vedi la scena con i ragazzini che ricostruiscono striscia per striscia le foto del personale diplomatico finite nel tritatutto). E mentre dalla parte iraniana abbiamo manifestazioni di violenza spesso brutali, gli USA – almeno stavolta – non rispondono con le bombe, ma con la fantasia e senza spargimenti di sangue. Il nemico viene battuto dalla più formidabile macchina da guerra (culturale) americana: Hollywood.
Un film di intelligente intrattenimento firmato dal sempre più bravo Ben Affleck e prodotto da Clooney. Da vedere.
Argo (USA, 2012)
Un film di Ben Affleck.
Con Ben Affleck, Bryan Cranston, Alan Arkin, John Goodman, Victor Garber.
Durata 120 min.
Argo è un solido e accurato film di storia contemporanea, dall'impianto tradizionale, che narra fatti veri senza diventare troppo didascalico ed evitando di semplificare troppo. Non nasconde le porcate della CIA in Iran e non dipinge i rivoltosi come degli stupidi fanatici, ma restituisce bene il clima di quegli anni, con una messa in scena eccellente, una sceneggiatura ben oliata e un ritmo serrato. Assolutamente strepitosa la prima parte hollywoodiana, con l'irresistibile coppia John Goodman & Alan Arkin, che si divide un fuoco di fila di battute sul mondo del cinema tra il sarcastico e il cinico.
Lo strampalato e geniale piano fa da contraltare alla maniacale determinazione con cui le Guardie della Rivoluzione si dedicano alla caccia all'americano (vedi la scena con i ragazzini che ricostruiscono striscia per striscia le foto del personale diplomatico finite nel tritatutto). E mentre dalla parte iraniana abbiamo manifestazioni di violenza spesso brutali, gli USA – almeno stavolta – non rispondono con le bombe, ma con la fantasia e senza spargimenti di sangue. Il nemico viene battuto dalla più formidabile macchina da guerra (culturale) americana: Hollywood.
Un film di intelligente intrattenimento firmato dal sempre più bravo Ben Affleck e prodotto da Clooney. Da vedere.
Argo (USA, 2012)
Un film di Ben Affleck.
Con Ben Affleck, Bryan Cranston, Alan Arkin, John Goodman, Victor Garber.
Durata 120 min.
mercoledì 7 novembre 2012
Il passato non muore mai
Yokohama, 1963. Due liceali s'incontrano durante la lotta per salvare il Quartier Latin, un vecchio affascinante edificio sede di varie associazioni scolastiche, destinato alla demolizione. Tra la dolce Umi e il volitivo Shun nasce qualcosa, ma la rivelazione di un inaspettato segreto sul loro passato sconvolgerà le loro vite.
Il secondo lungometraggio di Miyazaki jr. è un elegiaco omaggio al Giappone di ieri, incentrato sull'importanza del rispetto per il passato, perfettamente simboleggiato dalla battaglia per salvare un fatiscente ma splendido palazzo dalla distruzione. È interessante notare come la lotta venga portata avanti dagli studenti, nell'apparente disinteresse del corpo docente. Questi giovani – nati nel dopoguerra – sembrano più interessati e rispettosi del passato che gli adulti e lo loro contestazione studentesca (che anticipa il '68) sembra diametralmente opposta a quella occidentale.
A questo tema s'intreccia quello intimo della tenera storia tra Umi e Shun, che attraversa tutto il film senza mai sbocciare veramente, una storia d'amore delicata, totalmente priva di tensioni sessuali, e che resta aperta nel finale.
Goro Miyazaki riproduce meticolosamente e con affettuosa nostalgia un Giappone che lui non ha mai visto (è nato nel 1967), perfettamente in linea con la consueta cura delle produzioni Ghibli. Però il film è più vicino a certi lavori "minori" dello Studio (come il delizioso I sospiri del mio cuore di Yoshifumi Kondō) che ai capolavori di Miyazaki padre, privo com'è di qualsiasi slancio poetico e/o geniale. Per estimatori e amanti del Giappone.
La collina dei papaveri (Kokuriko-Zaka Kara, Giappone, 2011)
Un film di Goro Miyazaki.
Durata 91 min.
giovedì 1 novembre 2012
Chi muore si rivede
Bond muore prima dei titoli di testa, ma poi risorge per combattere la sua nemesi (l'ex-agente Silva), che ha sferrato un attacco al cuore dell'MI6.
Il nuovo episodio del reboot "adulto" del marchio 007 segna un ritorno in grande stile di Bond, dopo la parentesi noiosa e cervellotica di Quantum of Solace. C'è più azione, più profondità e umanità nei personaggi – a partire da un Bond sofferente e un po' in disarmo (come in Mai dire mai) – e una trama dagli echi da tragedia greca, incentrata sul triangolo Bond, Silva ed M, tutto morte, colpa, tradimento e vendetta. Raoul Silva (uno straordinario villain reso perfettamente da Javier Bardem) come 007, ha pagato cara una decisione presa da M e torna per vendicarsi, mentre Bond "ritorna dalla morte" per soccorrerla. Entrambi sono due superstiti, due facce della stessa medaglia, due figli che M (come Medea) non ha avuto problemi a sacrificare. Il duetto tra Bond e Silva – con tanto di sottintesi omoreotici – da solo vale il biglietto e azzera anni di torture sadiche subite da 007 con stoicismo maschio.
Skyfall probabilmente è il film più ambizioso e più colto della nuova serie, grazie a una sceneggiatura efficiente, una fotografia splendida e la efficace regia di Sam Mendes, uno che non arriva dagli action-movies, ma da opere raffinate e intelligenti come American Beauty o Revolutionary Road.
Dunque un film maturo e visivamente ricercato (si vedano le futuristiche sequenze di Shanghai, quelle sull'isola fantasma e le scene finali, cupe e – coraggiosamente - al limite della visibilità, ambientate in Scozia), ma che non lesina né sul puro divertimento fracassone, né sugli affettuosi omaggi ai cliché della saga nel suo cinquantenario dalla nascita. Lunga vita a 007!
Skyfall (USA / Gran Bretagna, 2012)
Un film di Sam Mendes.
Con Daniel Craig, Judi Dench, Javier Bardem, Ralph Fiennes, Naomie Harris.
Durata 143 min.
Il nuovo episodio del reboot "adulto" del marchio 007 segna un ritorno in grande stile di Bond, dopo la parentesi noiosa e cervellotica di Quantum of Solace. C'è più azione, più profondità e umanità nei personaggi – a partire da un Bond sofferente e un po' in disarmo (come in Mai dire mai) – e una trama dagli echi da tragedia greca, incentrata sul triangolo Bond, Silva ed M, tutto morte, colpa, tradimento e vendetta. Raoul Silva (uno straordinario villain reso perfettamente da Javier Bardem) come 007, ha pagato cara una decisione presa da M e torna per vendicarsi, mentre Bond "ritorna dalla morte" per soccorrerla. Entrambi sono due superstiti, due facce della stessa medaglia, due figli che M (come Medea) non ha avuto problemi a sacrificare. Il duetto tra Bond e Silva – con tanto di sottintesi omoreotici – da solo vale il biglietto e azzera anni di torture sadiche subite da 007 con stoicismo maschio.
Skyfall probabilmente è il film più ambizioso e più colto della nuova serie, grazie a una sceneggiatura efficiente, una fotografia splendida e la efficace regia di Sam Mendes, uno che non arriva dagli action-movies, ma da opere raffinate e intelligenti come American Beauty o Revolutionary Road.
Dunque un film maturo e visivamente ricercato (si vedano le futuristiche sequenze di Shanghai, quelle sull'isola fantasma e le scene finali, cupe e – coraggiosamente - al limite della visibilità, ambientate in Scozia), ma che non lesina né sul puro divertimento fracassone, né sugli affettuosi omaggi ai cliché della saga nel suo cinquantenario dalla nascita. Lunga vita a 007!
Skyfall (USA / Gran Bretagna, 2012)
Un film di Sam Mendes.
Con Daniel Craig, Judi Dench, Javier Bardem, Ralph Fiennes, Naomie Harris.
Durata 143 min.
martedì 30 ottobre 2012
Povera patria
Michele Spagnolo (un Michele Placido in ottima forma) è un potente esponente del centrodestra, che dopo un ictus si ritrova a dire sempre la verità, con conseguenze catastrofiche per la sua carriera politica ma benefiche per i suoi tre (raccomandatissimi) figli.
La seconda pellicola dell'ottimo Massimiliano Bruno (bravo autore teatrale, sceneggiatore nonché indimenticato comico becero in Boris) è un ambizioso affresco sull'Italia contemporanea. È un coraggioso tentativo – arduo – di superare con la satira le cronache sul malcostume politico odierno, ormai ben oltre i confini della realtà. Ma per fortuna il regista non si sofferma solo sui facili strali morali e cerca di dare un po' di spessore a questo riuscito film corale, che s'inserisce nel glorioso filone della miglior commedia italiana del passato, capace di far ridere senza smettere di pensare. La pellicola mescola facili gag (come la totale mancanza di controllo del linguaggio di Spagnolo) con momenti di cinema alto: Spagnolo che vaga tra gli scontri di piazza a Roma sulle note stranianti di Italia cantata da Reitano; la sua agghiacciante confessione tra le macerie de L'Aquila. Bruno cerca di veicolare, in mezzo allo sfacelo che ci mostra, un barlume di speranza: cambiare si può ed è, a questo punto, necessario. Il film lo esemplifica con la parabola delle vicende personali dei tre figli di Spagnolo, ma il discorso finale di quest'ultimo investe direttamente anche noi spettatori. Se l'Italia può cambiare (in meglio) dipende solo da noi. Perché un giorno la lettura degli articoli della nostra Costituzione – come appare negli intermezzi del film – non sia più un momento di umorismo amaro e grottesco. Viva l'Italia?
Viva l'Italia (Italia, 2012)
Un film di Massimiliano Bruno.
Con Raoul Bova, Michele Placido, Alessandro Gassman, Rocco Papaleo, Edoardo Leo, Ambra Angiolini, Maurizio Mattioli, Elena Cucci.
Durata: 111 min.
La seconda pellicola dell'ottimo Massimiliano Bruno (bravo autore teatrale, sceneggiatore nonché indimenticato comico becero in Boris) è un ambizioso affresco sull'Italia contemporanea. È un coraggioso tentativo – arduo – di superare con la satira le cronache sul malcostume politico odierno, ormai ben oltre i confini della realtà. Ma per fortuna il regista non si sofferma solo sui facili strali morali e cerca di dare un po' di spessore a questo riuscito film corale, che s'inserisce nel glorioso filone della miglior commedia italiana del passato, capace di far ridere senza smettere di pensare. La pellicola mescola facili gag (come la totale mancanza di controllo del linguaggio di Spagnolo) con momenti di cinema alto: Spagnolo che vaga tra gli scontri di piazza a Roma sulle note stranianti di Italia cantata da Reitano; la sua agghiacciante confessione tra le macerie de L'Aquila. Bruno cerca di veicolare, in mezzo allo sfacelo che ci mostra, un barlume di speranza: cambiare si può ed è, a questo punto, necessario. Il film lo esemplifica con la parabola delle vicende personali dei tre figli di Spagnolo, ma il discorso finale di quest'ultimo investe direttamente anche noi spettatori. Se l'Italia può cambiare (in meglio) dipende solo da noi. Perché un giorno la lettura degli articoli della nostra Costituzione – come appare negli intermezzi del film – non sia più un momento di umorismo amaro e grottesco. Viva l'Italia?
Viva l'Italia (Italia, 2012)
Un film di Massimiliano Bruno.
Con Raoul Bova, Michele Placido, Alessandro Gassman, Rocco Papaleo, Edoardo Leo, Ambra Angiolini, Maurizio Mattioli, Elena Cucci.
Durata: 111 min.
domenica 21 ottobre 2012
Belle statuine
Le vicissitudini di vari personaggi s'intrecciano in una grande città del nord, nell'intento di restituire un affresco dell'Italia contemporanea, tra vite comuni e considerazioni amare sullo stato del Paese.
È un film che ha due anime: quella più realista e intima, narrata con il tono lieve della commedia (gli scorci di vita quotidiana dei protagonisti) e quella più impegnata e pretenziosa dai toni simbolici e didascalici (le statue dei Grandi Italiani che – attonite – commentano sconsolate il degrado morale del nostro Paese). La parte migliore del film è del primo tipo, grazie anche alla presenza di un buon cast (il migliore è Mastandrea), se si sorvola sul gusto di Soldini nel mettere in scena sempre almeno un personaggio stravagante (stavolta quello più strano è l'Amanzio di Battiston). Escludendo gli intermezzi "alti" con le statue, Il comandante e la cicogna è una commedia godibile, a tratti piuttosto divertente, ma appesantita da una volontà di fare cinema impegnato e/o poetico un po' troppo esibita. Il freak Amanzio che parla per citazioni e il ragazzino che fa domande poetiche e nutre una cicogna finiscono per essere artificiosi come le statue parlanti. E l'uso maldestro degli effetti speciali non aiuta (la fintissima corsa in bici, le statue che si animano). Siamo lontani dalla freschezza briosa e un po' lunare di Pane e tulipani (la sua commedia più fortunata), ma anche dal rigore minimale di Cosa voglio di più (il suo più recente film drammatico). L'Italia odierna viene raccontata meglio altrove (vedi, ad esempio, Reality).
Il comandante e la cicogna (Italia, Svizzera, Francia, 2012)
Un film di Silvio Soldini.
Con Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, Giuseppe Battiston, Claudia Gerini, Luca Zingaretti.
Durata 108 min. - Italia, Svizzera, Francia 2012
È un film che ha due anime: quella più realista e intima, narrata con il tono lieve della commedia (gli scorci di vita quotidiana dei protagonisti) e quella più impegnata e pretenziosa dai toni simbolici e didascalici (le statue dei Grandi Italiani che – attonite – commentano sconsolate il degrado morale del nostro Paese). La parte migliore del film è del primo tipo, grazie anche alla presenza di un buon cast (il migliore è Mastandrea), se si sorvola sul gusto di Soldini nel mettere in scena sempre almeno un personaggio stravagante (stavolta quello più strano è l'Amanzio di Battiston). Escludendo gli intermezzi "alti" con le statue, Il comandante e la cicogna è una commedia godibile, a tratti piuttosto divertente, ma appesantita da una volontà di fare cinema impegnato e/o poetico un po' troppo esibita. Il freak Amanzio che parla per citazioni e il ragazzino che fa domande poetiche e nutre una cicogna finiscono per essere artificiosi come le statue parlanti. E l'uso maldestro degli effetti speciali non aiuta (la fintissima corsa in bici, le statue che si animano). Siamo lontani dalla freschezza briosa e un po' lunare di Pane e tulipani (la sua commedia più fortunata), ma anche dal rigore minimale di Cosa voglio di più (il suo più recente film drammatico). L'Italia odierna viene raccontata meglio altrove (vedi, ad esempio, Reality).
Il comandante e la cicogna (Italia, Svizzera, Francia, 2012)
Un film di Silvio Soldini.
Con Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, Giuseppe Battiston, Claudia Gerini, Luca Zingaretti.
Durata 108 min. - Italia, Svizzera, Francia 2012
martedì 9 ottobre 2012
Neoreality
Il cinema neorealista prendeva gli attori dalla strada per raccontare l'Italia che usciva dalla guerra e da venti anni di fascismo. Reality, per narrare una nazione sotto le macerie di vent'anni di berlusconismo, il suo protagonista (straordinario) lo trova in galera. Quale migliore metafora per narrare la triste parabola del nostro Paese?
Il pescivendolo Luciano, spinto dalla famiglia, fa un provino per il Grande Fratello. Da quel momento non sarà più lo stesso, scivolando in una sorta di Truman Show al contrario.
Matteo Garrone narra in modo magistrale la discesa nella follia di un poveraccio napoletano, attratto dalle sirene della facile celebrità televisiva, che, una volta fallito il suo sogno di partecipare al reality, decide di viverlo a tutti i costi.
Il regista pedina i suoi personaggi tra sfarzosi matrimoni di cattivo gusto e fatiscenti sovraffollati appartamenti, senza giudicarli mai e senza renderli grotteschi. La messa in scena è sempre accurata (la splendida carrellata aerea d'apertura sulla carrozza, il virtuosistico piano sequenza nella piazzetta della pescheria) e le immagini raccontano di più dei dialoghi, che comunque non suonano mai artefatti, grazie ad un cast di straordinaria freschezza e bravura.
Reality è una boccata d'aria nuova per il nostro cinema e riesce a darci un impietoso ritratto dell'Italia contemporanea dove molti falliscono. Reality è anche una riflessione sull'essere e sull'apparire, su realtà e finzione, un apologo sulla perdita di qualsiasi capacità di costruirsi un futuro sano e duraturo, contrappuntato dalla splendida partitura fiabesca di Desplat (sempre in bilico tra Morricone e Elfman).
Matteo Garrone fa ben sperare per le sorti del moribondo cinema italiano. Gran Premio della Giuria all'ultimo Festival di Cannes. Da vedere (al cinema ovviamente).
Reality (Italia, 2012)
Un film di Matteo Garrone.
Con Aniello Arena, Loredana Simioli, Nando Paone, Graziella Marina, Nello Iorio. Durata 115 min.
sabato 15 settembre 2012
Non svegliare l'alien che dorme
C'è un segno che ritorna in reperti di molte civiltà del passato, che sembra un invito ad andare a cercare il pianeta dei nostri creatori, dei misteriosi "ingegneri" alieni. Almeno questo è quello che crede la scienziata Elizabeth Shaw, che convince il magnate Weyland a finanziare una costosissima missione verso il remoto pianeta. Troverà il pianeta e pure gli alieni, belli come un dio greco, ma le cose non andranno come sperava.
Quel vecchio furbone di Ridley Scott confeziona un buon film di fantascienza, spettacolare, visivamente potente, disturbante e spaventoso e con una spruzzata di profondità filosofica che rieccheggia sia 2001 - Odissea nello spazio (il viaggio alla scoperta dell'origine della vita seguendo indizi alieni), sia Blade Runner (il rapporto tra creatura e creatore). Ci sono dei momenti di deja vu, quelli che rimandano ad Alien, ma la trama qui è più articolata e meno perfetta di quel capolavoro fanta-horror. La sceneggiatura ellittica non spiega sempre tutto (e va bene) ma ha il difetto di scivolare in troppe evitabili leggerezze, soprattutto nel tratteggiare alcuni personaggi secondari e in certi snodi narrativi. Colpa forse dello sceneggiatore Damon Lindelof (uno degli autori di Lost), che è più bravo a seminare enigmi che dare risposte coerenti.
Alien era un film da camera, compatto, efficace e senza grandi pretese se non quelle di terrorizzare gli spettatori, mentre questo pseudo-prequel ha grandi ambizioni. Ma alla fine le sequenze migliori sono proprio quelle che in qualche maniera rimandano alle atmosfere angoscianti del capostipite. Una su tutte è la scena dell'auto-aborto di Elizabeth, che vale da sola il prezzo del biglietto. Da ricordare pure tutta la performance di Michael Fassbender nel ruolo dell'ambiguo androide David che, con il suo volto impassibile e le sue azioni imperscrutabili, è di gran lunga il personaggio meglio riuscito del film.
A parte i difetti di sceneggiatura citati, il film coinvolge, spaventa e meraviglia e piacerà agli amanti del genere, a patto di non aspettarsi troppo. Credo che i rimandi alla saga di Alien alla fine siano più dannosi che utili al film e si capisce perché il regista non ami definire Prometheus un prequel. Tra l'altro, il mitico alieno bavoso di Giger appare per pochi secondi solo a film già finito, tanto che la scena sembra attaccata con lo sputo e aggiunta solo per preannunciare – forse – una ripresa della saga.
Prometheus (USA / Gran Bretagna, 2012)
Un film di Ridley Scott.
Con Noomi Rapace, Michael Fassbender, Guy Pearce, Idris Elba, Logan Marshall-Green
Durata 124 min.
Quel vecchio furbone di Ridley Scott confeziona un buon film di fantascienza, spettacolare, visivamente potente, disturbante e spaventoso e con una spruzzata di profondità filosofica che rieccheggia sia 2001 - Odissea nello spazio (il viaggio alla scoperta dell'origine della vita seguendo indizi alieni), sia Blade Runner (il rapporto tra creatura e creatore). Ci sono dei momenti di deja vu, quelli che rimandano ad Alien, ma la trama qui è più articolata e meno perfetta di quel capolavoro fanta-horror. La sceneggiatura ellittica non spiega sempre tutto (e va bene) ma ha il difetto di scivolare in troppe evitabili leggerezze, soprattutto nel tratteggiare alcuni personaggi secondari e in certi snodi narrativi. Colpa forse dello sceneggiatore Damon Lindelof (uno degli autori di Lost), che è più bravo a seminare enigmi che dare risposte coerenti.
Alien era un film da camera, compatto, efficace e senza grandi pretese se non quelle di terrorizzare gli spettatori, mentre questo pseudo-prequel ha grandi ambizioni. Ma alla fine le sequenze migliori sono proprio quelle che in qualche maniera rimandano alle atmosfere angoscianti del capostipite. Una su tutte è la scena dell'auto-aborto di Elizabeth, che vale da sola il prezzo del biglietto. Da ricordare pure tutta la performance di Michael Fassbender nel ruolo dell'ambiguo androide David che, con il suo volto impassibile e le sue azioni imperscrutabili, è di gran lunga il personaggio meglio riuscito del film.
A parte i difetti di sceneggiatura citati, il film coinvolge, spaventa e meraviglia e piacerà agli amanti del genere, a patto di non aspettarsi troppo. Credo che i rimandi alla saga di Alien alla fine siano più dannosi che utili al film e si capisce perché il regista non ami definire Prometheus un prequel. Tra l'altro, il mitico alieno bavoso di Giger appare per pochi secondi solo a film già finito, tanto che la scena sembra attaccata con lo sputo e aggiunta solo per preannunciare – forse – una ripresa della saga.
Prometheus (USA / Gran Bretagna, 2012)
Un film di Ridley Scott.
Con Noomi Rapace, Michael Fassbender, Guy Pearce, Idris Elba, Logan Marshall-Green
Durata 124 min.
Un diavolo per capello
C'era una volta in Scozia una giovane principessa, orgogliosa e ribelle, che voleva sfuggire ad un matrimonio combinato dalla madre. Per evitarlo si rivolse ad una strega imbranata. Finì in grossi guai.
Nel nuovo progetto Pixar ci sono paesaggi sfolgoranti, ritmo sostenuto e una protagonista con una capigliatura che sarà stata un incubo per gli animatori, ma purtroppo è assente l'ingrediente fondamentale dei precedenti film: una storia che colpisca al cuore. La qualità tecnica è – come sempre – elevatissima, la sceneggiatura brillante, ricca di gag divertenti e con una grande cura nella caratterizzazione dei personaggi (stupefacenti i passaggi espressivi della "mamma orsa" da umana a bestia, simpatici i tre fratellini terribili in stile Katzenjammer Kids). La trama però è un po' banalotta, con insegnamenti morali ovvi, quasi da vecchio cartone Disney, e comunque lontana anni luce dalla profondità e dalla poesia di Wall-E o di Up. Non un film brutto ma sicuramente un passo indietro rispetto ai capolavori sopraccitati.
Brave (USA, 2012)
Un film di Mark Andrews.
Con (voci originali) Reese Witherspoon, Emma Thompson, Billy Connolly, Julie Walters, Kevin McKidd.
Durata 93 min.
Nel nuovo progetto Pixar ci sono paesaggi sfolgoranti, ritmo sostenuto e una protagonista con una capigliatura che sarà stata un incubo per gli animatori, ma purtroppo è assente l'ingrediente fondamentale dei precedenti film: una storia che colpisca al cuore. La qualità tecnica è – come sempre – elevatissima, la sceneggiatura brillante, ricca di gag divertenti e con una grande cura nella caratterizzazione dei personaggi (stupefacenti i passaggi espressivi della "mamma orsa" da umana a bestia, simpatici i tre fratellini terribili in stile Katzenjammer Kids). La trama però è un po' banalotta, con insegnamenti morali ovvi, quasi da vecchio cartone Disney, e comunque lontana anni luce dalla profondità e dalla poesia di Wall-E o di Up. Non un film brutto ma sicuramente un passo indietro rispetto ai capolavori sopraccitati.
Brave (USA, 2012)
Un film di Mark Andrews.
Con (voci originali) Reese Witherspoon, Emma Thompson, Billy Connolly, Julie Walters, Kevin McKidd.
Durata 93 min.
giovedì 13 settembre 2012
Sono gay sono gay
Piccola commedia italiana sul coming out che, partendo da uno spunto minimale e abbastanza ozpetekiano (il figlio gay che decide di rivelarsi durante una cena di famiglia), svolge il tema in maniera gradevole e piuttosto divertente.
Bravo il giovane protagonista Josafat Vagni (Mattia) e il resto del cast, che comprende Monica Guerritore e Ninni Bruschetta (i genitori), l'esilarante cognato Andrea Rivera e l'amico drag queen Francesco Montanari. Peccato solo che alcune figure di contorno risultino un po' artificiose e macchiettistiche (la peggiore è la nonna maniaca dell'igiene tipo Howard Hughes).
La narrazione in prima persona comprende dei flashback che ci raccontano vari episodi lungo la strada della presa di coscienza dell'essere gay di Mattia, fino all'arrivo del primo amore e del conseguente problema di dirlo alla famiglia. Il tono è sempre leggero e ironico ma il colpo di scena nel pre-finale scioglie i patemi del protagonista in modo un po' troppo ottimistico e svacca nell'happy ending più mieloso, che stona un po' con il resto del film. Forse ci voleva più di coraggio, comunque un ottimo film d'esordio, divertente e mai volgare.
Come non detto (Italia, 2012)
Un film di Ivan Silvestrini
Con Josafat Vagni, Monica Guerritore, Francesco Montanari, Ninni Bruschetta, Valentina Correani.
Durata 90 min.
Bravo il giovane protagonista Josafat Vagni (Mattia) e il resto del cast, che comprende Monica Guerritore e Ninni Bruschetta (i genitori), l'esilarante cognato Andrea Rivera e l'amico drag queen Francesco Montanari. Peccato solo che alcune figure di contorno risultino un po' artificiose e macchiettistiche (la peggiore è la nonna maniaca dell'igiene tipo Howard Hughes).
La narrazione in prima persona comprende dei flashback che ci raccontano vari episodi lungo la strada della presa di coscienza dell'essere gay di Mattia, fino all'arrivo del primo amore e del conseguente problema di dirlo alla famiglia. Il tono è sempre leggero e ironico ma il colpo di scena nel pre-finale scioglie i patemi del protagonista in modo un po' troppo ottimistico e svacca nell'happy ending più mieloso, che stona un po' con il resto del film. Forse ci voleva più di coraggio, comunque un ottimo film d'esordio, divertente e mai volgare.
Come non detto (Italia, 2012)
Un film di Ivan Silvestrini
Con Josafat Vagni, Monica Guerritore, Francesco Montanari, Ninni Bruschetta, Valentina Correani.
Durata 90 min.
domenica 5 agosto 2012
Era una casa tanto carina
Will Atenton si è appena trasferito con la famiglia in un tranquillo sobborgo, ma i vicini sembrano ostili e la nuova casa è stata teatro di una strage familiare. Ma, attenzione, niente è ciò che sembra…
Impossibile dire di più della trama senza fare dei spoiler, anche se i due colpi di scena due sono piuttosto prevedibili e lo stesso meccanismo è stato usato già molte volte (e non dico in quali film se no si capisce tutto – anche se il trailer ufficiale contiene già uno spoiler enorme, che idioti!).
Dream House è una variante del filone casa maledetta, ma gli autori scelgono il versante del thriller psicologico piuttosto che quello del paranormale. È un godibile film di genere, con un cast importante, costruito su buone atmosfere ma smotta un po' nel finale, dove si perde troppo in spiegoni e rovina il clima cupo e angosciante costruito nella prima parte.
C'è da dire che il regista – l'altrove ottimo Jim Sheridan – è stato estromesso e il finale cambiato dal produttore. Risultato: niente promozione da parte del cast per solidarietà col regista, flop in USA e uscita suicida in Italia. Infatti solo fan sfegatate di Daniel Craig possono andare a vederlo al cinema in agosto (e mariti e fidanzati delle suddette). Per fortuna che c'è anche Rachel Weisz. Recuperabile tranquillamente in tv.
Dream House (USA, 2011)
Un film di Jim Sheridan.
Con Naomi Watts, Daniel Craig, Rachel Weisz, Joe Pingue, Mark Wilson.
Durata: 92 min.
Impossibile dire di più della trama senza fare dei spoiler, anche se i due colpi di scena due sono piuttosto prevedibili e lo stesso meccanismo è stato usato già molte volte (e non dico in quali film se no si capisce tutto – anche se il trailer ufficiale contiene già uno spoiler enorme, che idioti!).
Dream House è una variante del filone casa maledetta, ma gli autori scelgono il versante del thriller psicologico piuttosto che quello del paranormale. È un godibile film di genere, con un cast importante, costruito su buone atmosfere ma smotta un po' nel finale, dove si perde troppo in spiegoni e rovina il clima cupo e angosciante costruito nella prima parte.
C'è da dire che il regista – l'altrove ottimo Jim Sheridan – è stato estromesso e il finale cambiato dal produttore. Risultato: niente promozione da parte del cast per solidarietà col regista, flop in USA e uscita suicida in Italia. Infatti solo fan sfegatate di Daniel Craig possono andare a vederlo al cinema in agosto (e mariti e fidanzati delle suddette). Per fortuna che c'è anche Rachel Weisz. Recuperabile tranquillamente in tv.
Dream House (USA, 2011)
Un film di Jim Sheridan.
Con Naomi Watts, Daniel Craig, Rachel Weisz, Joe Pingue, Mark Wilson.
Durata: 92 min.
giovedì 12 luglio 2012
Neve sporca
Versione cupa e sporca della celebre fiaba, che propone un epico scontro tra bene e male, con Biancaneve simbolo di purezza e di vita e la regina malvagia Ravenna incarnazione del male ed emblema di morte. La storia è più o meno quella dei Grimm, con qualche piccola variante, e tutti i passaggi obbligati della favola, compresa mela avvelenata, bacio taumaturgico e uccelli fatati.
Questa versione ha qualche pretesa di realismo in più nella messa in scena rispetto a quella di Tarsem (vedi recensione), seguendo un po' la moda de Il Trono di Spade, ma senza perseguire questa strada fino in fondo. Il realismo è limitato nella rappresentazione degli ambienti, lerci e brutalmente medioevali – con un gusto per l'organico al limite dello schifo, con liquidi e liquami che la fanno da padroni –, ai nani straccioni e ad un eroe ubriacone. Meno convincenti gli aspetti più fantasy, come lo specchio fluido (stile Terminator 2) o il Santuario delle Fate, roba da Disney sotto LSD rifatto da Miyazaki in acido (a proposito: per i debiti piuttosto evidenti con Princess Mononoke si veda Did ‘Snow White and the Huntsman’ steal the forest scene from Princess Mononoke?).
Non sto dicendo che gli effetti speciali e le invenzioni visive siano mal riusciti – la confezione è molto curata ed efficace –, il problema è che ce ne sono troppi e non tutti utili. Sarebbe stato divertente mantenere al minimo il côté fantastico e rileggere la fiaba in chiave ancor più realistica.
Comunque il film è piacevole e la performance di Charlize Theron vale da sola il prezzo del biglietto, perché riesce a incarnare un personaggio estremo e sopra le righe con una naturalezza stupefacente, senza un briciola d'ironia (vedi Julia Roberts) e senza strafare. Tra lei e la Biancaneve di Kristen Stewart non c'è gara, visto che la ragazza ci ammannisce per gran parte del film la sua nota recitazione catatonica, tranne risvegliarsi all'improvviso dal coma verso la fine e guidare il popolo alla rivolta, determinata e combattiva come Giovanna d'Arco. Al che uno legittimamente si chiede: cosa cavolo a bevuto l'eroe che l'ha baciata poco prima, risvegliandola dal suo torpore mortale?
Alla fine della storia, nello scontro tra i due "Biancanevi", per me vince Tarsem, perché risulta più coerente, originale ed eccentrico di questa ultima versione, che però incontrerà più facilmente il favore delle masse.
Snow White and the Huntsman (USA, 2012)
Un film di Rupert Sanders.
Con Kristen Stewart, Charlize Theron, Chris Hemsworth, Sam Claflin, Ian McShane, Bob Hoskins, Ray Winstone, Nick Frost, Toby Jones, Lily Cole.
Durata 127 min.
Questa versione ha qualche pretesa di realismo in più nella messa in scena rispetto a quella di Tarsem (vedi recensione), seguendo un po' la moda de Il Trono di Spade, ma senza perseguire questa strada fino in fondo. Il realismo è limitato nella rappresentazione degli ambienti, lerci e brutalmente medioevali – con un gusto per l'organico al limite dello schifo, con liquidi e liquami che la fanno da padroni –, ai nani straccioni e ad un eroe ubriacone. Meno convincenti gli aspetti più fantasy, come lo specchio fluido (stile Terminator 2) o il Santuario delle Fate, roba da Disney sotto LSD rifatto da Miyazaki in acido (a proposito: per i debiti piuttosto evidenti con Princess Mononoke si veda Did ‘Snow White and the Huntsman’ steal the forest scene from Princess Mononoke?).
Non sto dicendo che gli effetti speciali e le invenzioni visive siano mal riusciti – la confezione è molto curata ed efficace –, il problema è che ce ne sono troppi e non tutti utili. Sarebbe stato divertente mantenere al minimo il côté fantastico e rileggere la fiaba in chiave ancor più realistica.
Comunque il film è piacevole e la performance di Charlize Theron vale da sola il prezzo del biglietto, perché riesce a incarnare un personaggio estremo e sopra le righe con una naturalezza stupefacente, senza un briciola d'ironia (vedi Julia Roberts) e senza strafare. Tra lei e la Biancaneve di Kristen Stewart non c'è gara, visto che la ragazza ci ammannisce per gran parte del film la sua nota recitazione catatonica, tranne risvegliarsi all'improvviso dal coma verso la fine e guidare il popolo alla rivolta, determinata e combattiva come Giovanna d'Arco. Al che uno legittimamente si chiede: cosa cavolo a bevuto l'eroe che l'ha baciata poco prima, risvegliandola dal suo torpore mortale?
Alla fine della storia, nello scontro tra i due "Biancanevi", per me vince Tarsem, perché risulta più coerente, originale ed eccentrico di questa ultima versione, che però incontrerà più facilmente il favore delle masse.
Snow White and the Huntsman (USA, 2012)
Un film di Rupert Sanders.
Con Kristen Stewart, Charlize Theron, Chris Hemsworth, Sam Claflin, Ian McShane, Bob Hoskins, Ray Winstone, Nick Frost, Toby Jones, Lily Cole.
Durata 127 min.
sabato 23 giugno 2012
Rock of Eighties
Versione cinematografica dell'omonimo musical basato su una compilation di celebri brani rock degli anni Ottanta. La recensione va letta a petto nudo e dopo essersi disegnati due colt con la biro sui fianchi altezza reni.
La storia ultrascontata (lei arriva a Los Angeles sognando di fare la cantante, incontra lui che sogna di fare il rocker, s'innamorano, si lasciano, si ritrovano e infine vissero felici rockando e rollando) serve, come ad ogni musical-jukebox che si rispetti, a tenere insieme i vari numeri musicali.
Il regista mette diligentemente in scena senza grandi genialate, ma in modo accattivante e molto ironico – a tratti quasi dissacrante, i miti e i riti del rock. La frizzante sceneggiatura di Justin Theroux (Tropic Thunder, Iron Man) rende scoppiettanti gli intermezzi tra una canzone e l'altra e regala qualche riuscita battuta ad un cast di grande livello. Da segnalare la performance sorprendente di Tom Cruise, che convince nel ruolo dell'inarrivabile mito rock Stacee Jaxx, carismatico, magnetico e strafatto, come un Jim Morrison con il look di Axl Rose (o Steve Tyler). Irresistibile poi il duetto tra Dennis Dupree (Alec Baldwin) e il suo braccio destro, in cui la mielosa "Can't Fight This Feeling" dei Reo Speedwagon viene usata per una dichiarazione di amore omosessuale. Alla fine dei conti un film divertente, pensato per la generazione Glee (con cui condivide l'intramontabile inno dei Journey "Don't stop believin"), ma che può essere apprezzato da tutti gli amanti del genere. I wanna rock!
Rock of Ages (USA, 2012)
Un film di Adam Shankman.
Con Julianne Hough, Diego Boneta, Paul Giamatti, Russell Brand, Mary J. Blige, Malin Akerman, Catherine Zeta-Jones, Alec Baldwin, Tom Cruise.
Durata 123 min.
La storia ultrascontata (lei arriva a Los Angeles sognando di fare la cantante, incontra lui che sogna di fare il rocker, s'innamorano, si lasciano, si ritrovano e infine vissero felici rockando e rollando) serve, come ad ogni musical-jukebox che si rispetti, a tenere insieme i vari numeri musicali.
Il regista mette diligentemente in scena senza grandi genialate, ma in modo accattivante e molto ironico – a tratti quasi dissacrante, i miti e i riti del rock. La frizzante sceneggiatura di Justin Theroux (Tropic Thunder, Iron Man) rende scoppiettanti gli intermezzi tra una canzone e l'altra e regala qualche riuscita battuta ad un cast di grande livello. Da segnalare la performance sorprendente di Tom Cruise, che convince nel ruolo dell'inarrivabile mito rock Stacee Jaxx, carismatico, magnetico e strafatto, come un Jim Morrison con il look di Axl Rose (o Steve Tyler). Irresistibile poi il duetto tra Dennis Dupree (Alec Baldwin) e il suo braccio destro, in cui la mielosa "Can't Fight This Feeling" dei Reo Speedwagon viene usata per una dichiarazione di amore omosessuale. Alla fine dei conti un film divertente, pensato per la generazione Glee (con cui condivide l'intramontabile inno dei Journey "Don't stop believin"), ma che può essere apprezzato da tutti gli amanti del genere. I wanna rock!
Rock of Ages (USA, 2012)
Un film di Adam Shankman.
Con Julianne Hough, Diego Boneta, Paul Giamatti, Russell Brand, Mary J. Blige, Malin Akerman, Catherine Zeta-Jones, Alec Baldwin, Tom Cruise.
Durata 123 min.
giovedì 21 giugno 2012
Everybody needs the Blues Brothers
Una trama che è un canovaccio per infilare numeri musicali strepitosi alternati a disastrosi inseguimenti per le strade di Chicago, questa in sintesi la ricetta di uno dei film più riusciti di John Landis. Recensire un cult come The Blues Brothers a 30 anni dalla sua prima uscita in sala può sembrare superfluo, ma in questi giorni è tornato nei cinema per i cento anni dell'Universal, e molti - me compreso - lo hanno visto per la prima volta sul grande schermo. Nonostante lo conosca a memoria per gli innumerevoli passaggi in tv, vederlo al cinema mi ha fatto comprendere meglio come mai in questi tre decenni è diventato un cult movie. E solo una visione in sala permette di apprezzare la qualità di un film, che, come in molte opere d'arte, sta nei dettagli, piccole sfumature che sul piccolo schermo passano innosservate. Come la cura geometrica con cui Landis presenta il personaggio di Jake (John Belushi) mentre esce dal carcere o la sua apparizione messianica sul portone con l'alba alle spalle che è già puro Cinema (e tutto prima dei titoli di testa!). Cito poi, un po' a caso, l'incontro con la"pinguina", tutto grandangoli e inquadrature fortemente scorciate, gli inseguimenti in soggettiva lungo le vie di Chicago e il parossistico accumulo di autopattuglie che si accatastano come in un opera di Arman. Questo, e mille altri piccoli gioielli di messa in scena, battute impagabili e coreografie perfette, contribuiscono a fare di The Blues Brothers un capolavoro senza tempo, da vedere e rivedere. E si comprende perché il vero Cinema si vede in sala e non in tv o su pc, magari scaricato dal web in bassa qualità. Purtroppo di vero Cinema non c'è ne molto in giro ultimamente e si merita tutta la pirateria che lo affligge.
The Blues Brothers (USA, 1980)
Un film di John Landis.
Dan Aykroyd, John Belushi, Kathleen Freeman, James Brown, Henry Gibson
Carrie Fisher, Cab Calloway, Ray Charles, John Candy, Aretha Franklin
Durata 133 min.
The Blues Brothers (USA, 1980)
Un film di John Landis.
Dan Aykroyd, John Belushi, Kathleen Freeman, James Brown, Henry Gibson
Carrie Fisher, Cab Calloway, Ray Charles, John Candy, Aretha Franklin
Durata 133 min.
lunedì 28 maggio 2012
Back in black
L’agente K viene ucciso nel passato da un feroce alieno
fuggito da una prigione lunare e tornato indietro nel tempo. L’agente J salta
(letteralmente) indietro nel tempo per salvare il suo collega K.
Già con il secondo episodio la freschezza e originalità del
primo film latitavano, con il terzo siamo al minimo sindacale, una specie di
Ritorno al futuro prevedibile e piuttosto scontato. L’idea di spedire l’agente
J negli anni Sessanta, poteva produrre gag a non finire, invece, tranne qualche
sprazzo iniziale, la trama sprofonda nella noia, riciclando a man bassa dai
precedenti film (celebrità come alieni, l’uso del neuralizzatore...). E questo
nonostante la nuova stravagante fauna aliena di Rick Baker, un convincente Josh
Brolin nei panni giovane Agente K e un alieno pentadimensionale che sembra
uscito direttamente dai fumetti di Moebius. Come dice sempre il mio collega
Franz, è triste constatare durante la visione di un film che si hanno idee e
soluzioni migliori di quelle avute dagli sceneggiatori e dal regista. Inutile.
E il 3D è una truffa.
Men in Black III (USA, 2012)
Un film di Barry Sonnenfeld.
Con Will Smith, Tommy Lee Jones, Josh Brolin, Jemaine Clement, Michael Stuhlbarg, Emma Thompson, Sharlto Copley, Alec Baldwin, Gemma Arterton, Betty White, Nicole Scherzinger, Bryan Basil, Lady GaGa, Tim Burton, Justin Bieber, Rip Torn
Durata 105 min.
Un film di Barry Sonnenfeld.
Con Will Smith, Tommy Lee Jones, Josh Brolin, Jemaine Clement, Michael Stuhlbarg, Emma Thompson, Sharlto Copley, Alec Baldwin, Gemma Arterton, Betty White, Nicole Scherzinger, Bryan Basil, Lady GaGa, Tim Burton, Justin Bieber, Rip Torn
Durata 105 min.
lunedì 14 maggio 2012
Donne sull'orlo di una crisi
La mirabolante (e romanzata) invenzione del vibratore nell'Inghilterra di fine Ottocento, tra donne isteriche, medici illuminati e giovani proto-femministe.
Il giovane dottore idealista Mortimer Granville trova lavoro come assistente nello studio del dott. Dalrymple, specialista in cura dell'isteria. Dopo essersi slogato la mano nel "trattamento" delle pazienti, grazie all'amico inventore e mecenate Lord Edmund St. John-Smythe, realizzerà il primo "massaggiatore elettromeccanico". Nel frattempo il bel dottorino avrà modo di invaghirsi di Emma, figlia borghese e conformista del dottore, e di scontrasi con la scarmigliata e impegnata Charlotte, l'altra figlia, ribelle e socialista. Chissà come andrà a finire...
Hysteria è una simpatica commedia (romantica) che a prima vista sembra trattare di un tema curioso e apparentemente irrilevante, ma che riguarda invece la lunga e dura lotta della conquista della parità e della consapevolezza del proprio corpo da parte delle donne.
Nella puritana Inghilterra vittoriana la medicina prescriveva alle donne isteriche un "trattamento" che consisteva in una masturbazione praticata dal medico. L'apparente paradosso si spiega con la totale ignoranza della sessualità femminile. Infatti questa pratica non aveva nulla di erotico e il suo buon fine (l'orgasmo, ma all'epoca veniva chiamato "parossismo isterico") non aveva per i dottori nessun collegamento con il sesso. Le donne isteriche erano solo casalinghe disperate, trascurate dai propri mariti, intrappolate in una vita che non le appaga.
Il film tratta l'argomento scabroso in maniera leggera ed elegante, è ben congegnato, con dialoghi frizzanti e personaggi ben delineati (forse un po' troppo schematici). È una commedia di impianto classico – con una prevedibile storia d'amore e happy end obbligatorio – ma molto divertente e piacevole. Maggie Gyllenhaal veste ancora una volta i panni del personaggio ribelle e anticonformista mentre Rupert Everett (nel ruolo del Lord inventore) fa... Rupert Everett con la barba.
Hysteria (Gran Bretagna, Francia, Germania, 2011)
Un film di Tanya Wexler.
Con Maggie Gyllenhaal, Hugh Dancy, Jonathan Pryce, Rupert Everett, Ashley Jensen.
Durata 100 min.
Il giovane dottore idealista Mortimer Granville trova lavoro come assistente nello studio del dott. Dalrymple, specialista in cura dell'isteria. Dopo essersi slogato la mano nel "trattamento" delle pazienti, grazie all'amico inventore e mecenate Lord Edmund St. John-Smythe, realizzerà il primo "massaggiatore elettromeccanico". Nel frattempo il bel dottorino avrà modo di invaghirsi di Emma, figlia borghese e conformista del dottore, e di scontrasi con la scarmigliata e impegnata Charlotte, l'altra figlia, ribelle e socialista. Chissà come andrà a finire...
Hysteria è una simpatica commedia (romantica) che a prima vista sembra trattare di un tema curioso e apparentemente irrilevante, ma che riguarda invece la lunga e dura lotta della conquista della parità e della consapevolezza del proprio corpo da parte delle donne.
Nella puritana Inghilterra vittoriana la medicina prescriveva alle donne isteriche un "trattamento" che consisteva in una masturbazione praticata dal medico. L'apparente paradosso si spiega con la totale ignoranza della sessualità femminile. Infatti questa pratica non aveva nulla di erotico e il suo buon fine (l'orgasmo, ma all'epoca veniva chiamato "parossismo isterico") non aveva per i dottori nessun collegamento con il sesso. Le donne isteriche erano solo casalinghe disperate, trascurate dai propri mariti, intrappolate in una vita che non le appaga.
Il film tratta l'argomento scabroso in maniera leggera ed elegante, è ben congegnato, con dialoghi frizzanti e personaggi ben delineati (forse un po' troppo schematici). È una commedia di impianto classico – con una prevedibile storia d'amore e happy end obbligatorio – ma molto divertente e piacevole. Maggie Gyllenhaal veste ancora una volta i panni del personaggio ribelle e anticonformista mentre Rupert Everett (nel ruolo del Lord inventore) fa... Rupert Everett con la barba.
Hysteria (Gran Bretagna, Francia, Germania, 2011)
Un film di Tanya Wexler.
Con Maggie Gyllenhaal, Hugh Dancy, Jonathan Pryce, Rupert Everett, Ashley Jensen.
Durata 100 min.
sabato 12 maggio 2012
Dark soap
Barnabas Collins, trasformato in vampiro da una sua amante (strega) respinta, si libera dalla bara in cui è stato rinchiuso per quasi 200 anni. Si ritrova nell'America degli anni Settanta, dove i suoi eredi – ormai in disgrazia – vivacchiano nel maniero degli avi in decadenza. Le cose cambieranno.
Un altro film dalle atmosfere burtoniane doc e un Johnny Depp in un ruolo eccentrico, ma con un andamento molto lento, una recitazione sopra le righe, direi quasi da soap opera d'epoca.
Visivamente curato (come tutti i film di Burton), con una grande attenzione alla fotografia (con citazioni espressioniste) e alla scenografia (l'architettura e gli arredi di casa Collins sono meravigliosi), il film non decolla quasi mai e il finale pirotecnico arriva troppo tardi e troppo scontato. Di buono c'è l'irresistibile eloquio anacronistico di Barnabas, una scena di sesso che sfida la legge di gravità, una simpatica colonna sonora e qualche gag azzeccata. Peccato, perché i presupposti per un film frizzante c'erano tutti, ma a causa di una sceneggiatura modesta, molti spunti non vengono sfruttati fino in fondo. Johnny Depp – e il resto del ragguardevole cast – fanno del loro meglio, senza salvare il film dalla noia.
Dark Shadows ( USA, 2011)
Un film di Tim Burton.
Con Johnny Depp, Michelle Pfeiffer, Helena Bonham Carter, Eva Green, Chloe Moretz, Bella Heathcote, Jonny Lee Miller, Jackie Earle Haley, Christopher Lee, Alice Cooper
durata 140 min.
Un altro film dalle atmosfere burtoniane doc e un Johnny Depp in un ruolo eccentrico, ma con un andamento molto lento, una recitazione sopra le righe, direi quasi da soap opera d'epoca.
Visivamente curato (come tutti i film di Burton), con una grande attenzione alla fotografia (con citazioni espressioniste) e alla scenografia (l'architettura e gli arredi di casa Collins sono meravigliosi), il film non decolla quasi mai e il finale pirotecnico arriva troppo tardi e troppo scontato. Di buono c'è l'irresistibile eloquio anacronistico di Barnabas, una scena di sesso che sfida la legge di gravità, una simpatica colonna sonora e qualche gag azzeccata. Peccato, perché i presupposti per un film frizzante c'erano tutti, ma a causa di una sceneggiatura modesta, molti spunti non vengono sfruttati fino in fondo. Johnny Depp – e il resto del ragguardevole cast – fanno del loro meglio, senza salvare il film dalla noia.
Dark Shadows ( USA, 2011)
Un film di Tim Burton.
Con Johnny Depp, Michelle Pfeiffer, Helena Bonham Carter, Eva Green, Chloe Moretz, Bella Heathcote, Jonny Lee Miller, Jackie Earle Haley, Christopher Lee, Alice Cooper
durata 140 min.
venerdì 4 maggio 2012
Corri ragazza corri
In un futuro post-apocalittico, 12 distretti, macchiatisi in passato di ribellione, devono pagare un tributo alla ricca capitale: 24 giovani (dai 12 ai 18 anni) si dovranno combattere a morte all'interno di uno show televisivo, gli Hunger Games, vero rito collettivo. Solo uno sarà il vincitore. Nel poverissimo distretto 12 la coraggiosa e abile cacciatrice Katniss Everdeeen prende il posto della sorella durante il sorteggio per i "tributi". Indovinate chi vince?
A differenza del simile (ma decisamente più folle) Battle Royale, qui la messa in scena della violenza viene limitata al minimo necessario, nonostante lo scontro all'ultimo sangue tra adolescenti sia il nucleo centrale della trama. Ne esce una pellicola curiosamente retrò, con un'atmosfera da film distopico degli anni Settanta, che è uno dei suoi pregi maggiori. Affascinante è pure il contrasto tra il mondo dei minatori del Distretto 12 (visivamente fermo agli anni della Grande Depressione) e la tecnologia ultra avanzata di Capitol City, una città dall'architettura massiccia e curiosamente orizzontale, dove non mancano gli spazi smisurati amati dai regimi dittatoriali.
Come già detto, il regista non si sofferma sulle scene violente, ma punta più sull'aspetto umano e sentimentale della vicenda, senza del resto perdersi in troppe smancerie. Manca però il bersaglio, perché il ritratto dei protagonisti resta molto superficiale e – spesso – confuso. Così il film scivola senza grandi sorprese verso una fine piuttosto prevedibile. E anche l'arena degli Hunger Games resta uno spazio ambiguo, tra il mega-set fisico e reale del Truman Show e il mondo virtuale di Matrix, dove tutto è possibile. Non si capisce se questa ambiguità sia voluta o è solo disinteresse per gli aspetti più fantascientifici della trama (o, peggio, sciatteria). Stupisce anche lo scarso interesse per il feedback del pubblico, che si intuisce segua morbosamente la mattanza in diretta tv, ma che nel film si vede poco o per nulla, azzerando l'empatia per le azioni della nostra eroina. Insomma, un film molto strano (perché dà l'idea che manchi poco per renderlo migliore) e che stenta ad appassionare veramente lo spettatore, nonostante il cast di prima qualità e un regista che altrove ha dimostrato talento e originalità. Visto che è il primo capitolo di una saga (tratta dai romanzi di Suzanne Collins), è probabile che possa maturare in seguito, soprattutto nella rifinitura dei personaggi. Grande successo in patria.
The Hunger Games (USA, 2012)
Un film di Gary Ross.
Con Lenny Kravitz, Jennifer Lawrence, Elizabeth Banks, Woody Harrelson, Stanley Tucci, Donald Sutherland
Durata 117 min.
A differenza del simile (ma decisamente più folle) Battle Royale, qui la messa in scena della violenza viene limitata al minimo necessario, nonostante lo scontro all'ultimo sangue tra adolescenti sia il nucleo centrale della trama. Ne esce una pellicola curiosamente retrò, con un'atmosfera da film distopico degli anni Settanta, che è uno dei suoi pregi maggiori. Affascinante è pure il contrasto tra il mondo dei minatori del Distretto 12 (visivamente fermo agli anni della Grande Depressione) e la tecnologia ultra avanzata di Capitol City, una città dall'architettura massiccia e curiosamente orizzontale, dove non mancano gli spazi smisurati amati dai regimi dittatoriali.
Come già detto, il regista non si sofferma sulle scene violente, ma punta più sull'aspetto umano e sentimentale della vicenda, senza del resto perdersi in troppe smancerie. Manca però il bersaglio, perché il ritratto dei protagonisti resta molto superficiale e – spesso – confuso. Così il film scivola senza grandi sorprese verso una fine piuttosto prevedibile. E anche l'arena degli Hunger Games resta uno spazio ambiguo, tra il mega-set fisico e reale del Truman Show e il mondo virtuale di Matrix, dove tutto è possibile. Non si capisce se questa ambiguità sia voluta o è solo disinteresse per gli aspetti più fantascientifici della trama (o, peggio, sciatteria). Stupisce anche lo scarso interesse per il feedback del pubblico, che si intuisce segua morbosamente la mattanza in diretta tv, ma che nel film si vede poco o per nulla, azzerando l'empatia per le azioni della nostra eroina. Insomma, un film molto strano (perché dà l'idea che manchi poco per renderlo migliore) e che stenta ad appassionare veramente lo spettatore, nonostante il cast di prima qualità e un regista che altrove ha dimostrato talento e originalità. Visto che è il primo capitolo di una saga (tratta dai romanzi di Suzanne Collins), è probabile che possa maturare in seguito, soprattutto nella rifinitura dei personaggi. Grande successo in patria.
The Hunger Games (USA, 2012)
Un film di Gary Ross.
Con Lenny Kravitz, Jennifer Lawrence, Elizabeth Banks, Woody Harrelson, Stanley Tucci, Donald Sutherland
Durata 117 min.
sabato 14 aprile 2012
La notte dei manganelli
Genova, G8 del 2001. Le grandi manifestazioni popolari del Genova Social Forum vengono funestate dalle devastazioni dei black bloc e dalla morte di Carlo Giuliani. La sera del 21 luglio la polizia, con il pretesto di un'aggressione subita da una pattuglia, fa irruzione alla scuola Diaz, uno dei dormitori dei manifestanti, e massacra di botte un centinaio di persone inermi. Chi non finisce subito in ospedale verrà trasferito alla caserma del Bolzaneto, dove le violenze continueranno per altri tre giorni. Questi i fatti nudi e crudi, che il film ricostruisce sulla base testimonianze del processo (almeno per quanto riguarda le violenze dentro la Diaz).
Diaz - Don't Clean Up This Blood è un film ambizioso, complesso e coraggioso, con un cast imponente e location difficili, che racconta i fatti di Genova con un taglio da reportage di guerra. La macchina da presa è dentro l'azione, le immagini sporche, a volte alternate con quelle di repertorio, il montaggio incalzante, la narrazione secca ma efficace. È un film corale, che sceglie di seguire alcuni personaggi con vicende emblematiche sia dalla parte di manifestanti che dei poliziotti. Il perno narrativo delle varie storie è la bottiglia vuota lanciata contro l'auto della polizia davanti alla Diaz che apre il film. Questa immagine tornerà più volte a segnalare il cambio di punto di vista. All'inizio non lo sappiamo, ma questo episodio quasi banale sarà il pretesto per l'irruzione dentro la scuola. E quello che succede là dentro è roba da dittatura cilena.
Il punto di forza del film – e paradossalmente la sua unica debolezza – è il voler stare ai fatti, l'esser il più possibile neutrale e inattaccabile per le immagini shockanti che da qui in poi proporrà allo spettatore. Ma non fa un passo in più per tentare di spiegare da dove origini questa folle e gratuita violenza, a chi serva e perché si perpetui poi – in modo ancor più ingiustificabile – al Bolzaneto, coinvolgendo centinaia di poliziotti. C'è un mandante politico? E le false prove inventate per giustificare l'irruzione sono state pianificate? E com'è possibile che dei poliziotti si trasformino in sadici aguzzini, torturando per giorni cittadini italiani e stranieri con la sola colpa di esser stati alla Diaz?
Il film ci mostra che sono state fatte a monte delle scelte scellerate riguardo all'ordine pubblico ma non si sforza di spiegarne il motivo. L'unica scelta "politica" fatta dagli autori è di fare questo film, di raccontare un evento gravissimo avvenuto nel nostro Paese e lasciare allo spettatore il giudizio su ciò che ha visto. È condivisibile, ma resta l'urgenza di metter in prospettiva i fatti. Ed è incontrovertibile che il grande movimento civile contro le politiche economiche del G8 è stato massacrato alla Diaz, mentre il perpetuarsi di quelle stesse politiche ci ha portato alla crisi attuale. Alla fine si esce dalla sala pieni di rabbia e sconforto, pensando che la democrazia in Italia è solo una pia illusione ottica che nasconde un rivoltante fascismo e vicende come questa ci fanno vedere la vera faccia del nostro Paese.
Diaz è un film da vedere assolutamente, caso più unico che raro di cinema spettacolare e di grande impegno civile, un'opera preziosa nel desolante panorama del cinema italiano.
Diaz - Don't Clean Up This Blood
Un film di Daniele Vicari (Italia, 2012)
Con Claudio Santamaria, Jennifer Ulrich, Elio Germano, Davide Iacopini, Ralph Amoussou.
Durata 120 min.
Diaz - Don't Clean Up This Blood è un film ambizioso, complesso e coraggioso, con un cast imponente e location difficili, che racconta i fatti di Genova con un taglio da reportage di guerra. La macchina da presa è dentro l'azione, le immagini sporche, a volte alternate con quelle di repertorio, il montaggio incalzante, la narrazione secca ma efficace. È un film corale, che sceglie di seguire alcuni personaggi con vicende emblematiche sia dalla parte di manifestanti che dei poliziotti. Il perno narrativo delle varie storie è la bottiglia vuota lanciata contro l'auto della polizia davanti alla Diaz che apre il film. Questa immagine tornerà più volte a segnalare il cambio di punto di vista. All'inizio non lo sappiamo, ma questo episodio quasi banale sarà il pretesto per l'irruzione dentro la scuola. E quello che succede là dentro è roba da dittatura cilena.
Il punto di forza del film – e paradossalmente la sua unica debolezza – è il voler stare ai fatti, l'esser il più possibile neutrale e inattaccabile per le immagini shockanti che da qui in poi proporrà allo spettatore. Ma non fa un passo in più per tentare di spiegare da dove origini questa folle e gratuita violenza, a chi serva e perché si perpetui poi – in modo ancor più ingiustificabile – al Bolzaneto, coinvolgendo centinaia di poliziotti. C'è un mandante politico? E le false prove inventate per giustificare l'irruzione sono state pianificate? E com'è possibile che dei poliziotti si trasformino in sadici aguzzini, torturando per giorni cittadini italiani e stranieri con la sola colpa di esser stati alla Diaz?
Il film ci mostra che sono state fatte a monte delle scelte scellerate riguardo all'ordine pubblico ma non si sforza di spiegarne il motivo. L'unica scelta "politica" fatta dagli autori è di fare questo film, di raccontare un evento gravissimo avvenuto nel nostro Paese e lasciare allo spettatore il giudizio su ciò che ha visto. È condivisibile, ma resta l'urgenza di metter in prospettiva i fatti. Ed è incontrovertibile che il grande movimento civile contro le politiche economiche del G8 è stato massacrato alla Diaz, mentre il perpetuarsi di quelle stesse politiche ci ha portato alla crisi attuale. Alla fine si esce dalla sala pieni di rabbia e sconforto, pensando che la democrazia in Italia è solo una pia illusione ottica che nasconde un rivoltante fascismo e vicende come questa ci fanno vedere la vera faccia del nostro Paese.
Diaz è un film da vedere assolutamente, caso più unico che raro di cinema spettacolare e di grande impegno civile, un'opera preziosa nel desolante panorama del cinema italiano.
Diaz - Don't Clean Up This Blood
Un film di Daniele Vicari (Italia, 2012)
Con Claudio Santamaria, Jennifer Ulrich, Elio Germano, Davide Iacopini, Ralph Amoussou.
Durata 120 min.
lunedì 9 aprile 2012
Specchio delle mie trame
La fiaba di Biancaneve in salsa post-Shrek, comica ma non ugualmente irriverente. È una versione leggera, dalla quale sono stati tolti tutti gli elementi più paurosi, rendendola più innocua di quella disneyana. L'estro visionario di Tarsem sembra non approfittare di tutte le potenzialità del racconto fantastico e, pur regalandoci una messa in scena fiammeggiante e bizzarra (vedi i cieli pittorici, gli ambienti alla Gaudì, i costumi esagerati di Eiko Ishioka e il mondo oltre lo specchio della regina cattiva), non si avvicina all'eleganza formale e visivamente inventiva delle sue opere precedenti. Buona l'interpretazione autoironica di Julia Roberts nei panni scomodi (in tutti i sensi) della matrigna, un po' meno quella della caramellosa Biancaneve di Lily Collins (perfetta per interpretare Frida Kahlo senza nessun trucco sopraccigliare). I sette nani sono dei banditi dotati di trampoli telescopici e di un set di gag da circo, il principe azzurro è il belloccio un po' tonto, mentre il tirapiedi Brighton è degna spalla comica della regina. Insomma, tutti i personaggi sono stati virati verso la simpatia facendo mancare un vero cattivo e anche la creatura che infesta la foresta nera sembra più un peluche che un orrido mostro.
È una rilettura molto femminile della fiaba, dove gli uomini sono personaggi di contorno, tutti manovrati dalle due donne protagoniste e che trasforma la candida Biancaneve in un eroina combattiva (sulla scia della serie tv C'era una volta e come nel prossimo Biancaneve e il cacciatore).
Biancaneve è il tipico film per tutta la famiglia, dalla confezione curata, ma senza quel non so che (coraggio? follia?) da farlo diventare memorabile. Bello il raffinato prologo animato di Ben Hibbon e il folle momento bollywood sui titoli di coda. Ora aspettiamo la versione della fiaba barbara e violenta con Charlize Theron e Kristen Stewart (in uscita a luglio) per decidere quale ci piace di più.
Mirror Mirror (USA, 2012)
Un film di Tarsem Singh.
Con Julia Roberts, Lily Collins, Armie Hammer, Nathan Lane, Mare Winningham.
Durata 105 min.
È una rilettura molto femminile della fiaba, dove gli uomini sono personaggi di contorno, tutti manovrati dalle due donne protagoniste e che trasforma la candida Biancaneve in un eroina combattiva (sulla scia della serie tv C'era una volta e come nel prossimo Biancaneve e il cacciatore).
Biancaneve è il tipico film per tutta la famiglia, dalla confezione curata, ma senza quel non so che (coraggio? follia?) da farlo diventare memorabile. Bello il raffinato prologo animato di Ben Hibbon e il folle momento bollywood sui titoli di coda. Ora aspettiamo la versione della fiaba barbara e violenta con Charlize Theron e Kristen Stewart (in uscita a luglio) per decidere quale ci piace di più.
Mirror Mirror (USA, 2012)
Un film di Tarsem Singh.
Con Julia Roberts, Lily Collins, Armie Hammer, Nathan Lane, Mare Winningham.
Durata 105 min.
mercoledì 4 aprile 2012
L'Italia del 12 dicembre
Romanzo di una strage è la lucida e tesa narrazione dell'attentato di Piazza Fontana, con i suoi depistaggi, insabbiamenti e comodi capri espiatori. Ne esce un agghiacciante ritratto dell'Italia, un Paese attraversato da profonde tensioni sociali, in cui parti dello Stato (e/o servizi segreti stranieri) pianificano una svolta fascista e autoritaria a suon di attentati da attribuire ad anarchici o comunisti.
Giordana e i suoi sceneggiatori focalizzano la narrazione su tre personaggi (Calabresi, Pinelli, Moro), ma senza perdere d'occhio l'insieme delle forze in gioco, ritraendo uno sconfortante quadro di infiltrazioni, coperture e doppio gioco: alla fine non si capisce più chi manovra chi. Nel film i luoghi del potere sono bui come le cantine degli anarchici, ma il consiglio dei ministri in cui si discute di sospendere la democrazia fa ben più paura dei folcloristici rivoluzionari milanesi.
Come in un puzzle i vari tasselli che Giordana ci presenta s'incastrano perfettamente e anche se per i Tribunali la strage non ha colpevoli, un'idea di chi è stato ce la facciamo lo stesso.
È curioso notare come i tre protagonisti – in modi diversi – finiscano per essere capri espiatori: Pinelli per un attentato non commesso, Calabresi per esser lasciato solo a rispondere della morte di Pinelli stesso, e Moro vittima del clima di violenza nato proprio in quegli anni.
Il film, scandito per capitoli, è avvincente, con ottime interpretazioni (il Moro di Gifuni è più vero del vero), ma forse un po' difficile da seguire per chi non conosce la storia e i protagonisti di quel periodo (ma per informarsi basta una puntata di Blu Notte). È il classico film da proiettare nelle scuole per spiegare il concetto di nazione a sovranità limitata o per capire come mai gli italiani si sentano sempre dei sudditi, carne da macello in giochi ben più grandi di loro. Ma sospetto che nelle scuole non si insegnino queste cose e si vede per come siamo governati. Ancora oggi.
Romanzo di una strage (Italia, 2012)
Un film di Marco Tullio Giordana.
Con Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Michela Cescon, Laura Chiatti, Fabrizio Gifuni.
Durata 129 min.
Giordana e i suoi sceneggiatori focalizzano la narrazione su tre personaggi (Calabresi, Pinelli, Moro), ma senza perdere d'occhio l'insieme delle forze in gioco, ritraendo uno sconfortante quadro di infiltrazioni, coperture e doppio gioco: alla fine non si capisce più chi manovra chi. Nel film i luoghi del potere sono bui come le cantine degli anarchici, ma il consiglio dei ministri in cui si discute di sospendere la democrazia fa ben più paura dei folcloristici rivoluzionari milanesi.
Come in un puzzle i vari tasselli che Giordana ci presenta s'incastrano perfettamente e anche se per i Tribunali la strage non ha colpevoli, un'idea di chi è stato ce la facciamo lo stesso.
È curioso notare come i tre protagonisti – in modi diversi – finiscano per essere capri espiatori: Pinelli per un attentato non commesso, Calabresi per esser lasciato solo a rispondere della morte di Pinelli stesso, e Moro vittima del clima di violenza nato proprio in quegli anni.
Il film, scandito per capitoli, è avvincente, con ottime interpretazioni (il Moro di Gifuni è più vero del vero), ma forse un po' difficile da seguire per chi non conosce la storia e i protagonisti di quel periodo (ma per informarsi basta una puntata di Blu Notte). È il classico film da proiettare nelle scuole per spiegare il concetto di nazione a sovranità limitata o per capire come mai gli italiani si sentano sempre dei sudditi, carne da macello in giochi ben più grandi di loro. Ma sospetto che nelle scuole non si insegnino queste cose e si vede per come siamo governati. Ancora oggi.
Romanzo di una strage (Italia, 2012)
Un film di Marco Tullio Giordana.
Con Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Michela Cescon, Laura Chiatti, Fabrizio Gifuni.
Durata 129 min.
sabato 17 marzo 2012
Le mine ignoranti di fronte
Pietro, un giovane con velleità d'attore, prende in affitto un appartamento infestato dai fantasmi di una compagnia teatrale scomparsa tragicamente nel 1943. Ha bisogno di un urgente trattamento sanitario obbligatorio oppure è tutto vero? Il film non dà una risposta esplicita ma, per alcuni indizi sparsi qua e là, io propendo per la prima ipotesi…
Un po' come l'Almodovar de La pelle che abito, Ozpetek rifà se stesso senza farsi mancare nulla: l'affascinante e popolare borgata romana, il gay, il travestito che parla per aforismi, i dolci, le tavole imbandite, l'amica un po' zoccola, il passato tragico che ritorna e via citando. Elio Germano è bravo a dare vita al suo personaggio di gay dolce e "disturbato", ma i personaggi di contorno sono tutti davvero poco credibili (e non sto parlando dei teatranti in abiti di scena che infestano la vecchia casa).
È vero che l'atmosfera teatrale – volutamente – permea tutto il film e che ci sono un bel po' di battute brillanti, ma alcuni dialoghi suonano piuttosto falsi, mentre la scena con la Badessa (Platinette), "il colonnello Kurz dei trans", è davvero insensata.
Ozpetek vola alto quando suggerisce che la compagnia fantasma rappresenti l'Italia antifascista (dimenticata in uno sgabuzzino), che è stata tradita – e poi rimossa – dall'Italia cinica e opportunista (incarnata dalla vecchia diva). La parola d'ordine della compagnia era finzione, ma quella di contrordine era realtà, ed è su questa che gli sfortunati attori volevano incidere con le loro azioni. Esattamente la cosa che non riesce a Ozpetek in questo film. Finzione, finzione!
Magnifica presenza (Italia, 2012)
Un film di Ferzan Ozpetek.
Con Elio Germano, Paola Minaccioni, Beppe Fiorello, Margherita Buy, Vittoria Puccini, Cem Yilmaz, Claudia Potenza, Andrea Bosca, Platinette, Anna Proclemer.
Durata 105 min.
Un po' come l'Almodovar de La pelle che abito, Ozpetek rifà se stesso senza farsi mancare nulla: l'affascinante e popolare borgata romana, il gay, il travestito che parla per aforismi, i dolci, le tavole imbandite, l'amica un po' zoccola, il passato tragico che ritorna e via citando. Elio Germano è bravo a dare vita al suo personaggio di gay dolce e "disturbato", ma i personaggi di contorno sono tutti davvero poco credibili (e non sto parlando dei teatranti in abiti di scena che infestano la vecchia casa).
È vero che l'atmosfera teatrale – volutamente – permea tutto il film e che ci sono un bel po' di battute brillanti, ma alcuni dialoghi suonano piuttosto falsi, mentre la scena con la Badessa (Platinette), "il colonnello Kurz dei trans", è davvero insensata.
Ozpetek vola alto quando suggerisce che la compagnia fantasma rappresenti l'Italia antifascista (dimenticata in uno sgabuzzino), che è stata tradita – e poi rimossa – dall'Italia cinica e opportunista (incarnata dalla vecchia diva). La parola d'ordine della compagnia era finzione, ma quella di contrordine era realtà, ed è su questa che gli sfortunati attori volevano incidere con le loro azioni. Esattamente la cosa che non riesce a Ozpetek in questo film. Finzione, finzione!
Magnifica presenza (Italia, 2012)
Un film di Ferzan Ozpetek.
Con Elio Germano, Paola Minaccioni, Beppe Fiorello, Margherita Buy, Vittoria Puccini, Cem Yilmaz, Claudia Potenza, Andrea Bosca, Platinette, Anna Proclemer.
Durata 105 min.
domenica 26 febbraio 2012
Senza parole
Hollywood, 1927. George Valentin è un divo del cinema muto. Ma due anni dopo, con l'avvento del sonoro finisce in disgrazia. La giovane star in ascesa Peppy Miller, che proprio lui ha contribuito a lanciare, lo aiuterà.
In The artist troviamo ricostruita la stessa epoca e lo stesso tema trattati nel celeberrimo musical Cantando sotto la pioggia: il cruciale e – per molti attori – traumatico passaggio dal muto al sonoro. Solo che questo è un film muto, in bianco e nero, girato però l'anno scorso, coraggioso omaggio ai tempi che furono, ad un altro modo di fare cinema, realizzato secondo lo stile dell'epoca.
Una trama semplicissima, quasi banale, una splendida fotografia retrò e un interprete faccioso, che sembra uscito dagli anni venti: questi gli ingredienti che, accuratamente dosati, hanno trasformato un eccentrico divertissement in un film da 10 candidature agli Oscar. Visivamente è un gioiellino, pieno d'invenzioni riuscite e una cura maniacale nella messa in scena d'epoca, ma in fondo sembra un esercizio un po' sterile. L'unico suo motivo d'essere lo possiamo trovare nello stimolare le giovani generazioni ad andare a riscoprire quella miniera di tesori dimenticati, rappresentata dai vecchi classici del cinema, che il film omaggia così spudoratamente. È un atto d'amore per i dimenticati maestri e artigiani di un epoca lontana ma ancora vitale e piena di stimoli.
The artist (Francia, 2011)
Un film di Michel Hazanavicius
Con Jean Dujardin, Bérénice Bejo, John Goodman, James Cromwell, Penelope Ann Miller
Durata 100 min.
In The artist troviamo ricostruita la stessa epoca e lo stesso tema trattati nel celeberrimo musical Cantando sotto la pioggia: il cruciale e – per molti attori – traumatico passaggio dal muto al sonoro. Solo che questo è un film muto, in bianco e nero, girato però l'anno scorso, coraggioso omaggio ai tempi che furono, ad un altro modo di fare cinema, realizzato secondo lo stile dell'epoca.
Una trama semplicissima, quasi banale, una splendida fotografia retrò e un interprete faccioso, che sembra uscito dagli anni venti: questi gli ingredienti che, accuratamente dosati, hanno trasformato un eccentrico divertissement in un film da 10 candidature agli Oscar. Visivamente è un gioiellino, pieno d'invenzioni riuscite e una cura maniacale nella messa in scena d'epoca, ma in fondo sembra un esercizio un po' sterile. L'unico suo motivo d'essere lo possiamo trovare nello stimolare le giovani generazioni ad andare a riscoprire quella miniera di tesori dimenticati, rappresentata dai vecchi classici del cinema, che il film omaggia così spudoratamente. È un atto d'amore per i dimenticati maestri e artigiani di un epoca lontana ma ancora vitale e piena di stimoli.
The artist (Francia, 2011)
Un film di Michel Hazanavicius
Con Jean Dujardin, Bérénice Bejo, John Goodman, James Cromwell, Penelope Ann Miller
Durata 100 min.
sabato 25 febbraio 2012
Senza pietà
Il facoltoso Philippe vive in un lussuoso palazzo al centro di Parigi, ascolta Vivaldi, trattiene verbosi scambi epistolari con donne lontane ed è immobilizzato su una sedia a rotelle dopo un incidente con il parapendio. Driss, giovane figlio dell'Africa nera, è appena uscito di galera, ascolta gli Earth Wind and Fire e vive per strada. Si reca al colloquio di lavoro con Philippe solo per ricevere il sussidio. Invece, a sorpresa, Philippe lo sceglie tra decine di candidati più qualificati. Due persone diversissime tra loro, ma che hanno almeno una dote in comune: andare oltre le apparenze. Philippe vede nel bullo di periferia la persona più adatta per assisterlo, perché non ha nessuna pietà per la sua condizione. E Driss gli dimostrerà che – nonostante tutto – è ancora in grado di godersi la vita come ogni uomo "normale" e perciò non lo tratterà mai da "povero handicappato".
Quasi amici è un film che evita falsi buonismi, pietà ipocrita e luoghi comuni. Racconta ad occhi asciutti l'inferno della tetraplegia. Lo fa con i toni della commedia, senza risparmiarsi in battute politicamente scorrette e situazioni genuinamente comiche, fin dalla prima sequenza, in cui Philippe e Driss si fanno beffe della polizia dopo una corsa folle lungo le strade parigine.
È un film che potrei definire edificante, visto che suggerisce un modo positivo per affrontare certe terribili afflizioni che la vita ci può riservare. È pure un film molto divertente, con una sceneggiatura brillante, zeppa di battute frizzanti e con due interpreti di straordinaria bravura.
Intouchables (Francia, 2011)
Un film di Olivier Nakache, Eric Toledano.
Con François Cluzet, Omar Sy, Anne Le Ny, Clotilde Mollet, Audrey Fleurot.
Durata 112 min.
domenica 19 febbraio 2012
Hawaiian blues
L'avvocato Matt King si ritrova con la moglie in coma irreversibile e due figlie da gestire. Scopre poi che la consorte lo stava tradendo. Piove sempre sul bagnato.
Piccolo dramma familiare raccontato in modo dolceamaro e con una sorprendente leggerezza nel rappresentare il dolore e la perdita. Il regista porta avanti la storia senza troppe scosse, sempre pronto a raffreddare le "scene madri", lavorando di sottrazione, come fa lo stesso Clooney, perfetto nei panni di un avvocato dimesso, in crisi coniugale e con due figlie di cui non si è mai occupato. L'incidente occorso alla moglie risucchia Matt in un vortice di scoperte e avvenimenti che lo cambieranno per sempre, un'altalena di sentimenti (amore, rimpianto, senso di colpa, rabbia) da cui uscirà anche con l'aiuto della ritrovata figlia adolescente (ottimamente interpretata da Shailene Woodley).
Fanno da perfetto sfondo alla vicenda delle isole Hawaii molto poco glamour, con cieli cupi e colori spenti, il paradiso amaro del titolo italiano. Nonostante la trama poco allegra, il film riesce comunque a strappare un paio di risate, grazie ad una sceneggiatura non completamente scontata (ha qualche passaggio prevedibile) e un cast ottimamente assortito. Dolcemente malinconico, piacerà tantissimo alle signore.
The Descendants (USA, 2011)
Un film di Alexander Payne.
Con George Clooney, Shailene Woodley, Beau Bridges, Robert Forster, Judy Greer.
Durata 110 min.
Piccolo dramma familiare raccontato in modo dolceamaro e con una sorprendente leggerezza nel rappresentare il dolore e la perdita. Il regista porta avanti la storia senza troppe scosse, sempre pronto a raffreddare le "scene madri", lavorando di sottrazione, come fa lo stesso Clooney, perfetto nei panni di un avvocato dimesso, in crisi coniugale e con due figlie di cui non si è mai occupato. L'incidente occorso alla moglie risucchia Matt in un vortice di scoperte e avvenimenti che lo cambieranno per sempre, un'altalena di sentimenti (amore, rimpianto, senso di colpa, rabbia) da cui uscirà anche con l'aiuto della ritrovata figlia adolescente (ottimamente interpretata da Shailene Woodley).
Fanno da perfetto sfondo alla vicenda delle isole Hawaii molto poco glamour, con cieli cupi e colori spenti, il paradiso amaro del titolo italiano. Nonostante la trama poco allegra, il film riesce comunque a strappare un paio di risate, grazie ad una sceneggiatura non completamente scontata (ha qualche passaggio prevedibile) e un cast ottimamente assortito. Dolcemente malinconico, piacerà tantissimo alle signore.
The Descendants (USA, 2011)
Un film di Alexander Payne.
Con George Clooney, Shailene Woodley, Beau Bridges, Robert Forster, Judy Greer.
Durata 110 min.
sabato 18 febbraio 2012
La meccanica dei sogni
Hugo è un giovane orfano che vive nella stazione di Montparnasse a Parigi e si occupa della manutenzione dei tanti orologi. Hugo ha un automa lasciatogli dal padre orologiaio, che custodisce un messaggio che lo porterà da Georges Méliès, pioniere dimenticato dell'arte del cinema.
Hugo Cabret è una deliziosa fiaba d'autore, che trascina lo spettatore dentro la magia del cinema già dalla programmatica spettacolare sequenza a volo d'uccello in apertura del film, meccanicamente onirica. La vicenda dickesiana di Hugo s'intreccia con uno splendido omaggio al cinema degli esordi, quando l'intraprendente mago Melies intuì le possibilità fantastiche dell'invenzione dei realisti fratelli Lumière. Il giovane Hugo finirà per "aggiustare" la vita dell'amareggiato e burbero Méliès, distrutta dalla brutale realtà della Grande Guerra, facendo in modo che la sua meravigliosa arte non venga mai più dimenticata.
Le splendide scenografie di Dante Ferretti ci restituiscono una Parigi da cartolina, perennemente innevata (e non meno fantasiosa dei film di Méliès). Scorsese omaggia il cinema muto in ogni modo possibile, dalle citazioni di Harold Lloyd e Chaplin alle locomotive che entrano in stazione (e non si fermano, come nel famoso incidente del 1895 alla Gare de Montparnasse), dall'ispettore ferroviario, che rimanda alle comiche del muto, agli effetti d'epoca, come nella scena di Isabelle caduta tra la folla dei viaggiatori. Un film curiosamente lontano dalla poetica del regista, più affine, per i temi trattati, ad un Terry Gilliam, ma privo della forza visionaria di quest'ultimo. Comunque un film piacevole da vedere, per grandi e piccini, e forse anche per cinefili, se sorvoleranno su tutte le citazioni un po' troppo ovvie sparse a piene mani da Scorsese.
Hugo Cabret (USA, 2011)
Un film di Martin Scorsese.
Con Ben Kingsley, Sacha Baron Cohen, Asa Butterfield, Chloe Moretz, Ray Winstone, Emily Mortimer, Jude Law, Johnny Depp, Michael Pitt, Christopher Lee
Durata 125 min.
Hugo Cabret è una deliziosa fiaba d'autore, che trascina lo spettatore dentro la magia del cinema già dalla programmatica spettacolare sequenza a volo d'uccello in apertura del film, meccanicamente onirica. La vicenda dickesiana di Hugo s'intreccia con uno splendido omaggio al cinema degli esordi, quando l'intraprendente mago Melies intuì le possibilità fantastiche dell'invenzione dei realisti fratelli Lumière. Il giovane Hugo finirà per "aggiustare" la vita dell'amareggiato e burbero Méliès, distrutta dalla brutale realtà della Grande Guerra, facendo in modo che la sua meravigliosa arte non venga mai più dimenticata.
Le splendide scenografie di Dante Ferretti ci restituiscono una Parigi da cartolina, perennemente innevata (e non meno fantasiosa dei film di Méliès). Scorsese omaggia il cinema muto in ogni modo possibile, dalle citazioni di Harold Lloyd e Chaplin alle locomotive che entrano in stazione (e non si fermano, come nel famoso incidente del 1895 alla Gare de Montparnasse), dall'ispettore ferroviario, che rimanda alle comiche del muto, agli effetti d'epoca, come nella scena di Isabelle caduta tra la folla dei viaggiatori. Un film curiosamente lontano dalla poetica del regista, più affine, per i temi trattati, ad un Terry Gilliam, ma privo della forza visionaria di quest'ultimo. Comunque un film piacevole da vedere, per grandi e piccini, e forse anche per cinefili, se sorvoleranno su tutte le citazioni un po' troppo ovvie sparse a piene mani da Scorsese.
Hugo Cabret (USA, 2011)
Un film di Martin Scorsese.
Con Ben Kingsley, Sacha Baron Cohen, Asa Butterfield, Chloe Moretz, Ray Winstone, Emily Mortimer, Jude Law, Johnny Depp, Michael Pitt, Christopher Lee
Durata 125 min.
sabato 4 febbraio 2012
Uomini che continuano a odiare le donne
C'è del marcio in Svezia e Mikael Blomkvist (Daniel Craig) con la sua rivista Millennium e là per scoperchiarlo. Dopo un "infortunio" giornalistico, decide di accettare l'incarico del vecchio magnate Henrik Vanger (Christopher Plummer): dovrà indagare sulla misteriosa sparizione della nipote Harriet avvenuta 40 anni prima. Lo aiuterà nell'impresa Lisbeth Salander (Rooney Mara), una giovane donna dall'aspetto inquietante, dal passato misterioso e con molteplici talenti.
È difficile parlare di Millennium - Uomini che odiano le donne, avendo letto il romanzo di Larsson e avendo pure visto la sua prima trasposizione cinematografica: tutti i misteri e i segreti si conoscono già, perciò la trama scorre via senza grandi sorprese. Ancora più difficile parlare dell'interpretazione di Daniel Craig* quando tua moglie ti tiene un coltello alla giugulare… Cosa dire, perciò? David Fincher trova pane per i suoi denti e fa un discreto lavoro: non teme le scene forti presenti nel libro, mantiene l'ambientazione originale e con essa la luce livida del Nord e la cruda violenza che abbonda nel romanzo. Il finale viene astutamente semplificato dalla nuova sceneggiatura di Steven Zaillian, che dà più spazio e le battute migliori a Lisbeth, di gran lunga il personaggio più riuscito della trilogia. Noomi Rapace sembrava nata per quel ruolo, ma la dolce Rooney Mara non la fa rimpiangere. La sua Lisbeth è meno cupa e autistica e forse – a causa del faccino che si ritrova Rooney – sembra meno spigolosa. Il film, piuttosto lungo, scorre con un certo ritmo, assecondato dall'ipnotica colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross (Oscar per The Social Network).
Come nel precedente, il film decolla quando entra in scena Lisbeth, ma alla fine dei conti il remake di Fincher non entusiasma troppo. Un vero peccato, se si pensa che dietro alla macchina da presa c'è il regista di Seven e Fight Club (tanto per dire). Aspettiamo i prossimi due capitoli.
The Girl with the Dragon Tattoo (USA, 2011)
Un film di David Fincher.
Con Daniel Craig, Rooney Mara, Christopher Plummer, Stellan Skarsgård, Steven Berkoff
Durata 160 min.
*Lo scrivo qui in piccolo cosa penso. Daniel Craig, stropicciato e dimesso, sembra un po' spaesato in questo ruolo. Forse si trova a disagio a fare da spalla alla giovane Rooney Mara, che si misura invece con una parte che può farle svoltare la carriera.
È difficile parlare di Millennium - Uomini che odiano le donne, avendo letto il romanzo di Larsson e avendo pure visto la sua prima trasposizione cinematografica: tutti i misteri e i segreti si conoscono già, perciò la trama scorre via senza grandi sorprese. Ancora più difficile parlare dell'interpretazione di Daniel Craig* quando tua moglie ti tiene un coltello alla giugulare… Cosa dire, perciò? David Fincher trova pane per i suoi denti e fa un discreto lavoro: non teme le scene forti presenti nel libro, mantiene l'ambientazione originale e con essa la luce livida del Nord e la cruda violenza che abbonda nel romanzo. Il finale viene astutamente semplificato dalla nuova sceneggiatura di Steven Zaillian, che dà più spazio e le battute migliori a Lisbeth, di gran lunga il personaggio più riuscito della trilogia. Noomi Rapace sembrava nata per quel ruolo, ma la dolce Rooney Mara non la fa rimpiangere. La sua Lisbeth è meno cupa e autistica e forse – a causa del faccino che si ritrova Rooney – sembra meno spigolosa. Il film, piuttosto lungo, scorre con un certo ritmo, assecondato dall'ipnotica colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross (Oscar per The Social Network).
Come nel precedente, il film decolla quando entra in scena Lisbeth, ma alla fine dei conti il remake di Fincher non entusiasma troppo. Un vero peccato, se si pensa che dietro alla macchina da presa c'è il regista di Seven e Fight Club (tanto per dire). Aspettiamo i prossimi due capitoli.
The Girl with the Dragon Tattoo (USA, 2011)
Un film di David Fincher.
Con Daniel Craig, Rooney Mara, Christopher Plummer, Stellan Skarsgård, Steven Berkoff
Durata 160 min.
*Lo scrivo qui in piccolo cosa penso. Daniel Craig, stropicciato e dimesso, sembra un po' spaesato in questo ruolo. Forse si trova a disagio a fare da spalla alla giovane Rooney Mara, che si misura invece con una parte che può farle svoltare la carriera.
giovedì 2 febbraio 2012
Matrimonio all'australiana
L'inglese David conosce Mia, bionda ragazza australiana, durante una vacanza su una meravigliosa isola e decide di sposarla. Essendo orfano, al matrimonio porterà i tre suoi più cari amici. Grave errore.
Divertente (ma esile) commediola che si svolge quasi interamente il giorno delle nozze. Costruita su un crescendo di situazioni ed equivoci sempre più catastrofici, azzecca un paio di gag esilaranti (il decoro nuziale distruttore, il discorso del testimone strafatto), ma non approfondisce troppo i personaggi e lo scontro culturale (e di classe) in gioco. I protagonisti, un po' banali e prevedibili, sembrano creati apposta per svolgere le loro funzioni comiche e niente di più: c'è il giovine amoroso, il cazzone, lo sfigato ipocondriaco e il depresso dal cuore infranto. I personaggi di contorno sono ancora più inconsistenti, tranne forse la figura dello spacciatore. Una menzione d'onore all'impassibile pecora del titolo. Da un regista che ha firmato quel gioiellino che è Priscilla ci si poteva aspettare qualche sforzo in più nel demolire il rito del matrimonio e cogliere le manie dei suoi conterranei. Comunque almeno si ride e, visti i tempi grami, è un bel regalo.
A Few Best Men (Australia / Gran Bretagna, 2012)
Un film di Stephan Elliott.
Con Xavier Samuel, Kris Marshall, Kevin Bishop, Rebel Wilson, Olivia Newton-John
Durata 97 min.
Divertente (ma esile) commediola che si svolge quasi interamente il giorno delle nozze. Costruita su un crescendo di situazioni ed equivoci sempre più catastrofici, azzecca un paio di gag esilaranti (il decoro nuziale distruttore, il discorso del testimone strafatto), ma non approfondisce troppo i personaggi e lo scontro culturale (e di classe) in gioco. I protagonisti, un po' banali e prevedibili, sembrano creati apposta per svolgere le loro funzioni comiche e niente di più: c'è il giovine amoroso, il cazzone, lo sfigato ipocondriaco e il depresso dal cuore infranto. I personaggi di contorno sono ancora più inconsistenti, tranne forse la figura dello spacciatore. Una menzione d'onore all'impassibile pecora del titolo. Da un regista che ha firmato quel gioiellino che è Priscilla ci si poteva aspettare qualche sforzo in più nel demolire il rito del matrimonio e cogliere le manie dei suoi conterranei. Comunque almeno si ride e, visti i tempi grami, è un bel regalo.
A Few Best Men (Australia / Gran Bretagna, 2012)
Un film di Stephan Elliott.
Con Xavier Samuel, Kris Marshall, Kevin Bishop, Rebel Wilson, Olivia Newton-John
Durata 97 min.
martedì 24 gennaio 2012
Storie di ordinario razzismo
Mississippi, primi anni Sessanta. Eugenia "Skeeter" Phelan (Emma Stone) torna alla sua città natale fresca di laurea e trova lavoro nel giornale locale come autrice di una rubrica di consigli domestici. Ma l'ambiziosa fanciulla vuole di più e decide di scrivere un libro che dia voce alle cameriere di colore. Ci riuscirà con l'aiuto di Aibileen (Viola Davis), vera protagonista del film.
The Help è la lotta per i diritti civili vista nella quotidianità spicciola delle tate e delle cameriere di colore, ancora schiave di bianche frustrate desperate housewives di provincia. La violenza non è quella di Mississippi Burning, ma le continue angherie e il gretto razzismo di queste mogli annoiate e perfide. Le quali lasciano allevare i loro figli ariani alla cameriera negra, ma vietano a quest'ultima di usare la loro toilette: la stupidità del razzismo crea dei paradossi grotteschi. Appare quasi incomprensibile come tutti questi bambini, una volta adulti, diventino a loro volta gli aguzzini di chi di fatto gli ha allevati. Nell'analisi della banalità del male sta la forza di un film altrimenti non particolarmente originale, privo di grandi guizzi, con una struttura molto tradizionale, che alterna sapientemente scene madri e battute argute. The Help è un classico film per signore, ben confezionato e che sembra fatto apposta per vincere un paio di Oscar (quattro le nomination). È un film corale – quasi totalmente al femminile – dal cast ragguardevole, nel quale spiccano le interpretazioni di Bryce Dallas Howard (la cattiva del film), Jessica Chastain (la bianca reietta Marylin di provincia) e Octavia Spencer (la cameriera ribelle), che ha appena vinto un Golden Globe per questo ruolo. Forse l'aspetto seccante di una storia così politicamente corretta (produzione Disney) è il messaggio che sottende: ci vuole un bianco per dar voce alle persone di colore, come se queste non fossero mai in grado di esprimersi da sole. Leggermente razzista, no?
The Help (USA, 2011)
Un film di Tate Taylor.
Con Emma Stone, Viola Davis, Bryce Dallas Howard, Octavia Spencer, Jessica Chastain, Ahna O'Reilly, Allison Janney, Anna Camp, Chris Lowell, Cicely Tyson, Mike Vogel, Sissy Spacek.
Durata 137 min.
giovedì 5 gennaio 2012
Vizi pubblici, private virtù
Efficace biopic di uno degli uomini americani più potenti del Novecento, il creatore e il padrone assoluto del FBI per quasi cinquant'anni, J. Edgard Hoover. Il film di Eastwood, grazie ad una sorprendente interpretazione di DiCaprio, ci regala un ritratto impietoso di un personaggio contraddittorio e complesso. Hoover non è per niente simpatico, ma Eastwood, poco a poco, ce lo rende umano, mettendo in scena tutte le sue debolezze e una vita arida di sentimenti. L'uomo pubblico è votato alla giustizia e persegue l'ambizioso e visionario (per l'epoca) progetto di un ufficio investigativo federale, basato su indagini scientifiche e sulla raccolta centralizzata di informazioni su criminali e presunti tali. Lo realizzerà giocando bene le sue carte e spesso giocando sporco: i suoi dossier privati lo faranno restare al capo del FBI durante il mandato di ben 8 presidenti. L'uomo privato è devoto ad una madre più ambiziosa di lui, non ha amici e non ama le donne.
Le sue imprese pubbliche il film ce le racconta con l'espediente di un'autobiografia, ma Hoover, come scopriremo alla fine, non è un narratore affidabile. La vita privata invece, ci viene mostrata senza filtri. Eastwood racconta con grande delicatezza il rapporto tra Hoover e il suo braccio destro Clyde Tolson, ed è proprio questa la chiave per creare un minimo di empatia in noi verso questo uomo potentissimo, ma terribilmente solo e straziato, che cerca di reprimere la sua omosessualità.
Grande performance di DiCaprio, che interpreta Hoover durante tutto l'arco della sua esistenza (complimenti ai truccatori), e rimane sempre credibile. Grande film di Eastwood, capace come pochi nel narrare le contraddizioni del suo Paese. Un'opera lucida, profonda, rigorosa e piena di pathos, con alcune sequenze (il vestito della madre morta, lo scontro tra Hoover e Tolson, la morte del protagonista) che già da sole valgono il biglietto. Da vedere.
J. Edgard (USA, 2011)
Un film di Clint Eastwood.
Con Leonardo DiCaprio, Naomi Watts, Armie Hammer, Josh Lucas, Judi Dench
Durata: 137 min.
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