giovedì 17 dicembre 2015
Figli di Star Wars
Luke Skywalker, ultimo cavaliere Jedi, è scomparso e il lato oscuro ritorna a imperversare per la galassia attraverso il Primo Ordine, nato dalle ceneri dell'Impero. La giovane e combattiva Rey e Finn, stormtrooper pentito, partono a cercarlo, accompagnati dai mitici Han Solo e Chewbacca.
J.J. Abrams va sul sicuro, confezionando un film da fan per i fans della trilogia classica, rispettoso (fin troppo) del mondo creato da George Lucas. Mi sarei aspettato qualcosa di più originale, ma evidentemente il franchise è così potente, che immagino sia stato difficile introdurre idee troppo personali. Perciò il deja vu è dietro l'angolo, visto il numero di omaggi e citazioni sparso nel film, che pervadono pure la costruzione della trama e di alcuni caratteri. C'è l'eroina inconsapevole in cui "forte scorre la Forza", il robottino simpatico che nasconde documenti essenziali alla Resistenza, l'emulo di Darth Vader, la cantina con la feccia della galassia, l'arma di distruzione planetaria e così via: più che un sequel sembra un reboot di Guerre Stellari (ora noto come Star Wars: Episodio IV - Una nuova speranza). Non manca neanche il drammatico conflitto tra padre e figlio, un topos imprescindibile della saga.
A parte questo, il film ha un buon ritmo (lontano anni luce dalla noia dei tre prequel), grazie alla collaborazione alla sceneggiatura di Lawrence Kasdan (autore dello script de L'impero colpisce ancora e de Il ritorno dello Jedi), con battute brillanti, una certa ironia e la giusta dose di colpi di scena. Il regista miscela bene scene d'azione, siparietti comici, duelli e battaglie spaziali (evitando però l'effetto videogame). I nuovi personaggi della saga appaiono piuttosto interessanti e questa pellicola è il primo capitolo di una trilogia che sembra promettente, un tassello che segna il passaggio di consegne tra i vecchi eroi della saga e quelli nuovi.
L'effetto nostalgia è potente, visto la presenza del cast completo della trilogia classica, e la scelta di effetti speciali più tradizionali, senza l'onnipresente CGI e l'uso smodato di green screen che dilagavano nei prequel. Ambienti e personaggi sono il più possibili "reali", anche se non mancano creature realizzate in digitale (c'è pure Serkis in versione Gollum gigante). L'intento del regista era di armonizzare visivamente il film con i precedenti capitoli, operazione riuscita con una certa facilità, visto l'amore smodato che Abrams mostra per il cinema a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta (si veda la spassosa citazione di Apocalypse Now).
Imperdibile per i fans di Star Wars, puro e divertente intrattenimento per tutti gli altri.
Star Wars: Episodio VII - Il risveglio della forza (Star Wars: The Force Awakens, USA 2015)
Un film di J.J. Abrams.
Con Harrison Ford, Carrie Fisher, Mark Hamill, Anthony Daniels, Peter Mayhew, Kenny Baker, John Boyega, Daisy Ridley, Adam Driver, Oscar Isaac, Andy Serkis, Domhnall Gleeson, Max von Sydow, Lupita Nyong'o.
Durata 136 min.
lunedì 14 dicembre 2015
Bianca balena
Storia vera della baleniera Essex, affondata nel 1821 nel Pacifico da un enorme capodoglio, fonte d'ispirazione per il Moby Dick di Melville.
Ron Howard ci trasporta in un passato in cui l'olio di balena serve a illuminare il mondo e i cetacei vengono cacciati senza sosta. Lo fa con un film dall'impianto narrativo tradizionale, con toni epici e scene spettacolari, in uno stile hollywoodiano classico che è un po' il suo marchio di fabbrica. Il film presenta una cornice narrativa in cui un giovane Melville intervista l'ultimo sopravvissuto del naufragio della Essex, Thomas Nickerson (un grandioso Brendan Gleeson). Imbarcato giovanissimo sulla baleniera, Thomas ci racconta la storia dell'ultimo viaggio della nave e dello scontro tra l'inesperto capitano Pollard (che comanda per diritto di nascita) e l'ambizioso e scafato primo ufficiale Chase. La rivalità tra i due e l'avidità porterà a conseguenze tragiche. La Essex navigherà fin dove nessuno si era spinto prima, misurandosi in una battaglia con le forze della natura, incarnate da un gigantesco e vendicativo capodoglio.
Il regista ci porta sulle lance, all'inseguimento delle balene, con riprese da reportage in presa diretta, ma in formato spettacolare, con un montaggio concitato e schizzi di acqua sull'obiettivo. Le scene marinare sono sicuramente il punto forte del film, altrimenti un po' troppo retrò. Desta perplessità invece una certa sensibilità proto-ecologista, che emerge nella figura di Chase, un po' anacronistica e forzata, mentre la mentalità del capitano sembra rispecchiare in modo troppo didascalico la visione del mondo dell'epoca: l'uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, deve dominare e vincere la natura. Ma in questo caso l'uomo perde la sua battaglia.
Film da vedere assolutamente su grande schermo, dove rende al meglio. Per amanti di balene e fan di Chris Hemsworth.
Heart of the Sea - Le origini di Moby Dick (In the Heart of the Sea, USA 2015)
Un film di Ron Howard.
Con Chris Hemsworth, Benjamin Walker, Cillian Murphy, Tom Holland, Ben Whishaw, Brendan Gleeson
Durata 121 min.
mercoledì 25 novembre 2015
Fine dei giochi
Si arriva alla resa dei conti a Panem. Mentre i ribelli stanno sferrando l'attacco definitivo a Capitol City, Katniss, tentando di smarcarsi dall'ingombrante ruolo di eroina-simbolo della rivolta, parte verso il palazzo presidenziale per attuare la sua vendetta personale nei confronti del presidente Snow. Non tutto filerà liscio.
La fastidiosa mania di espandere narrazioni, per aggiungere capitoli a saghe redditizie, crea questi strani film squilibrati. La storia riparte da dove si era interrotta l'anno scorso, si prende un po' di tempo per farci intendere che Katniss è nuovamente la pedina di un gioco più grande e poi via col videogame degli Hunger Games formato guerriglia urbana.
La nostra eroina muore e risorge un paio di volte, prima di giungere allo scontro finale, dove, con una scelta inspiegabile, il regista svuota il film di ogni pathos, grazie a un montaggio a dir poco ellittico, che smorza il momento più drammatico del film: coraggiosa scelta artistica o puttanata?
Come nel precedente capitolo, ho trovato più interessante la rappresentazione dei giochi di potere e i momenti "psicologici" che le scene d'azione (le trappole mortali sono sempre più improbabili e surreali), ma il film raramente appassiona e il loffio finale bucolico, con Katniss mansueta mammina, ci lascia una certa tristezza nel cuore.
Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte II
(The Hunger Games: Mockingjay Part 2, USA 2015)
Un film di Francis Lawrence.
Con Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Julianne Moore, Wes Chatham, Elden Henson, Elizabeth Banks, Sam Claflin, Liam Hemsworth, Philip Seymour Hoffman, Stanley Tucci, Woody Harrelson, Donald Sutherland.
Durata 136 min.
sabato 7 novembre 2015
Lo spettro della noia
James Bond è alle prese con una fantomatica organizzazione pronta a prendere il controllo del mondo grazie a una capillare rete di sorveglianza e informazione. Dovrà confrontarsi con il più pericoloso dei suoi nemici.
Il quarto (e probabilmente ultimo) capitolo del reboot di 007 versione Craig non entusiasma come il precedente Skyfall, che resta in assoluto il migliore della serie. E proprio per questo le aspettative erano alte, forse troppo. Ma Spectre manca di profondità e di inventiva, non riuscendo mai a sorprendere nella sua lunga sarabanda di location, lotte e inseguimenti. Sembra un lavoro fatto per contratto, un po' col pilota automatico, nonostante il notevole cast e Sam Mendes alla regia. Fatta salva la sequenza monstre del prologo, che fa ben sperare, il resto delle pellicola riserva ben poche scene memorabili, riproponendo topos del genere senza troppa originalità, né di sceneggiatura né di messa in scena (tra l'altro è cambiato il direttore della fotografia e si vede).
Mendes dice di aver voluto fare un film più leggero e meno cupo rispetto al precedente, ma Daniel Craig non è Roger Moore e non veste bene i panni dello sciupafemmine dalla battuta facile.
Christoph Waltz interpreta un malvagio da manuale, tentando di dare spessore ad un mitico cattivo della saga, solitamente ridotto a mera macchietta, Monica Bellucci è una poco credibile vedova "consolabile" e alla fulgida Léa Seydoux tocca il ruolo di una ritrosa "Bond girl", forse un po' troppo giovane per il nostro 007.
Il film – il più costoso della serie – gioca sull'accumulo tentando di puntare al rialzo, ma, mancando di una solida sceneggiatura, finisce per diventare un accrocchio di location esotiche e prevedibili scene d'azione, che danno più noia che piacere. Lo stress da prestazione non porta a nulla di buono. Peccato.
Spectre (USA, 2015)
Un film di Sam Mendes.
Con Daniel Craig, Léa Seydoux, Ralph Fiennes, Ben Whishaw, Naomie Harris, Dave Bautista, Christoph Waltz, Monica Bellucci, Andrew Scott.
Durata 148 min.
domenica 11 ottobre 2015
C'è vita su Marte... ma solo il sabato sera
Nel corso di una spedizione spaziale su Marte, il botanico Mark Watney, creduto morto durante una tempesta, viene abbandonato sul pianeta. Dovrà cavarsela da solo – come un Robinson Crusoe dello spazio – nell'attesa della prossima missione.
Il nuovo film del veterano Ridley Scott è un furbo mix tra Cast Away e Apollo 13, ravvivato da una sceneggiatura brillante e una interpretazione scanzonata di Matt Damon. Nonostante lo sviluppo prevedibile e la conclusione scontata, il film tiene desta l'attenzione dello spettatore, con un buon ritmo e una spiazzante (e ironica) colonna sonora disco. Una confezione visivamente impeccabile e un cast "di contorno" di altissimo livello contribuiscono non poco alla riuscita della pellicola.
Certo, per un film che vorrebbe essere il più possibile realistico e basato su elementi scientifici, alcuni dettagli chiedono molto alla sospensione dell'incredulità e uscendo dalla sala un quesito su tutti ci attanaglia: ma che razza di nastro adesivo usano alla Nasa?
Sopravvissuto - The Martian (The Martian, USA, 2015)
Un film di Ridley Scott.
Con Matt Damon, Jessica Chastain, Kristen Wiig, Mackenzie Davis, Kate Mara, Jeff Daniels, Sean Bean, Chiwetel Ejiofor.
Durata 130 min.
sabato 3 ottobre 2015
Le emozioni danno spettacolo
Viaggio nella mente di Riley, una ragazzina undicenne in un momento cruciale della sua vita, quando i suoi genitori si trasferiscono dal Minnesota a San Francisco. Un banale trasloco si trasforma così in un dramma interiore, che viviamo minuto per minuto attraverso la personificazione delle sue emozioni, che si alternano ai comandi della sua mente, rappresentata come una sorta di torre di controllo.
La Pixar torna a volare alto dopo un paio di film mediocri, grazie a questa originale storia diretta dal ragazzo meraviglia Pete Docter (ha scritto Toy Story e Wall-E, diretto Monster's & Co. e quel capolavoro assoluto che è Up).
Inside out osa sia sul piano narrativo (sceneggiatura piena di sorprese e invenzioni riuscite) che tecnico (lo strepitoso character design delle emozioni, la stupefacente visualizzazione della mente e dei suoi meccanismi). Docter non ha paura di "filmare" l'infilmabile e lo fa sempre con grande naturalezza e ingegnosità.
La trama parte da un episodio banale per costruire una specie di "viaggio allucinante" nella mente di Riley, con protagoniste Gioia e Tristezza, sbalzate via dalla plancia di comando per un incidente. La mente della ragazzina si trova così in balia di Paura, Disgusto e Rabbia, con conseguenze spiacevoli per la sua vita. Il viaggio nei meandri della mente è assolutamente strepitoso per spettacolarità e
inventiva: la fabbrica dei sogni stile Hollywood, l'inconscio con i "piantagrane" chiusi in un sotterraneo e il passaggio nel pensiero astratto sono frutto di puro genio.
Come nei migliori film della Pixar, ritroviamo anche qui la perfetta combinazione di humour e commozione, grazie ad una scrittura perfetta e una messa in scena curata e innovativa (si veda come viene reso il corpo luminoso di Gioia, per esempio).
Inside Out è forse un film più per adulti che per bambini perché parla con grande sensibilità del momento in cui abbandoniamo l'infanzia, con i suoi magici sogni e gli amici immaginari. Esso è anche uno dei più riusciti affreschi del nostro sconfinato mondo interiore, che può essere colorato e divertente ma anche cupo e spaventoso. Da non perdere.
Inside Out (USA, 2015)
Un film di Pete Docter.
Animazione,
Durata 94 min.
martedì 26 maggio 2015
Il futuro di ieri
Un'utopica città del futuro, un bambino geniale di ieri, un'altrettanto brillante ragazza di oggi e una strana bimba sono i protagonisti principali di questo sorprendente film per grandi e piccini, una fiaba contemporanea in perfetto stile Disney.
Brad Bird (autore di capolavori d'animazione come Il gigante di ferro, Gli Incredibili e Ratatouille) firma un riuscito omaggio all'idea positiva del futuro degli anni Sessanta, quella dell'Esposizione Universale di New York e dei parchi a tema di Walt Disney, molto ottimista e piena di speranza in un domani fantastico, mostrando però anche il rovescio della medaglia. Costruisce tutto il film sullo scontro tra l'indole pessimista e negativa del ex-bambino prodigio divenuto un adulto cinico e disilluso e quella solare e ottimista della ragazza che è destinata a salvare il mondo.
Il film è girato in modo brillante, pieno di ritmo e di invenzioni narrative e visive, con non pochi ammiccamenti al mondo dei cartoon e soprattutto con un uso degli effetti speciali sensato e intelligente. Gli omaggi alla fantascienza di ieri si sprecano (da Jules Verne a Hugo Gernsback), come le strizzate d'occhio allo steampunk (tenete d'occhio la Tour Eiffel!) e all'universo di Star Wars (marchio acquisito dalla Disney), come si vede nella ipercinetica sequenza nel negozio di memorabilia (con tanto di uso improprio degli oggetti da collezione di Guerre Stellari).
Il regista non manca di sbeffeggiare pure un secolo di distopie letterarie, nonché la nostra assuefazione alle catastrofi: splendida in questo senso la sequenza a scuola con l'escalation di lezioni deprimenti, che la protagonista cerca invano di interrompere.
Insomma, tra tanti sequel, reboot e idee riciclate, finalmente un film originale, ben confezionato e divertente. Da vedere.
Tomorrowland - Il mondo di domani (Tomorrowland, USA, 2015)
Un film di Brad Bird.
Con Britt Robertson, George Clooney, Raffey Cassidy, Hugh Laurie, Kathryn Hahn, Judy Greer.
Durata 130 min.
sabato 23 maggio 2015
La grande giovinezza
Due amici in là con gli anni, il compositore in pensione Fred Ballinger e il regista hollywoodiano Mick Boyle, passano del tempo assieme in un esclusivo grand hotel nelle Alpi svizzere. Il primo spende apaticamente le giornate tra trattamenti rilassanti e check-up medici, il secondo lavora alla sceneggiatura del suo prossimo (e probabilmente ultimo) film. Un emissario della regina d'Inghilterra con un incarico importante e la figlia appena lasciata del marito, vengono a turbare la routine delle giornate di Ballinger.
Quello che doveva essere un piccolo e intimo film – secondo le parole del regista - è in realtà un'opera ambiziosa (al limite del pretenzioso), sostenuta da un quartetto d'attori di grande bravura, ricca di magnificenza visiva e accompagnata da una colonna sonora come sempre sorprendente. Insomma Youth è Sorrentino all'ennesima potenza, nel bene e nel male. Ci sono tutti i suoi pregi (grandissima cura visiva, attori scelti con attenzione sino all'ultima comparsa, battute fulminanti, grandi atmosfere, musica geniale) ma pure tutti i suoi difetti, qui più evidenti che mai, con i suoi dialoghi sentenziosi, pieni zeppi di aforismi, che tendono a indebolire i personaggi fino quasi a farli sembrare un po' falsi e senz'anima. Youth, pur essendo un bel film, sembra tendere spesso all'esercizio di stile: elegante, intelligente, spesso profondo, ma che manca di vera umanità ed empatia. Nonostante i temi affrontati siano di quelli tosti (il senso del futuro a ottanta anni, il rapporto con i figli, l'amore e i suoi rimpianti e poi il cinema, la musica, la passione…), il film lascia lo spettatore un po' freddo e scivola via senza lasciare traccia...
Però lo fa con grande bellezza, direi.
Youth - La giovinezza (Italia / Francia / Svizzera / Gran Bretagna, 2015)
Un film di Paolo Sorrentino.
Con Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano, Jane Fonda.
Durata 118 min.
venerdì 15 maggio 2015
Fiabe adulte
Una regina sterile partorirà solo dopo aver mangiato il cuore di un drago marino; un re s'innamora di una vecchia rapito solo dalla sua voce; un altro re, che alleva in segreto una pulce enorme, darà in sposa l'unica figlia ad un orco. Al centro di tutti e tre i racconti, figure femminili che devono fare i conti con i loro desideri (maternità, giovinezza, amore): tutte saranno in qualche modo esaudite, ma sempre a caro prezzo.
Tre fiabe nere e adulte, tratte da Lo cunto de li cunti di Basile, s'intrecciano nel film di Garrone, che, con un apparente scarto, passa da Reality al fantasy. I due film hanno in comune più di quel che sembra: Reality era una moderna fiaba sulla Nostra Italia dei Balocchi, mentre quest'ultima opera è piena degli echi di alcune ossessioni contemporanee (come il desiderio di apparire giovani o la maternità a tutti i costi).
Garrone realizza un film che è un inconsueto ibrido tra il cinema fantastico e quello d'autore, mettendo in scena le immaginifiche e barocche fiabe di Basile con mano ferma e uno stile controllato. È pittorico, ma senza eccedere nel visionario, sfruttando con intelligenza meravigliose location naturali e architettoniche italiane. Nonostante il genere, Il racconto dei racconti è un film fortemente realistico nella messa in scena, con scelte di set quasi pasoliniane. Persino negli effetti speciali si prediligono i trucchi meccanici al posto dell'imperante CGI.
È un film che si prende i suoi tempi, privilegiando le immagini ai dialoghi e che spiazza continuamente lo spettatore con scarti narrativi imprevisti e spesso enigmatici. Garrone fa del cinema maiuscolo come pochi in Italia e affronta in modo personalissimo un genere per niente frequentato nel nostro Paese negli ultimi decenni. Audace.
Il racconto dei racconti - Tale of Tales (Italia / Francia / Gran Bretagna, 2015)
Un film di Matteo Garrone.
Con Salma Hayek, John C. Reilly, Christian Lees, Jonah Lees, Alba Rohrwacher.
Durata 125 min.
venerdì 17 aprile 2015
La morte al lavoro
Margherita è una regista che sta girando un film su una fabbrica occupata, mentre sua madre sta lentamente morendo.
Nanni Moretti realizza un film intimista, che affronta in modo toccante e laico il tema della morte, lasciando a Margherita Buy il compito di incarnare il suo alter ego e ritagliando per sé solo una parte marginale come fratello della regista.
Il tema e il tono non è certo da commedia, ma l'atmosfera è più lieve de La stanza del figlio, che affrontava la morte e l'elaborazione del lutto in maniera molto più drammatica. I momenti più divertenti sono regalati da un istrionico John Turturro, star americana nel film di Margherita, con alcune gustose scene che stemperano un po' la cupezza della pellicola.
Moretti sembra voler prendere le distanze da certo cinema impegnato a tutti i costi e palesa ancora una volta la sua idiosincrasia per ogni tipo di retorica. E lo fa proprio con un film raccolto, privato, intimo, in cui la durezza dei tempi riecheggia solo attraverso la finzione (spesso sottolineata) del film nel film.
Il rapporto con la madre (un'ottima Giulia Lazzarini) viene raccontato attraverso ricordi, sogni e sequenze stranianti, che si confondono in modo ambiguo con la realtà, un percorso doloroso che la protagonista è costretta a fare prima di accettare l'ineluttabile. Finale splendidamente lapidario.
Mia madre (Italia, Francia, Germania, 2015)
Un film di Nanni Moretti
Con Margherita Buy, John Turturro, Giulia Lazzarini, Nanni Moretti, Beatrice Mancini
Durata 106 min.
sabato 14 febbraio 2015
L'inevitabile follia dell'attore
Riggan Thomson è un attore sull'orlo di una crisi di nervi, divenuto celebre interpretando decenni prima un supereroe (Birdman), che decide di rilanciare la sua carriera mettendo in scena un dramma di Carver a Broadway. Tra attori folli, figlie tossiche, critiche bastarde e allucinazioni invadenti non sarà un'impresa facile.
Il regista mette in scena un classico "teatro nel teatro" pirandelliano, pedinando costantemente il suo protagonista che tenta di portare in scena un dramma, mentre la sua salute mentale va a rotoli. Birdman è un amaro dramma (quasi) da camera, che mescola magistralmente verità e finzione, realtà e allucinazione, girato virtuosisticamente come un unico interminabile piano-sequenza, con la steadycam sempre addosso agli attori. Interpretato da uno strepitoso Michael Keaton, coadiuvato da un cast perfetto, Birdman non risparmia nessuno, fustigando l'infantile amore hollywoodiano per gli eroi in calzamaglia (e Keaton ne sa qualcosa), le manie di un attore odioso che riesce ad essere "vero" solo sul palco, la critica teatrale prevenuta e snob, nonché le stesse ambizioni intellettuali del protagonista.
Iñárritu fonde perfettamente una tecnica di ripresa iperrealista (quasi da reality) con inaspettate e spiazzanti derive visionarie, come l'apparente potere telecinetico del protagonista e un pre-finale onirico e poetico.
Mentre la scelta di girare in piano-sequenza si è già vista in passato (da Nodo alla gola di Hitchcock all'Arca russa di Sokurov), appare piuttosto innovativo lo score originale realizzato unicamente con la batteria, che si fonde con suoni e musiche interni al film. Meritate tutte le nove candidature agli Oscar.
Birdman o (L'imprevedibile virtù dell'ignoranza)
Birdman or (The Unexpected Virtue of Ignorance), USA 2014
Un film di Alejandro González Iñárritu.
Con Michael Keaton, Zach Galifianakis, Edward Norton, Andrea Riseborough, Amy Ryan, Emma Stone, Naomi Watts.
Durata 119 min.
Il regista mette in scena un classico "teatro nel teatro" pirandelliano, pedinando costantemente il suo protagonista che tenta di portare in scena un dramma, mentre la sua salute mentale va a rotoli. Birdman è un amaro dramma (quasi) da camera, che mescola magistralmente verità e finzione, realtà e allucinazione, girato virtuosisticamente come un unico interminabile piano-sequenza, con la steadycam sempre addosso agli attori. Interpretato da uno strepitoso Michael Keaton, coadiuvato da un cast perfetto, Birdman non risparmia nessuno, fustigando l'infantile amore hollywoodiano per gli eroi in calzamaglia (e Keaton ne sa qualcosa), le manie di un attore odioso che riesce ad essere "vero" solo sul palco, la critica teatrale prevenuta e snob, nonché le stesse ambizioni intellettuali del protagonista.
Iñárritu fonde perfettamente una tecnica di ripresa iperrealista (quasi da reality) con inaspettate e spiazzanti derive visionarie, come l'apparente potere telecinetico del protagonista e un pre-finale onirico e poetico.
Mentre la scelta di girare in piano-sequenza si è già vista in passato (da Nodo alla gola di Hitchcock all'Arca russa di Sokurov), appare piuttosto innovativo lo score originale realizzato unicamente con la batteria, che si fonde con suoni e musiche interni al film. Meritate tutte le nove candidature agli Oscar.
Birdman o (L'imprevedibile virtù dell'ignoranza)
Birdman or (The Unexpected Virtue of Ignorance), USA 2014
Un film di Alejandro González Iñárritu.
Con Michael Keaton, Zach Galifianakis, Edward Norton, Andrea Riseborough, Amy Ryan, Emma Stone, Naomi Watts.
Durata 119 min.
venerdì 6 febbraio 2015
Fanta-capitalismo sfrenato
Jupiter Jones, oltre ad avere un nome improbabile e un lavoro poco credibile come donna delle pulizie (visto che ha il volto di Mila Kunis), scopre di essere una regina di un'antica dinastia spaziale con diritto di proprietà sulla Terra. Gli aristocratici parenti la vogliono morta, ma riceverà l'aiuto di una specie di mercenario mutante, mezzo uomo e mezzo Channing Tatum. La fine è nota.
Pasticcio spaziale in sala Wachowski, che frulla ogni possibile film o romanzo di fantascienza e produce un minestrone visivamente barocco ma dalla trama non molto originale. Effetti speciali in grande spolvero, ma idee poche e quelle che ci sono rimandano ad altri film. Cito i primi che mi vengono in mente: lo spunto della persona qualunque scaraventata in una space-opera viene dalla Guida galattica per gli autostoppisti, l'idea del feroce capitalismo spaziale strizza l'occhio a Essi vivono, gli alieni che cancellano dalla mente dei testimoni avvenimenti scomodi rimandano al neuralizzatore dei Men in Black, l'economia galattica basata sull'elisir ricorda la spezia del ciclo di Dune, così come il design e le scenografie tra l'art decò e il liberty riecheggiano la versione che ne fece Lynch; c'è pure la burocrazia grottesca del Brazil di Gilliam (e pure Gilliam stesso), mentre con l'uso "agro-industriale" degli esseri umani i Wachowski si autocitano (Matrix).
Eddie Redmayne è bravo al fare il cattivo e resta serio anche mentre spara un risibile pistolotto sul profitto come elemento fondante di tutto l'universo, Mila Kunis è spaesata, Channing Tatum è decorativo e Sean Bean – a sorpresa – resta vivo fino alla fine.
Concludendo: troppo fumo poco arrosto. Perciò complimenti all'art director e ai tecnici degli effetti visivi, no comment sugli autori e registi Wachowski Brothers, che da un po' non imbroccano un film (anche se Cloud Atlas mi era piaciuto).
Jupiter - Il destino dell'universo (Jupiter Ascending / USA, 2015)
Un film di Lana & Andy Wachowski.
Con Channing Tatum, Mila Kunis, Sean Bean, Eddie Redmayne, Douglas Booth.
Durata 125 min.
Pasticcio spaziale in sala Wachowski, che frulla ogni possibile film o romanzo di fantascienza e produce un minestrone visivamente barocco ma dalla trama non molto originale. Effetti speciali in grande spolvero, ma idee poche e quelle che ci sono rimandano ad altri film. Cito i primi che mi vengono in mente: lo spunto della persona qualunque scaraventata in una space-opera viene dalla Guida galattica per gli autostoppisti, l'idea del feroce capitalismo spaziale strizza l'occhio a Essi vivono, gli alieni che cancellano dalla mente dei testimoni avvenimenti scomodi rimandano al neuralizzatore dei Men in Black, l'economia galattica basata sull'elisir ricorda la spezia del ciclo di Dune, così come il design e le scenografie tra l'art decò e il liberty riecheggiano la versione che ne fece Lynch; c'è pure la burocrazia grottesca del Brazil di Gilliam (e pure Gilliam stesso), mentre con l'uso "agro-industriale" degli esseri umani i Wachowski si autocitano (Matrix).
Eddie Redmayne è bravo al fare il cattivo e resta serio anche mentre spara un risibile pistolotto sul profitto come elemento fondante di tutto l'universo, Mila Kunis è spaesata, Channing Tatum è decorativo e Sean Bean – a sorpresa – resta vivo fino alla fine.
Concludendo: troppo fumo poco arrosto. Perciò complimenti all'art director e ai tecnici degli effetti visivi, no comment sugli autori e registi Wachowski Brothers, che da un po' non imbroccano un film (anche se Cloud Atlas mi era piaciuto).
Jupiter - Il destino dell'universo (Jupiter Ascending / USA, 2015)
Un film di Lana & Andy Wachowski.
Con Channing Tatum, Mila Kunis, Sean Bean, Eddie Redmayne, Douglas Booth.
Durata 125 min.
martedì 6 gennaio 2015
Occhioni da mercante
California, fine anni Cinquanta. Margaret, giovane madre con velleità artistiche, da poco divorziata, incontra William Keane, sedicente pittore. Si amano, si sposano e grazie al geniale talento commerciale del marito, i quadri della pittrice, pieni di tristi orfani dai grandi occhi, diventeranno molto popolari e richiesti. Ma ben presto la donna capirà di aver fatto un patto col diavolo.
Big Eyes, ovvero il kitsch nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, è un bel film su cattiva arte e ottimo marketing, sul grande mito americano di inseguire i propri sogni, anche a costo di trovarsi nel peggiore degli incubi.
Apparentemente lontano dalla poetica burtoniana, in realtà propone un altro dei freak tanto cari al regista: "©KEANE" è un mostro artistico che unisce due talenti complementari, innocui se separati, ma dirompenti una volta uniti nella lotta per un posto al sole nell'elitario mondo dell'arte. Le opere di Margaret non sarebbe mai diventate così famose senza l'intervento del marito, genio della vendita quanto cialtrone e mitomane. E quest'ultimo non sarebbe mai potuto entrare nel jet set e fare la bella vita senza i quadri della moglie.
Amy Adams delinea in modo convincente una donna ingenua e sensibile, complice passiva dei maneggi truffaldini del marito. Christoph Waltz è ancora una volta l'uomo che amiamo odiare: mellifluo, falso, bugiardo ma forse un po' troppo gigione nella farsa processuale finale.
Ipercolorato e pop, il film confina i toni dark nell'animo umano, nella folle ambizione senza talento di Walter, nella colpevole sottomissione di Margaret, vittima di tempi maschilisti e bacchettoni. Sotto la sua rassicurante forma di biopic tradizionale, il film cela un sacco di temi stimolanti e profondi, dalla difficoltà di essere donna e artista, all'analisi del labile confine tra arte e kitsch, dal valore di un opera d'arte alla manipolazione dei mass media. Imperdibile per i pittori, gustoso per tutti gli altri.
Big Eyes (USA, 2014)
Un film di Tim Burton.
Con Amy Adams, Christoph Waltz, Danny Huston, Krysten Ritter, Jason Schwartzman.
Durata 106 min.
Big Eyes, ovvero il kitsch nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, è un bel film su cattiva arte e ottimo marketing, sul grande mito americano di inseguire i propri sogni, anche a costo di trovarsi nel peggiore degli incubi.
Apparentemente lontano dalla poetica burtoniana, in realtà propone un altro dei freak tanto cari al regista: "©KEANE" è un mostro artistico che unisce due talenti complementari, innocui se separati, ma dirompenti una volta uniti nella lotta per un posto al sole nell'elitario mondo dell'arte. Le opere di Margaret non sarebbe mai diventate così famose senza l'intervento del marito, genio della vendita quanto cialtrone e mitomane. E quest'ultimo non sarebbe mai potuto entrare nel jet set e fare la bella vita senza i quadri della moglie.
Amy Adams delinea in modo convincente una donna ingenua e sensibile, complice passiva dei maneggi truffaldini del marito. Christoph Waltz è ancora una volta l'uomo che amiamo odiare: mellifluo, falso, bugiardo ma forse un po' troppo gigione nella farsa processuale finale.
Ipercolorato e pop, il film confina i toni dark nell'animo umano, nella folle ambizione senza talento di Walter, nella colpevole sottomissione di Margaret, vittima di tempi maschilisti e bacchettoni. Sotto la sua rassicurante forma di biopic tradizionale, il film cela un sacco di temi stimolanti e profondi, dalla difficoltà di essere donna e artista, all'analisi del labile confine tra arte e kitsch, dal valore di un opera d'arte alla manipolazione dei mass media. Imperdibile per i pittori, gustoso per tutti gli altri.
Big Eyes (USA, 2014)
Un film di Tim Burton.
Con Amy Adams, Christoph Waltz, Danny Huston, Krysten Ritter, Jason Schwartzman.
Durata 106 min.
domenica 4 gennaio 2015
America letale
Chris Kyle è un cowboy texano che decide di servire la patria dopo gli attentati alle ambasciate USA in Kenia e Tanzania. Si arruola nei Navy Seal e in Iraq diventa ben presto un mito grazie alla sua mira infallibile, che ne fa uno dei più micidiali cecchini della storia. Tra una missione e l'altra si sposa e mette su famiglia, ma la guerra gli entra nell'animo, rischiando di rovinare per sempre la vita familiare.
Nuovo cazzuto film del vecchio Clint, basato su una storia vera e interpretato da un massiccio e sorprendente Bradley Cooper. La vicenda viene affrontata senza fronzoli né retorica, in maniera cruda e realistica, fin dalla scena iniziale, con il protagonista che, in pochi secondi, deve decidere se abbattere un bambino che porta una granata. Con una brillante scelta registica la scena viene interrotta da un flashforward (Chris con il figlio a caccia) seguito da un flashback, che ci narra in modo secco ed efficace prima l'infanzia e poi la gioventù del protagonista. Cresciuto ai semplici e limpidi valori del ruvido padre, Chris non ha dubbi su cosa fare della sua vita una volta adulto. Dopo il duro addestramento nei Seal, si trova catapultato, fresco sposo, a "difendere la patria" in Iraq, anche quando questo significa sparare su mamme e bambini. È una guerra sporca e assurda, ma a differenza del fratello (anch'egli soldato), Chris non sembra perdere mai la fede nella sua missione. Però poi, quando torna a casa, similmente all'artificiere di The Hurt Locker, la guerra lo segue, avvelenando il ménage familiare.
Eastwood firma un'opera dove il sogno americano è ormai un incubo paranoico e la guerra sembra paradossalmente l'unico modo per sentirsi in pace. È un film pregno di angoscia e di tensione, non solo nelle scene di battaglia (girate magistralmente), ma anche negli interludi familiari, con più di un paio di sequenze che difficilmente si scorderanno, come l'ultima missione, con le immagini che si dissolvono nel rosso di una tempesta di sabbia.
La vicenda di questo eroe americano si conclude in modo tragicamente ironico, suggellando perfettamente questa parabola sull'insensatezza della guerra. Un altro grande sorprendente film di una vecchia icona del cinema americano, tutt'altro che pronta per la pensione.
American Sniper (USA, 2015)
Un film di Clint Eastwood.
Con Bradley Cooper, Sienna Miller, Jake McDorman, Luke Grimes, Navid Negahban.
Durata 134 min.
Nuovo cazzuto film del vecchio Clint, basato su una storia vera e interpretato da un massiccio e sorprendente Bradley Cooper. La vicenda viene affrontata senza fronzoli né retorica, in maniera cruda e realistica, fin dalla scena iniziale, con il protagonista che, in pochi secondi, deve decidere se abbattere un bambino che porta una granata. Con una brillante scelta registica la scena viene interrotta da un flashforward (Chris con il figlio a caccia) seguito da un flashback, che ci narra in modo secco ed efficace prima l'infanzia e poi la gioventù del protagonista. Cresciuto ai semplici e limpidi valori del ruvido padre, Chris non ha dubbi su cosa fare della sua vita una volta adulto. Dopo il duro addestramento nei Seal, si trova catapultato, fresco sposo, a "difendere la patria" in Iraq, anche quando questo significa sparare su mamme e bambini. È una guerra sporca e assurda, ma a differenza del fratello (anch'egli soldato), Chris non sembra perdere mai la fede nella sua missione. Però poi, quando torna a casa, similmente all'artificiere di The Hurt Locker, la guerra lo segue, avvelenando il ménage familiare.
Eastwood firma un'opera dove il sogno americano è ormai un incubo paranoico e la guerra sembra paradossalmente l'unico modo per sentirsi in pace. È un film pregno di angoscia e di tensione, non solo nelle scene di battaglia (girate magistralmente), ma anche negli interludi familiari, con più di un paio di sequenze che difficilmente si scorderanno, come l'ultima missione, con le immagini che si dissolvono nel rosso di una tempesta di sabbia.
La vicenda di questo eroe americano si conclude in modo tragicamente ironico, suggellando perfettamente questa parabola sull'insensatezza della guerra. Un altro grande sorprendente film di una vecchia icona del cinema americano, tutt'altro che pronta per la pensione.
American Sniper (USA, 2015)
Un film di Clint Eastwood.
Con Bradley Cooper, Sienna Miller, Jake McDorman, Luke Grimes, Navid Negahban.
Durata 134 min.
sabato 3 gennaio 2015
A beautiful game
The Imitation Game è un biopic dall'impianto abbastanza tradizionale che narra la vita del geniale matematico inglese Alan Turing, ovvero come vincere la guerra e inventare il computer.
Il film si concentra soprattutto sugli anni della Seconda Guerra Mondiale, quando a Bletchley Park un pugno di giovani scienziati, guidati da Turing, trova la chiave per decodificare Enigma, il più potente sistema crittografico dell'epoca, escogitato dai nazisti per rendere illeggibili tutte le loro comunicazioni militari. Il sempre bravo Cumberbatch tratteggia un Turing disadattato, asociale, con seri problemi relazionali, una versione ancor più antipatica del suo celebre Sherlock Holmes, quanto altrettanto geniale. Insomma, si ripete il cliché genio=strambo (il John Nash di A Beautiful Mind insegna), anche se l'attore inglese cerca di non esagerare e ci offre un'interpretazione piuttosto controllata, per quanto la sceneggiatura pare compiacersi dei lati più aspri della figura del matematico. Bella comunque l'intuizione della contrapposizione tra il talento innato di Turing nel decodificare i crittogrammi più insidiosi e la sua totale incapacità di comprendere le persone che lo circondano.
La trama evita di addentrarsi negli aspetti più tecnici della vicenda, preferendo giocare sulla crescente tensione nei tentativi di risolvere il rompicapo, spettacolarizzando al massimo la battaglia contro il tempo. Così facendo non rende giustizia alle geniali intuizioni di Turing e alla sua mente unica, preferendo una via più facile e accattivante. In secondo piano resta anche il tema dell'omosessualità e piuttosto sbrigativo risulta il finale, che accenna appena al vergognoso processo subito all'epoca e alla castrazione chimica a cui venne condannato lo scienziato.
The Imitation Game è un dignitoso film biografico, sostenuto da un buon cast (oltre a Keira Knightley si fanno notare anche due bravi attori specialisti in ruoli da villain come Charles Dance e Mark Strong), ma che avrebbe potuto osare di più, soprattutto approfondendo maggiormente l'aspetto scientifico delle idee di Turing e la sua complessa personalità. Cumberbatch comunque in zona Oscar.
The Imitation Game (Gran Bretagna / USA, 2014)
Un film di Morten Tyldum.
Con Benedict Cumberbatch, Keira Knightley, Matthew Goode, Mark Strong, Rory Kinnear, Charles Dance.
Durata 113 min.
Il film si concentra soprattutto sugli anni della Seconda Guerra Mondiale, quando a Bletchley Park un pugno di giovani scienziati, guidati da Turing, trova la chiave per decodificare Enigma, il più potente sistema crittografico dell'epoca, escogitato dai nazisti per rendere illeggibili tutte le loro comunicazioni militari. Il sempre bravo Cumberbatch tratteggia un Turing disadattato, asociale, con seri problemi relazionali, una versione ancor più antipatica del suo celebre Sherlock Holmes, quanto altrettanto geniale. Insomma, si ripete il cliché genio=strambo (il John Nash di A Beautiful Mind insegna), anche se l'attore inglese cerca di non esagerare e ci offre un'interpretazione piuttosto controllata, per quanto la sceneggiatura pare compiacersi dei lati più aspri della figura del matematico. Bella comunque l'intuizione della contrapposizione tra il talento innato di Turing nel decodificare i crittogrammi più insidiosi e la sua totale incapacità di comprendere le persone che lo circondano.
La trama evita di addentrarsi negli aspetti più tecnici della vicenda, preferendo giocare sulla crescente tensione nei tentativi di risolvere il rompicapo, spettacolarizzando al massimo la battaglia contro il tempo. Così facendo non rende giustizia alle geniali intuizioni di Turing e alla sua mente unica, preferendo una via più facile e accattivante. In secondo piano resta anche il tema dell'omosessualità e piuttosto sbrigativo risulta il finale, che accenna appena al vergognoso processo subito all'epoca e alla castrazione chimica a cui venne condannato lo scienziato.
The Imitation Game è un dignitoso film biografico, sostenuto da un buon cast (oltre a Keira Knightley si fanno notare anche due bravi attori specialisti in ruoli da villain come Charles Dance e Mark Strong), ma che avrebbe potuto osare di più, soprattutto approfondendo maggiormente l'aspetto scientifico delle idee di Turing e la sua complessa personalità. Cumberbatch comunque in zona Oscar.
The Imitation Game (Gran Bretagna / USA, 2014)
Un film di Morten Tyldum.
Con Benedict Cumberbatch, Keira Knightley, Matthew Goode, Mark Strong, Rory Kinnear, Charles Dance.
Durata 113 min.
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