sabato 1 dicembre 2018
Bohemian Bignami
Il film racconta vita e arte di Freddie Mercury, dagli esordi alla leggendaria esibizione dei Queen al Live Aid nel 1985.
Sostenuto dall’impressionante performance attoriale di Rami Malek, la pellicola dà ai fan del gruppo tutto quello che si aspettano da un biopic sul mitico cantante. Dagli inizi difficili ai primi successi, Bohemian Rhapsody è una sorta di bignami pieno zeppo di musica, che cerca di proporre tutti i momenti più importanti della vita artistica e privata di Freddie ma addomesticando un po’ troppo il suo genio e soprattutto la sua sregolatezza. Poco anche lo spazio dedicato al resto del gruppo, che rimane un po’ sullo sfondo, forse perché conduce vite troppo borghesi e poco interessanti rispetto al loro oltraggioso cantante: peccato, perché sia Brian May che Roger Taylor sembrano dei personaggi piuttosto interessanti che avrebbero meritato qualche scena in più.
La sceneggiatura di Anthony McCarten – specializzato in biografie (La teoria del tutto, L’ora più buia) – si dipana in modo astuto, dritta e veloce ma senza grandi invenzioni, verso l’epico finale che ripropone quasi integralmente il concerto dei Queen al Wembley Stadium, probabilmente la miglior esibizione di tutto il mastodontico programma. Bryan Singer ricostruisce l’evento con un dispendio di mezzi impressionante, regalando agli spettatori una delle migliori sequenze del film, adeguatamente preparata da un climax emotivo dosato con grande precisione, per quanto poco aderente alla realtà storica.
Per chi ha ama la musica dei Queen è un film imperdibile ma tutti gli altri non resteranno comunque delusi.
Bohemian Rhapsody (Gran Bretagna, USA, 2018)
Regia di Bryan Singer
Con Rami Malek, Lucy Boynton, Gwilym Lee, Ben Hardy, Joseph Mazzello, Aidan Gillen
Durata 134 minuti.
giovedì 1 novembre 2018
L'uomo della Luna
The First Man racconta di come Neil Armstrong diventò il primo uomo a calpestare il suolo lunare.
Già dalla prima sequenza capiamo qual è la cifra stilistica del film, con la macchina da presa addosso al protagonista, inquadrature spezzate dei dettagli di un velivolo, strumentazione di bordo, vibrazioni, metallo che cigola e poi un silenzio siderale. La corsa spaziale è una questione di sudore, sangue e rivetti di metallo pronti a staccarsi.
Lo spettatore viene a trovarsi spesso accanto a Neil Armstrong, vive in soggettiva quello che lui vede e prova, ma appunto è a lato, mai dentro di lui. Il regista sceglie uno stile piuttosto anti-retorico e quasi algido per narrare un’impresa sempre raccontata con toni epici, ma il protagonista rimane imperscrutabile. Ryan Gosling ci mette del suo con una recitazione trattenuta e laconica, che lascia trapelare i sentimenti del protagonista solo in occasione di una tragedia familiare che lo segna profondamente. Armstrong, sembra suggerire il film, è solo un uomo comune, diligente e preparato che ha avuto l’opportunità di finire in un evento di portata storica. Perfettamente conscio dell’importanza epocale della missione, resta sempre con i piedi ben piantati per terra anche quando cammina sulla Luna e sembra refrattario al ruolo di eroe.
La pellicola si divide tra scene di vita familiare, tra figli e una moglie grintosa – una brillante Claire Foy – e le missioni del programma spaziale, un percorso costellato di incidenti, malfunzionamenti e lutti, che suggeriscono l’idea che il successo dell’allunaggio sia stato più un colpo di fortuna.
Visto che il regista ha scelto un tono quasi intimista, ci sono ben poche scene spettacolari in stile hollywoodiano: vediamo un razzo decollare solo a due terzi del film, con la missione Apollo 11. The First Man si presenta perciò come un oggetto piuttosto strano, sicuramente lontano da film simili (pensiamo ad Apollo 13, Gravity o Space Cowboys), che ha trovato un suo modo nuovo e originale di raccontare questo avvenimento epocale.
First Man - Il primo uomo (First Man, USA, 2018)
Regia di Damien Chazelle.
Con Ryan Gosling, Claire Foy, Jason Clarke, Kyle Chandler, Corey Stoll, Patrick Fugit
Durata 141 minuti.
sabato 27 ottobre 2018
È rinata una stella
Versione per il nuovo millennio di un classico: lei, giovane cantante di talento ma bruttina, incontra lui, famoso e fascinoso cantante impegnato a sperperare il proprio successo sulla via dell’autodistruzione tra alcool e droghe. S’innamorano, si sposano, lei diventa una star, ma non c’è lieto fine.
Lei è una sorprendente Stefani Germanotta (al secolo Lady GaGa), spettacolare cantante e convincente attrice, che ha la faccia e la personalità giusta per il ruolo della protagonista (in passato già interpretata da mostri sacri come Judy Garland e Barbra Streisand – curiosamente entrambe icone gay come la nostra Lady); lui è il poliedrico Bradley Cooper che qui interpreta, produce, dirige, sceneggia, canta dal vivo e quant’altro…
Le sequenze dei concerti sono girate in modo coinvolgente e dinamico e la colonna sonora è davvero notevole, con un paio di brani che molto probabilmente finiranno tra le nomination agli Oscar. Per il resto è un dignitoso film sentimentale, asciutto e senza melensaggini, con il suo bel finale tragicamente romantico. Mia moglie lo ha eletto il suo film dell’anno. E non aggiungo altro.
A Star Is Born (USA, 2018)
Regia di Bradley Cooper.
Con Bradley Cooper, Lady GaGa, Sam Elliott, Andrew Dice Clay, Anthony Ramos, Bonnie Somerville.
Durata: 135 minuti
domenica 30 settembre 2018
L'uomo che finalmente girò il Don Chisciotte
Toby, un giovane e insopportabile regista americano, sta girando in Spagna uno spot ispirato al Don Chisciotte, soggetto del film realizzato come saggio di laurea negli stessi luoghi dieci anni prima. Per una serie di eventi si ritroverà coinvolto in una mirabolante successione di avventure – tra realtà e allucinazione – con il protagonista del suo primo film, convinto di essere veramente Don Chisciotte.
Dopo 25 anni di epiche traversie produttive (vedi il documentario Lost in La Mancha), Terry Gilliam è riuscito a portare in sala la sua personale e strepitosa versione del Don Chisciotte.
Il film si presta a molteplici letture, che vanno dalla coerente poetica del regista, sempre in bilico tra una squallida e gretta realtà e la fuga anarchica nella fantasia più sfrenata, all’idea di un cinema dove realismo e allucinazione convivono in meraviglioso equilibrio. Come non vedere poi, nella travagliata storia del film, un'eco donchisciottesca nella lotta dello stesso Gilliam contro un fato avverso.
Seguendo Toby, regista pubblicitario – dunque supremo incantatore – noi attraversiamo con lui lo schermo e ci troviamo in un mondo dove niente è ciò che sembra, dove un vecchio pazzo è ossessionato dalle trappole degli Incantatori e lo trascina con sé in una folle avventura che ha il gusto del contrappasso.
Mentre il cinema ci porta altrove, il mondo reale può venire in qualche modo corrotto proprio dal cinema, come sembra suggerire Gilliam mostrandoci il drammatico destino degli attori presi dalla strada, protagonisti del film-saggio di Toby.
I personaggi, le ambientazioni, le bellissime soluzioni visive sono Gilliam allo stato puro: gli episodi e la trama del romanzo di Cervantes diventano dei pretesti per portare lo spettatore nell’incredibile mondo di questo regista visionario, restituendoci una rivisitazione del celebre testo, che non tradisce nella sostanza l’originale, pur piegandolo alla propria poetica.
Jonathan Pryce (apparso già in altri tre film di Gilliam, tra cui il cult Brazil) dà corpo e anima a questo stralunato ciabattino che si crede Don Chisciotte, mentre Adam Driver è piuttosto convincente nella sua metamorfosi da regista annoiato e viziato a novello Sancho Panza suo malgrado.
L’Uomo che uccise Don Chisciotte diventerà probabilmente un altro dei film cult di Gilliam.
Da vedere di corsa!
L’Uomo che uccise Don Chisciotte (The Man Who Killed Don Quixote, Gran Bretagna / Spagna, 2018)
Un film di Terry Gilliam.
Con Adam Driver, Jonathan Pryce, Stellan Skarsgård, Olga Kurylenko, Joana Ribeiro.
Durata 132 min.
giovedì 24 maggio 2018
Prendi la saga e scappa
Gioventù scapestrata e prime imprese di Han Solo. La nuova Star Wars Story risponde a tutte le domande più ovvie su uno dei personaggi fondamentali della saga: come ha incontrato il fedele Chewbacca, acquisito il leggendario Millennium Falcon ed è diventato il cinico furfante dal cuore d’oro che ben conosciamo.
Girato con consumata professionalità dall’affidabile Ron Howard (che per Lucas aveva diretto Willow), scritto da Lawrence Kasdan, uno degli sceneggiatori storici della saga di Star Wars, Solo si presenta come il classico prodotto che deve accontentare un po’ tutti e alla fine diverte ma non entusiasma. Fondamentalmente incrocia lo heist movie (il film di rapina) con l’universo di Guerre Stellari, dando vita ad un film dal ritmo forsennato, visivamente cinetico fino alla noia (infila una serie di inseguimenti, corse e fughe senza fine).
La pellicola accontenta i fan della serie dando loro un paio di personaggi secondari noti (oltre a Chewbacca c’è il giovane Lando Carlissian) e introducendo qualche nuovo carattere perfettamente in linea con lo stile della saga (la donna combattiva, il delinquente seducente, il droide divertente).
Il punto debole è che tutto il contorno funziona meglio del protagonista che dà il titolo al film: Alden Ehrenreich fa quello che può ma è praticamente impossibile il confronto con lo scanzonato e carismatico Han Solo di Harrison Ford, l’irresistibile mascalzone di Star Wars, un carattere che qui è invece ben incarnato da Beckett (l’ottimo Woody Harrelson).
In conclusione Solo osa molto meno del precedente spin off Rogue One, apparendo più un prodotto di marketing che un episodio avvincente di una saga memorabile che, con l’iper-sfruttamento Disney, sta dando visibili segni di stanchezza.
Solo: A Star Wars Story (USA, 2018)
Un film di Ron Howard.
Con Alden Ehrenreich, Woody Harrelson, Emilia Clarke, Donald Glover, Thandie Newton.
Durata 135 minuti.
lunedì 14 maggio 2018
La tragedia di un uomo patetico
Loro 1 si dedicava alla corte di parassiti che notte e giorno insegue Silvio Berlusconi in cambio di favori, prestiti e soldi. Questa seconda parte si concentra molto di più su di lui: ad un ritratto intimo e privato si alternano qui momenti più politici, raccontando la voglia di riscossa di un uomo sul viale del tramonto. Mentre il matrimonio con Veronica naufraga, Silvio costruisce il suo ritorno in campo comprando senatori a destra e a manca. Le sue leggendarie doti di imbonitore vengono esaltate in una straordinaria sequenza in cui – spacciandosi per un immobiliarista – cerca di vendere un lussuoso appartamento ad una signora scelta a caso dall’elenco telefonico: una scena da antologia in cui Servillo dà il meglio di sé e racconta perfettamente come Berlusconi sia riuscito ad abbindolare metà dell’elettorato italiano per anni. A questa fa da contraltare il patetico incontro con una giovanissima aspirante attrice che lo respinge perché gli ricorda suo nonno. Il film così costruisce una malinconica parabola di un uomo che non vuole invecchiare e che non sa perdere, indissolubilmente intrecciata con la dissoluzione etica e morale dell’Italia. Mentre lui torna al governo, il terremoto distrugge L’Aquila. Con una metafora neanche tanto sottile il film si chiude su un Italia in macerie.
Loro 2 (Italia, 2018)
Un film di Paolo Sorrentino.
Con Toni Servillo, Elena Sofia Ricci, Riccardo Scamarcio, Kasia Smutniak, Euridice Axen, Fabrizio Bentivoglio, Roberto De Francesco, Dario Cantarelli, Anna Bonaiuto.
Durata 100 minuti.
giovedì 26 aprile 2018
Quelli che contano
Mentre Silvio Berlusconi cerca di riconquistare la moglie, umiliata dal suo comportamento libertino ormai senza freni, una corte di papponi, approfittatori, attricette e soubrette cerca di entrare nelle sue grazie e nel giro di "quelli che contano": Loro, appunto.
Nell'attesissimo e misterioso film di Sorrentino "su Berlusconi", Lui entra in scena solo nella seconda parte, come tutti i mostri che si rispettino. Mentre l'Italia mostruosa di questi ultimi anni appare fin da subito, in tutta la sua disgustosa decadenza sociale e politica.
Visivamente esuberante, visionario ai limiti del manierismo, grottesco all'ennesima potenza - visto il soggetto di cui si occupa che è già parecchio grottesco di suo, Sorrentino appare forse come l'unico regista in grado di raccontare il personaggio Berlusconi e la sua epoca.
Un monumentale Servillo indossa la maschera berlusconiana con istrionica nonchalance, restituendo umanità ad una figura estremamente difficile da raccontare, senza cadere nella vuota caricatura.
Il ghigno di Berlusconi qui diventa simile alla risate esagerate dei personaggi delle opere dell'artista Yue Minjun, che viene moltiplicato all'infinito sulle pastiglie di MDMA che piovono sul party in piscina, una delle tante scene visionarie del film.
Loro 1 non ha intenti cronachistici, pur restando una pellicola fortemente politica nel tratteggiare la deriva morale italiana degli ultimi decenni. Grazie alla scelta di non essere legato troppo alla realtà documentale, il film riesce a raccontare meglio di un reportage il personaggio e i suoi tempi e lo fa con sequenze e immagini di grandissimo impatto.
Aspettiamo curiosi la seconda parte, in uscita il 10 maggio.
Loro 1 (Italia, 2018)
Un film di Paolo Sorrentino.
Con Toni Servillo, Elena Sofia Ricci, Riccardo Scamarcio, Kasia Smutniak, Euridice Axen, Fabrizio Bentivoglio, Roberto De Francesco, Dario Cantarelli, Anna Bonaiuto.
Durata 104 minuti.
sabato 31 marzo 2018
Una fiaba pop per gli adulti di domani
Nel 2045 la gente preferisce vivere online in un mondo virtuale – chiamato significativamente Oasis – che affrontare una realtà squallida e deprimente. Halliday, il geniale creatore di Oasis, ha lasciato in eredità il controllo della sua società a chi vincerà una gara costituita da sfide e indovinelli, che ovviamente si svolgerà nella realtà virtuale. Ma dopo cinque anni nessuno è riuscito a superare neanche la prima prova finché il giovane Parzival…
Dopo innumerevoli film tratti da celebri videogiochi ecco una pellicola che sembra costruita come un videogioco ma che in realtà segue le ferree regole della fiaba stilate da Vladimir Propp. L’espediente del mondo virtuale permette di costruire sequenze mirabolanti senza limiti fisici (come in Matrix o nel cinetico Speed Racer dei Wachowski) ma senza cercare un realismo fotografico negli avatar dei protagonisti, che restano sempre abbastanza lontani da una precisa imitazione del corpo umano.
La semplice trama dà il destro ad un caleidoscopico viaggio nel mondo pop dei videogiochi e del cinema tra gli anni Settanta e Novanta, con una tale quantità di citazioni da restare storditi: dopo dieci minuti avevo già perso il conto. Degno di nota è sicuramente lo sbalorditivo viaggio horror all’interno di Shining, un affettuoso omaggio a Kubrick, in cui il suo film viene ricostruito – o meglio decostruito – con precisione maniacale.
Raramente effetti speciali e stupefacenti sequenze in CGI sono così ben integrate nella storia come in Ready Player One che, pur non brillando particolarmente per originalità della trama, cattura lo spettatore con un montaggio serrato e non annoia mai. Spielberg porta al cinema il best-seller di Ernest Cline in modo efficace e spettacolare, come sa fare bene lui, suggerendo pure qualche riflessione su quale potrà essere il futuro del cinema e anche sul nostro destino di umanità sempre più persa nei mondi virtuali dei social network.
Ready Player One (USA, 2018)
Un film di Steven Spielberg.
Con Tye Sheridan, Olivia Cooke, Ben Mendelsohn, T.J. Miller, Simon Pegg.
Durata 140 min.
martedì 27 febbraio 2018
D'amore e d'acqua
Baltimora, 1962. Elisa è una donna delle pulizie muta che lavora in una struttura di ricerca. Un giorno arriva una sorta di uomo anfibio, destinato a venir sacrificato in una serie di esperimenti legati alla ricerca spaziale. Scoppia l’amore.
La forma dell’acqua è una romantica fiaba per adulti con mostro, costruita con maestria e messa in scena con grande eleganza visiva.
Come spesso accade nei film di Del Toro, i veri mostri sono gli uomini: qui l’ingrato compito tocca al bravo Michael Shannon, sempre pronto a fornire un odioso psicopatico appena nascosto da una patina sottile conformismo borghese. Dall’altra parte abbiamo una specie di mostro della laguna aiutato da tre perfetti emarginati: un'ordinaria donna muta, il suo vicino di casa omosessuale e la collega di colore. Il terzetto di perdenti agisce in un’America razzista e omofoba, paranoica e senza pietà. Ancora una volta Del Toro miscela sapientemente il cinema fantastico di genere con un contesto storico preciso e pieno di spunti drammatici, dando vita a personaggi ricchi di sfaccettature e mai scontati.
La forma dell’acqua è un film visivamente curatissimo, dalla scenografia alla fotografia, dove nulla viene mostrato per caso, che richiede una visione attenta se non si vogliono perdere tutti i dettagli, i richiami, gli omaggi e le citazioni. Nonostante ciò manca della potenza e dell’originalità di opere precedenti di Del Toro, come Il Labirinto del Fauno, e alla fine dà l’idea di un film “costruito” per piacere – soprattutto – a critici e cinefili. Il profluvio di premi e riconoscimenti (dal Festival di Venezia alle 13 nomination agli Oscar) sembra confermare questo sospetto.
La forma dell'acqua - The Shape of Water (The Shape of Water, USA 2017)
Un film di Guillermo Del Toro.
Con Sally Hawkins, Michael Shannon, Richard Jenkins, Doug Jones, Michael Stuhlbarg, Octavia Spencer.
Durata 119 min.
sabato 13 gennaio 2018
Il cuore oscuro dell'America
Una madre che ha perso da poco la figlia, stuprata e assassinata, affigge tre grandi manifesti fuori dalla cittadina di Ebbing, accusando lo sceriffo di non fare nulla per trovare il colpevole. L’iniziativa non passerà inosservata, scatenando una serie di eventi imprevedibili.
Una sceneggiatura di ferro, una regia asciutta e precisa e un cast formidabile sono gli ingredienti di questo film piccolo e sorprendente. La storia cupa e una trama apparentemente scontata non vi lascino ingannare: il film e i suoi personaggi prendono presto dei sentieri inaspettati.
Il regista e sceneggiatore irlandese Martin McDonagh – che viene dal teatro e si vede – ha il dono di volgere in un secondo una scena drammatica in comica, senza scadere mai nel grottesco. Inoltre riesce a costruire dei personaggi per niente banali. La figura tragica di Mildred Hayes, madre in lutto interpretata magistralmente da una strepitosa Frances McDormand, ha spesso toni da commedia, grazie al suo carattere ruvido ed alla sua lingua tagliente. Così lo sgradevole agente Jason Dixon – quasi uno stereotipo del poliziotto violento e razzista incarnato dal bravissimo Sam Rockwell – ci mostrerà nel corso della storia tutta la sua complessa umanità.
Il microcosmo di Ebbing, cittadina persa nell’America più profonda e oscura, ci racconta molto dell’America contemporanea, affrontando in modo disincantato e mai didascalico temi di grande attualità come il razzismo, la violenza sulle donne ma anche l’ipocrisia di una società bigotta. Memorabile in questo senso il monologo di Mildred con il prete sulle colpe di una casta che non fa nulla per impedire la pedofilia al suo interno, discorso facilmente allargabile alle responsabilità di tutta una società, complice di un’infinità di crimini ma sempre pronta a fare la morale a chi esce dal coro per gridare che il re è nudo.
Tre manifesti a Ebbing, Missouri (premiato a Venezia e ai Golden Globe) è uno dei migliori film visti da molti anni a questa parte, una pellicola che fa pensare e riesce nel difficile compito di far ridere in modo intelligente. Da vedere assolutamente.
Tre manifesti a Ebbing, Missouri
(Three Billboards Outside Ebbing, Missouri, USA / Gran Bretagna, 2017)
Un film di Martin McDonagh.
Con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Abbie Cornish, Lucas Hedges, Peter Dinklage
Durata 115 min.
Una sceneggiatura di ferro, una regia asciutta e precisa e un cast formidabile sono gli ingredienti di questo film piccolo e sorprendente. La storia cupa e una trama apparentemente scontata non vi lascino ingannare: il film e i suoi personaggi prendono presto dei sentieri inaspettati.
Il regista e sceneggiatore irlandese Martin McDonagh – che viene dal teatro e si vede – ha il dono di volgere in un secondo una scena drammatica in comica, senza scadere mai nel grottesco. Inoltre riesce a costruire dei personaggi per niente banali. La figura tragica di Mildred Hayes, madre in lutto interpretata magistralmente da una strepitosa Frances McDormand, ha spesso toni da commedia, grazie al suo carattere ruvido ed alla sua lingua tagliente. Così lo sgradevole agente Jason Dixon – quasi uno stereotipo del poliziotto violento e razzista incarnato dal bravissimo Sam Rockwell – ci mostrerà nel corso della storia tutta la sua complessa umanità.
Il microcosmo di Ebbing, cittadina persa nell’America più profonda e oscura, ci racconta molto dell’America contemporanea, affrontando in modo disincantato e mai didascalico temi di grande attualità come il razzismo, la violenza sulle donne ma anche l’ipocrisia di una società bigotta. Memorabile in questo senso il monologo di Mildred con il prete sulle colpe di una casta che non fa nulla per impedire la pedofilia al suo interno, discorso facilmente allargabile alle responsabilità di tutta una società, complice di un’infinità di crimini ma sempre pronta a fare la morale a chi esce dal coro per gridare che il re è nudo.
Tre manifesti a Ebbing, Missouri (premiato a Venezia e ai Golden Globe) è uno dei migliori film visti da molti anni a questa parte, una pellicola che fa pensare e riesce nel difficile compito di far ridere in modo intelligente. Da vedere assolutamente.
Tre manifesti a Ebbing, Missouri
(Three Billboards Outside Ebbing, Missouri, USA / Gran Bretagna, 2017)
Un film di Martin McDonagh.
Con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Abbie Cornish, Lucas Hedges, Peter Dinklage
Durata 115 min.
venerdì 5 gennaio 2018
L'uomo più solo del mondo
Roma, 1973. John Paul Getty III, giovane nipote dell’uomo più ricco del mondo viene rapito dalla 'ndrangheta, ma il nonno non vuole pagare il riscatto. Sua madre lotterà con tutte le sue forze per far tornare a casa il figlio.
Ispirato ad un celebre fatto di cronaca – raccontato con qualche libertà – il film si concentra sulla figura di Gail Harris, nuora divorziata del magnate del petrolio Jean Paul Getty, che si trova a fare le spese con una famiglia tanto potente quanto disfunzionale: un marito drogato e un suocero la cui ricchezza è direttamente proporzionale alla sua taccagneria, impegnato solo ad accumulare ricchezze e mantenere le distanze dai familiari.
Getty affronta il rapimento del nipote come un qualsiasi affare e manda a trattare con i rapitori il suo consulente per la sicurezza Fletcher Chase, ex agente CIA, esperto nel trovare accordi in qualsiasi situazione. L’aspetto più interessante del film è questo parallelo tra lo spietato mondo degli affari di Getty e quello dell’anonima sequestri: le due sequenze in cui i milioni del riscatto vengono contati in banca e poi ricontati nel casolare dei banditi esplicita in maniera chiara questa lettura della vicenda, come l’episodio in cui il giovane rapito viene venduto ad un “investitore”, ribadendo il concetto che si tratta solo di affari.
Alla fine è difficile scegliere se sia più feroce il nonno, che si limita a prestare i soldi al figlio per pagare il riscatto (ma solo per beneficiare di uno sgravio fiscale) o il rapitore spietato che fa tagliare un orecchio a Paul.
Il film, diretto con mano sicura da Ridley Scott, fila liscio nonostante la durata, grazie ad un buon ritmo e una costruzione piuttosto classica e lineare. Ci restituisce un’Italia immersa nell’austerity, a volte un po’ esotica, divisa tra la dolce vita e il folclore della 'ndrangheta calabrese, ma che è un perfetto sfondo per questa cupa parabola sul lato oscuro del capitalismo.
Un grande Christopher Plummer – che ha sostituito a riprese ultimate Kevin Spacey caduto in disgrazia – dà vita ad un Jean Paul Getty a tutto tondo, odioso e spietato ma che riesce a suscitare sprazzi di empatia nello spettatore mostrando barlumi di umanità, come quando racconta al nipote i suoi puerili sogni imperiali o spiega la sua pulsione di circondarsi di capolavori (perché gli oggetti non cambiano e non ti tradiscono), facendo intravedere tutta la solitudine dell’uomo più ricco del mondo.
Tutti i soldi del mondo (All the Money in the World, USA 2017)
Un film di Ridley Scott.
Con Michelle Williams, Christopher Plummer, Mark Wahlberg, Charlie Plummer, Romain Duris.
Durata 132 min.
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