venerdì 5 febbraio 2010

About a girl



Mia moglie – grande fan di Nick Hornby – mi ha gentilmente trascinato a vedere An education, prima sceneggiatura dello scrittore inglese piuttosto frequentato dal cinema (Febbre a 90, Alta fedeltà, About a Boy).
Il film narra l'educazione sentimentale di una studentessa sedicenne, soffocata dalla noia e dal conformismo in un sobborgo inglese dei primi anni sessanta. La brillante Jenny, tutta grigia scuola e casa piccolo borghese, incontra David, affascinante uomo di mondo, che ha il doppio della sua età. Non ci mette molto ad esserne sedotta e mandare all'aria il futuro che la famiglia ha programmato per lei. La sua fame di arte, di musica, di mondo, le fa fare scelte che si riveleranno avventate.
La storia è minimale – quasi banale – ma è solo uno spunto per un sincero ritratto di una giovane donna che cerca la sua strada nella vita, a dispetto di scuole castranti, padri dagli orizzonti limitati e uomini mascalzoni. Una vera eroina dal cuore puro, che rivendica la sua libertà in un mondo che vuole le donne istruite sì, ma solo per fare un buon matrimonio.
Il film ha dei bei dialoghi e buone battute: si sente la mano di Hornby. È piacevole anche la ricostruzione della Londra prima dei Beatles e addirittura sfolgorante Carey Mulligan, candidata all'Oscar per questo ruolo. La scelta di Peter Sarsgaard per David invece toglie la sorpresa del colpo di scena finale, perché con quella faccia lì finisce sempre a fare il bastardo.
Non sarà un capolavoro, e probabilmente non vincerà nessuno dei tre Oscar al quale è candidato (miglior film, miglior attrice protagonista, miglior sceneggiatura non originale) , ma An education è un film piacevole e intelligente. Adatto alle signorine.

An education (Gran Bretagna, 2009)
Un film di Lone Scherfig
Con Peter Sarsgaard, Carey Mulligan, Alfred Molina, Dominic Cooper, Rosamund Pike, Olivia Williams, Emma Thompson, Cara Seymour, Matthew Beard, Sally Hawkins
Durata 100 min.

giovedì 4 febbraio 2010

La guerra è una droga


Faccio un'eccezione alla regola di recensire solo i film visti in sala, per questa pellicola indipendente, candidata ora a 9 Oscar (1). "The Hurt Locker", uscito in Italia già nel 2008 (dopo il passaggio al Festival di Venezia), è stato pressoché ignorato dal grande pubblico (meno di 50 mila euro l'incasso del primo week-end). Colpa del titolo incomprensibile (2) e un di poster italiano graficamente autolesionista e senza appeal (qui ho pubblicato quello per il mercato scandinavo, il più accattivante di tutti).
La tosta Kathryn Bigelow ci mostra una cruda fetta dell'Iraq odierno, inseguendo le azioni di una squadra di artificieri. Ogni operazione è un un tentato suicidio nella roulette russa delle strade di Baghdad. Il sergente William James disinnesca auto-bomba, ordigni micidiali lasciati ai bordi delle strade, kamikaze involontari e perfino il "corpo-bomba" di un ragazzino (una delle scene più agghiaccianti del film). James non sembra temere la morte, a differenza dei suoi compagni di squadra. Si lancia in ogni missione con una passione perversa e sembra non poter farne a meno. Perché, come dice l'epigrafe all'inizio del film, "la guerra è una droga" (3). Ed è più potente dell'amore per la propria famiglia. Lo spericolato protagonista – come scopriamo in seguito – ha una bella moglie e un figlio piccolo a casa: un mondo lontano, quasi alieno a lui. Significativa la piccola ma perfetta sequenza della spesa all'ipermercato con la moglie, che vale più di mille parole.
"The Hurt Locker" è un film senza retorica, crudo ed essenziale, coinvolgente, potente e a volte poetico. Non è opera politica o impegnata come "Redacted" di DePalma: resta solo un film di genere bellico, ma girato benissimo e con un punto di vista originale su una guerra insensata. Ognuno trarrà le sue conclusioni. Spero che la pioggia di nomination agli Oscar lo riporti presto in sala.

The Hurt Locker (USA, 2008)
Un film di Kathryn Bigelow.
Con Jeremy Renner, Anthony Mackie, Guy Pearce, Ralph Fiennes, Brian Geraghty, David Morse, Christian Camargo, Evangeline Lilly
Durata 131 min.

1 Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Attore Protagonista, Migliore Sceneggiatura originale, Fotografia, Montaggio, Effetti sonori, Montaggio del suono, Colonna sonora
2 Il titolo del film è una locuzione presente nello slang militare americano usata per descrivere un luogo particolarmente rischioso in cui i risvolti sono imprevedibili. (Wikipedia)
3 "La furia della battaglia provoca una dipendenza fortissima e spesso letale, perché anche la guerra è una droga"
Chris Hedges, scrittore e corrispondente di guerra americano.

sabato 30 gennaio 2010

Tutto su mia madre


Virzì dirige una commedia drammatica asciutta, che narra le vicende della famiglia Michelucci dagli anni Settanta agli Ottanta. Tutto il film ruota attorno ad una figura femminile di straordinaria vitalità.
Anna (Ramazzotti/Sandrelli) è una specie di sole nero che sembra assorbire l'energia e la vita dalle persone amate. Rovina la vita al marito troppo possessivo e geloso, rende depresso il figlio maggiore, Bruno (Mastandrea), mentre la figlia Valeria (Pandolfi) vive un matrimonio solo apparentemente soddisfacente, vittima anche lei di una madre troppo ingombrante. Bruno lascia Livorno per sfuggire ad una madre amata, ma insopportabilmente sregolata e imbarazzante, e trascina una grigia esistenza da insegnante e uomo triste. Sarà la sorella a riportarlo controvoglia nella città natale per riconciliarlo con la madre morente.
Costruito con una serie di flashback, il film è l'originale ritratto di una donna e una famiglia strampalata ma vera, nonché un affettuoso omaggio alla città del regista. Ben assortito il cast, con convincenti interpreti anche tra i giovani esordienti. Peccato che la Ramazzotti si senta in obbligo di imitare la Sandrelli (è l'Anna contemporanea) e che il pessimo suono in presa diretta faccia perdere un bel po' di battute.

La prima cosa bella (Italia, 2010)
Un film di Paolo Virzì.
Con Valerio Mastandrea, Micaela Ramazzotti, Stefania Sandrelli, Claudia Pandolfi, Marco Messeri.
durata 116 min.

martedì 26 gennaio 2010

L'insostenibile pesantezza della vita


Ryan Bingham (George Clooney) ama viaggiare leggero. Sugli aerei e nella vita. Tutta la sua esistenza è costruita sul disimpegno e l'evitar di caricare "zavorra" nel metaforico zaino che adopera nelle sue conferenze motivazionali: niente casa, legami familiari, mogli, fidanzate, figli... Finché qualcosa irrompe nella sua esistenza "leggera" tra le nuvole. Nathalie, una giovane rampante neolaureata vuole rivoluzionare il suo (terribile) lavoro di "licenziatore" e renderlo ancora più squallido. L'incontro/scontro con lei produrrà effetti inaspettati nel tran tran aereo di Bingham. Per un attimo, forse, immaginerà una vita diversa e più convenzionale assieme ad Alex, affascinante donna in carriera, apparentemente la sua versione al femminile.
"Tra le nuvole" è un'amarissima e intelligente commedia (commedia?) sull'insostenibile pesantezza della vita, cucita addosso ad un ottimo George Clooney, immersa nella tragica realtà dell'attuale crisi economica americana. Battute brillanti, sceneggiatura ben oliata (premiata da un Golden Globe), coprotagoniste adeguate e niente happy end. Il finale rimane aperto su una possibile svolta esistenziale del protagonista, ma resta agli spettatori decidere in che direzione. Bel film, ma meno divertente di quel che lascia credere il trailer.

Up in The Air
(USA, 2009)
Un film di Jason Reitman.
Con George Clooney, Vera Farmiga, Anna Kendrick, Jason Bateman, Danny McBride.
Melanie Lynskey, Amy Morton, Sam Elliott, J. K. Simmons, Zach Galifianakis, Chris Lowell,
Durata 109 min

sabato 16 gennaio 2010

Mondo 3D, Storia 1D



E' sempre piuttosto deprimente per un amante della fantascienza vedere come viene (mal)trattata al cinema. C'erano grandi attese per "Avatar", ma c'è una grossa frattura tra l'altissima qualità delle immagini sintetiche – molto efficaci nell'immergerci in un mondo alieno – e la scarsità di una sceneggiatura prevedibile e a tratti imbarazzante. Tanto più le immagini sono lussureggianti, ricche, baroccamente meravigliose, tanto più le battute sono scarse e la trama usurata. "Avatar" è poco più di una fiaba fanta-ecologica in salsa new age.
Jake Sully, marine paraplegico, viene spedito su Pandora a convincere i Na'vi a farsi depredare le risorse planetarie da un'orda di umani ingordi capitalisti. Per farlo gli trasferiscono la coscienza in un avatar* dalle sembianze aliene, che avrà il compito di farsi accettare dai nativi e convincerli a non fare resistenza. Ma - imprevedibile colpo di scena - lui s'innamora della figlia del capo e - non ci credereste mai - manda a puttane il piano dell'orda di umani ingordi capitalisti. Insomma un plot dalla banalità imbarazzante, costruito con figure che più che personaggi sono funzioni narrative. Cameron non è stato mai un fine psicologo, ma ci ha regalato in passato degli ottimi film di genere. Pur dando la massima attenzione agli effetti speciali (lui proviene da quel reparto), non si è mai dimenticato della storia che narrava. E' evidente che tutto il baraccone di meraviglie di questo e dell'altro mondo non può sostenere da solo un film di due ore e quaranta. Al quarto albero che s'illumina come un neon, il pubblico si è già rotto le balle.
Il difetto più grave è che manca totalmente di epica, ingrediente fondamentale per narrare con un certo respiro lo scontro di civiltà, la comunione con la natura, il mito di Gaia, la venuta di un messia che salverà il popolo dei Na'vi. Insomma, tanta cura tridimensionale delle immagini meritava forse un uso più intelligente. Non pretendevo di vedere il "2001-Odissea nello spazio" del nuovo millennio, mi accontentavo già di qualcosa in più del primo "Terminator".
Nonostante questi difettucci il film ha un buon ritmo ed è piuttosto godibile per un pubblico senza troppe pretese. Ottimo (finalmente) l'uso del 3D e rivoluzionaria la qualità della CGI (immagini generate al computer).
*L'avatar è una specie di clone umano-alieno comandato a distanza con la mente. La parola è originaria della tradizione induista, nella quale ha il significato di incarnazione, di assunzione di un corpo fisico da parte di un dio (Avatar: "Colui che discende").

Avatar (USA / Gran Bretagna, 2009)
Un film di James Cameron.
Con Sam Worthington, Zoe Saldana, Sigourney Weaver, Stephen Lang, Michelle Rodriguez, Giovanni Ribisi,
Durata 162 min.

martedì 5 gennaio 2010

Solo i morti vedono la fine della guerra


Dramma familiare in tempi di guerra e gran film d'attori, "Brothers" è il remake all-stars di un'apprezzata pellicola danese del 2004 ("Brodre" di Susanne Bier, uscita in Italia con l'atroce titolo "Non desiderare la donna d'altri").
Diretto in modo asciutto dal regista irlandese Jim Sheridan, il film si avvale di un notevole tris di giovani e bravi attori (Natalie Portman, Tobey Maguire, Jake Gyllenhaal). Il plot resta lo stesso dell'originale danese, solo che qua la guerra è quella in Afghanistan.
Sam Cahill (Maguire) è il perfetto family man: amorevole padre di famiglia, marito innamorato, figlio perfetto e marine tutto d'un pezzo. Suo fratello Tommy (Gyllenhaal) è la pecora nera della famiglia: disprezzato dal padre, è un alcolista e un delinquente appena uscito di galera. Grace (Portman) è la splendida moglie di Sam – conosciuto al liceo, dove lei era una cheerleader – madre di due adorabili bambine.
Ma il dramma è in agguato e scompagina tutto. Sam parte in missione e viene dato per morto. L'inaffidabile fratello si redime e si occupa della famiglia. Sul più bello Sam ritorna a casa, ma non è più lui. L'atrocità della guerra l'ha cambiato per sempre.
"Brothers" ci mostra le ferite inflitte dalle dissennate scelte belliche americane dentro le famiglie rimaste in patria ad aspettare mariti e figli che tornano "morti" anche quando non sono in una bara. Generazione dopo generazione. Il padre di Sam e Tommy infatti è un reduce del Vietnam e loro – in modi diversi – ne hanno pagato le conseguenze. Il dolore causato dalla guerra non ha mai fine. Il messaggio pacifista del film appare piuttosto evidente: nessun uomo, per quanto addestrato, si può dire pronto per ammazzarne un altro senza pagarne le conseguenze.
Gyllenhaal è perfetto a fare il disadattato, Maguire è molto convincente quando dà di matto e la Portman è sia bella che brava. Le scene madri ad alto tasso emotivo si sprecano. Finale catartico ma senza un vero happy end.

Brothers (USA, 2009)
Un film di Jim Sheridan.
Con Natalie Portman, Tobey Maguire, Jake Gyllenhaal, Bailee Madison, Taylor Geare, Patrick Flueger, Sam Shepard, Mare Winningham, Clifton Collins Jr., Josh Berry, Carey Mulligan, Jenny Wade
Durata 108 min.

martedì 29 dicembre 2009

Super Sherlock & Iper Holmes


Ipercinetico e frizzante, il film di Guy Ritchie ci restituisce uno Sherlock Holmes tutto genio e sregolatezza: non a caso lo interpreta quel maramaldo di Robert Downey Jr., che è piuttosto ferrato in materia (soprattutto di sregolatezza). Il film è girato con uno stile che vuol essere alla moda (fa tanto primo decennio del Terzo Millenio), con fotografia desaturata, montaggio forsennato, rallenty ad effetto, macchina da presa svolazzante, ma senza né gli eccessi né i guizzi di regia delle cose migliori di questo regista alterno.
I personaggi di Conan Doyle sono riveduti e corretti secondo i gusti contemporanei: per esempio, il grande talento deduttivo di Holmes viene qui abilmente integrato nelle scene di lotta, e lui sembra uscito da un film di arti marziali. L'amico medico Watson (voce narrante nei romanzi di Doyle) è una degna spalla tosta e combattiva. Il rapporto tra i due – come mi ha fatto notare mia moglie – assomiglia in modo sospetto a quello tra il Dr. House e l'amico Wilson, soprattutto per come Holmes cerchi di sabotare il fidanzamento di Watson. Del resto il metodo deduttivo di Holmes è parente stretto della diagnosi medica e Holmes come il Dr. House sembra respingere donne ed emozioni per immolarsi sull'altare della fredda logica. Le similitudini tra i due personaggi non finiscono qui e vi invito per gioco a trovarne delle altre…
Battute brillanti, grandi scene d'azione, Downey Jr. in gran spolvero (apprezzatissimo dalle mie accompagnatrici), un cattivo dal look vampiresco, una Londra ottocentesca affumicata, sordida e "steampunk"* (come ci si aspetta in un film del 2009): insomma due ore abbondanti di puro intrattenimento per grandi e piccini.
Occhio al finale che prepara un probabile sequel con l'antagonista storico di Holmes, il Professor Moriarty (interpretato – si dice – da Brad Pitt).

Sherlock Holmes (USA / Gran Bretagna / Australia 2009)
Un film di Guy Ritchie.
Con Robert Downey Jr., Jude Law, Rachel McAdams, Mark Strong, Kelly Reilly.
Durata 128 min.
* Lo steampunk è un filone della narrativa fantastica-fantascientifica che introduce una tecnologia anacronistica all'interno di un'ambientazione storica, spesso l'Ottocento e in particolare la Londra vittoriana tanto cara a Conan Doyle e H. G. Wells. (Wikipedia)