sabato 14 aprile 2012

La notte dei manganelli

Genova, G8 del 2001. Le grandi manifestazioni popolari del Genova Social Forum vengono funestate dalle devastazioni dei black bloc e dalla morte di Carlo Giuliani. La sera del 21 luglio la polizia, con  il pretesto di un'aggressione subita da una pattuglia, fa irruzione alla scuola Diaz, uno dei dormitori dei manifestanti, e massacra di botte un centinaio di persone inermi. Chi non finisce subito in ospedale verrà trasferito alla caserma del Bolzaneto, dove le violenze continueranno per altri tre giorni. Questi i fatti nudi e crudi, che il film ricostruisce sulla base testimonianze del processo (almeno per quanto riguarda le violenze dentro la Diaz).
Diaz - Don't Clean Up This Blood‬ è un film ambizioso, complesso e coraggioso, con un cast imponente e location difficili, che racconta i fatti di Genova con un taglio da reportage di guerra. La macchina da presa è dentro l'azione, le immagini sporche, a volte alternate con quelle di repertorio, il montaggio incalzante, la narrazione secca ma efficace. È un film corale, che sceglie di seguire alcuni personaggi con vicende emblematiche sia dalla parte di manifestanti che dei poliziotti. Il perno narrativo delle varie storie è la bottiglia vuota lanciata contro l'auto della polizia davanti alla Diaz che apre il film. Questa immagine tornerà più volte a segnalare il cambio di punto di vista. All'inizio non lo sappiamo, ma questo episodio quasi banale sarà il pretesto per l'irruzione dentro la scuola. E quello che succede là dentro è roba da dittatura cilena. 
Il punto di forza del film – e paradossalmente la sua unica debolezza – è il voler stare ai fatti, l'esser il più possibile neutrale e inattaccabile per le immagini shockanti che da qui in poi proporrà allo spettatore. Ma non fa un passo in più per tentare di spiegare da dove origini questa folle e gratuita violenza, a chi serva e perché si perpetui poi – in modo ancor più ingiustificabile –  al Bolzaneto, coinvolgendo centinaia di poliziotti. C'è un mandante politico? E le false prove inventate per giustificare l'irruzione sono state pianificate? E com'è possibile che dei poliziotti si trasformino in sadici aguzzini, torturando per giorni cittadini italiani e stranieri con la sola colpa di esser stati alla Diaz?
Il film ci mostra che sono state fatte a monte delle scelte scellerate riguardo all'ordine pubblico ma non si sforza di spiegarne il motivo. L'unica scelta "politica" fatta dagli autori è di fare questo film, di raccontare un evento gravissimo avvenuto nel nostro Paese e lasciare allo spettatore il giudizio su ciò che ha visto. È condivisibile, ma resta l'urgenza di metter in prospettiva i fatti. Ed è incontrovertibile che il grande movimento civile contro le politiche economiche del G8 è stato massacrato alla Diaz, mentre il perpetuarsi di quelle stesse politiche ci ha portato alla crisi attuale. Alla fine si esce dalla sala pieni di rabbia e sconforto, pensando che la democrazia in Italia è solo una pia illusione ottica che nasconde un rivoltante fascismo e vicende come questa ci fanno vedere la vera faccia del nostro Paese.
Diaz è un film da vedere assolutamente, caso più unico che raro di cinema spettacolare e di grande impegno civile, un'opera preziosa nel desolante panorama del cinema italiano.

Diaz - Don't Clean Up This Blood‬
Un film di Daniele Vicari (Italia, 2012)
Con Claudio Santamaria, Jennifer Ulrich, Elio Germano, Davide Iacopini, Ralph Amoussou.
Durata 120 min.

lunedì 9 aprile 2012

Specchio delle mie trame

La fiaba di Biancaneve in salsa post-Shrek, comica ma non ugualmente irriverente. È una versione leggera, dalla quale sono stati tolti tutti gli elementi più paurosi, rendendola più innocua di quella disneyana. L'estro visionario di Tarsem sembra non approfittare di tutte le potenzialità del racconto fantastico e, pur regalandoci una messa in scena fiammeggiante e bizzarra (vedi i cieli pittorici, gli ambienti alla Gaudì, i costumi esagerati di Eiko Ishioka e il mondo oltre lo specchio della regina cattiva), non si avvicina all'eleganza formale e visivamente inventiva delle sue opere precedenti. Buona l'interpretazione autoironica di Julia Roberts nei panni scomodi (in tutti i sensi) della matrigna, un po' meno quella della caramellosa Biancaneve di Lily Collins (perfetta per interpretare Frida Kahlo senza nessun trucco sopraccigliare). I sette nani sono dei banditi dotati di trampoli telescopici e di un set di gag da circo, il principe azzurro è il belloccio un po' tonto, mentre il tirapiedi Brighton è degna spalla comica della regina. Insomma, tutti i personaggi sono stati virati verso la simpatia facendo mancare un vero cattivo e anche la creatura che infesta la foresta nera sembra più un peluche che un orrido mostro.
È una rilettura molto femminile della fiaba, dove gli uomini sono personaggi di contorno, tutti manovrati dalle due donne protagoniste e che trasforma la candida Biancaneve in un eroina combattiva (sulla scia della serie tv C'era una volta e come nel prossimo Biancaneve e il cacciatore).
Biancaneve è il tipico film per tutta la famiglia, dalla confezione curata, ma senza quel non so che (coraggio? follia?) da farlo diventare memorabile. Bello il raffinato prologo animato di Ben Hibbon e il folle momento bollywood sui titoli di coda. Ora aspettiamo la versione della fiaba barbara e violenta con Charlize Theron e Kristen Stewart (in uscita a luglio) per decidere quale ci piace di più.

Mirror Mirror (USA, 2012)
Un film di Tarsem Singh.
Con Julia Roberts, Lily Collins, Armie Hammer, Nathan Lane, Mare Winningham.
Durata 105 min.

mercoledì 4 aprile 2012

L'Italia del 12 dicembre

Romanzo di una strage è la lucida e tesa narrazione dell'attentato di Piazza Fontana, con i suoi depistaggi, insabbiamenti e comodi capri espiatori. Ne esce un agghiacciante ritratto dell'Italia, un Paese attraversato da profonde tensioni sociali, in cui parti dello Stato (e/o servizi segreti stranieri) pianificano una svolta fascista e autoritaria a suon di attentati da attribuire ad anarchici o comunisti.
Giordana e i suoi sceneggiatori focalizzano la narrazione su tre personaggi (Calabresi, Pinelli, Moro), ma senza perdere d'occhio l'insieme delle forze in gioco, ritraendo uno sconfortante quadro di infiltrazioni, coperture e doppio gioco: alla fine non si capisce più chi manovra chi. Nel film i luoghi del potere sono bui come le cantine degli anarchici, ma il consiglio dei ministri in cui si  discute di sospendere la democrazia fa ben più paura dei folcloristici rivoluzionari milanesi.
Come in un puzzle i vari tasselli che Giordana ci presenta s'incastrano perfettamente e anche se per i Tribunali la strage non ha colpevoli, un'idea di chi è stato ce la facciamo lo stesso.
È  curioso notare come i tre protagonisti – in modi diversi – finiscano per essere capri espiatori: Pinelli per un attentato non commesso, Calabresi per esser lasciato solo a rispondere della morte di Pinelli stesso, e Moro vittima del clima di violenza nato proprio in quegli anni.
Il film, scandito per capitoli, è avvincente, con ottime interpretazioni (il Moro di Gifuni è più vero del vero), ma forse un po' difficile da seguire per chi non conosce la storia e i protagonisti di quel periodo (ma per informarsi basta una puntata di Blu Notte). È il classico film da proiettare nelle scuole per spiegare il concetto di nazione a sovranità limitata o per capire come mai gli italiani si sentano sempre dei sudditi, carne da macello in giochi ben più grandi di loro. Ma sospetto che nelle scuole non si insegnino queste cose e si vede per come siamo governati. Ancora oggi.

Romanzo di una strage (Italia, 2012)
Un film di Marco Tullio Giordana.
Con Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Michela Cescon, Laura Chiatti, Fabrizio Gifuni.
Durata 129 min.