venerdì 23 aprile 2010

Nel Paese dei Cristiani selvaggi



Ipazia è una carismatica donna di scienza nella turbolenta Alessandria d'Egitto alla fine del 400, dove risplende l'ultimo barlume della cultura ellenica e convivono pacificamente pagani ed ebrei. Ma adesso c'è un nuovo culto in città: si fanno chiamare cristiani e hanno poco rispetto per gli idoli degli altri. Ipazia, matematica ed astronoma, insegna e condivide la conoscenza con tutti, tentando inutilmente di smorzare le tensioni tra le varie religioni. La sua figura di donna indipendente, colta e intelligente, entrerà in rotta di collisione con l'emergente potere cristiano, rappresentato dal fanatico vescovo Cirillo.
Agora è un kolossal filosofico, spettacolare ed intelligente, incentrato sullo scontro tra ragione laica e fondamentalismo religioso. Il film ci restituisce un coinvolgente ed emozionante ritratto di una donna straordinaria, interpretata da un'intensa Rachel Weisz. Il regista ce la mostra intenta ad insegnare l'astronomia, a fare esperimenti con la caduta di pesi ed intuire (1200 anni prima di Keplero) che l'orbita della Terra è ellittica. Per poter rimanere libera e indipendente lei rinuncia a diventare moglie e madre: questo è il prezzo che deve pagare una donna che vuole fare la filosofa. Ma le costerà la vita il rifiuto di sottomettersi alla nuova e prepotente religione cristiana.
Amenábar sposa la tesi che il mandante dell'assassinio di Ipazia sia il vescovo Cirillo (santo e dottore della Chiesa, non l'ultimo monaco che passava di là) e ne fa una martire della scienza. (Anche perché la versione dei fatti che giustifica l'azione di Cirillo, descrive la filosofa come una strega senza dio, tesi che puzza di propaganda cristiana). Sarà per questo che la figura di Ipazia è poco nota in Italia e il film ci ha messo un anno ad arrivare nelle nostre sale. Non è bello rivangare certi crimini della Chiesa, che già non gode di buona stampa ultimamente. E poi nel film i cristiani – che sembrano più dei talebani – sono dipinti come dei bifolchi devastatori di biblioteche, maneschi antisemiti e assassini. In realtà Agora è un atto di accusa contro tutti i fanatismi religiosi e le degenerazioni della teocrazia. Incidentalmente ci suggerisce che tra i barbari, che hanno spazzato via la cultura classica, ci stanno pure i cristiani, e che la smania della Chiesa di controllare il corpo (e la mente) delle donne arriva da lontano e non è ancora finita.
Una volta gli insegnanti (atei comunisti) ci portavano a vedere Galileo* della Cavani, che in qualche modo è affine ad Agora. Ora è il momento di far conoscere alle scolaresche questo film: è un buon antidoto alle agiografiche vite di santi, preti e papi che ci propina oggi la tv, tra una tetta e un culo di donne-oggetto contente di esserlo. Prendiamola con filosofia!

Agora (Spagna, 2009)
Un film di Alejandro Amenábar.
Con Rachel Weisz, Max Minghella, Oscar Isaac, Ashraf Barhom, Michael Lonsdale.
Durata 128 min.

*Il film all'epoca è stato (incredibilmente) vietato ai minori di 18 anni e - chissà perché - non è mai stato trasmesso dalla tv italiana.

domenica 18 aprile 2010

Giochi nell'ombra



Un giovane scrittore (Ewan McGregor) viene chiamato a sostituire il ghost writer dell'ex-premier britannico Adam Lang, deceduto misteriosamente in mare. Per un pacco di soldi dovrà recarsi su una desolata isola della East Coast americana e mettere mano alla biografia dello statista, lasciata incompiuta dal suo predecessore. Era meglio se restava a casa.
Polanski tesse delle atmosfere inquietanti, con cieli bassi e lividi, isolamento angosciante, false cortesie e un senso di minaccia costante e crescente. Il malcapitato giovane scrittore scoprirà a sue spese di essere finito in un intrigo più grande di lui.
L'uomo nell'ombra è un interessante thriller fantapolitico di stampo hitchcockiano che – proprio come Green Zone – pesca a piene mani dalla storia recente: la guerra al terrorismo, la discutibile pratica delle extraordinary rendition (Adam Lang viene accusato di crimini di guerra per la morte di un presunto terrorista), gli interessi di grandi corporation (come Halliburton) nelle guerre di Bush, la politica britannica al rimorchio di quella americana, e così via.
Il fascinoso ex-premier inglese (un convincente Pierce Brosnan) e la sua energica moglie (un'ottima Oliva Williams) ricalcano vagamente Tony Blair e consorte, ma sono punti di partenza per personaggi più complessi e sfaccettati di quello che sembrano. Infatti il cuore del film è un raffinato gioco psicologico e manipolatorio tra quattro personaggi: il "candido" giovin scrittore, quel marpione dell'ex-premier, l'imperscrutabile e umorale consorte e l'assistente personale (e amante) di Lang.
Polanski spara un paio di divertite bordate contro la stupefacente politica statunitense, quando fa notare che, insieme a tre o quattro "stati canaglia", gli USA non riconoscono la Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja (e perciò possono permettersi una certa libertà nel condurre le loro guerre in giro per il mondo). Caccia senza tregua invece a Polanski – attualmente agli arresti in Svizzera – per un reato commesso in USA trent'anni fa.
Da applausi il colpo di scena finale girato con superba eleganza.
Ombroso.

The Ghost Writer (USA/Germania/Francia, 2010)
Un film di Roman Polanski.
Con Ewan McGregor, Pierce Brosnan, Kim Cattrall, Olivia Williams, James Belushi, Timothy Hutton, Eli Wallach, Tom Wilkinson
Durata 131 min.

martedì 13 aprile 2010

Le armi di distrazione


Bagdad, 2003: Roy Miller (Matt Damon) comanda una delle squadre che hanno il compito di trovare le famigerate armi di distruzione di massa di Saddam. Non le trova da nessuna parte e comincia a insospettirsi. Che non ci siano?
L'inglese Paul Greengrass gira un film adrenalinico, tutto sparatorie, esplosioni e macchina a mano a rincorrer soldati, in cui innesta un tema della storia più recente: la balla delle armi di Saddam come giustificazione per invadere l'Iraq. In mezzo a questa folle baraonda troviamo infidi funzionari di Washington, pericolosi reparti speciali, agenti della CIA che non sanno più che pesci pigliare, giornalisti un po' troppo embedded, governi fantoccio, torture e iracheni patriottici.
Mentre nel film si spiega molto bene il castello di fandonie costruito per giustificare l'azione bellica, si tralascia il discorso su cui prodest la guerra irachena (vale a dire alla solita cricca di amici di Bush). Comunque colpisce vedere trattati questi temi in un film mainstream, godibile ma meno incisivo rispetto alle potenzialità della vergognosa vicenda raccontata. Insomma si sente l'aria di Obama, ma senza esagerare.
Se le riprese sono concitate e sporche, il montaggio ritmatissimo, la sceneggiatura invece è un po' schematica, con personaggi buoni e cattivi ben delineati (e ben distribuiti tra americani e iracheni) e il finale un po' moscio. Green Zone è un buon film di genere, anche se in conclusione lascia un po' di legittime domande senza risposta. Intelligentemente bellico.

Green Zone (Gran Bretagna, USA, Francia, Spagna, 2010)
Un film di Paul Greengrass.
Con Matt Damon, Greg Kinnear, Brendan Gleeson, Khalid Abdalla, Amy Ryan.
Durata 115 min.

domenica 14 marzo 2010

Un gay alla mia tavola (anzi due…)



Tommaso - studente a Roma con velleità da scrittore - torna nella natia Lecce per fare outing durante una cena familiare. Suo fratello Antonio, rimasto a lavorare nell'azienda di famiglia, a sorpresa, lo anticipa. Il padre prima lo caccia di casa e poi ha un infarto. Tommaso così resta incastrato tra obblighi familiari, segreti inconfessati e una vita da cui è intenzionato a fuggire.
Con Mine vaganti Ozpetek firma il suo film più lieve e divertente, senza perdere in profondità e con sprazzi di struggente rimpianto per le vite infelici costruite sulla menzogna e la rinuncia (vedi la storia d'amore impossibile della nonna, una straordinaria Ilaria Occhini). Tommaso si trova combattuto tra le sue legittime aspirazioni di vita e la volontà di non ferire ulteriormente il padre, che non accetta l'idea di un figlio omosessuale, figurarsi due!
Lasciati i dolorosi e drammatici film più recenti, Ozpetek si concede una commedia frizzante, senza cadere nella facile farsa, neanche quando entra in scena il circo gay degli amici romani di Tommaso, con tutta la sua girandola di equivoci e situazioni decisamente comiche. Dialoghi brillanti e cast in grande spolvero, a partire da uno strepitoso Ennio Fantastichini, capofamiglia fedifrago e omofobo, Riccardo Scamarcio, figlio gay taciturno e sensibile, Elena Sofia Ricci, stravagante zia miope con un debole per i liquori, sino a Nicole Grimaudo, la bella e fragile Alba, che intreccia una tenera amicizia con Tommaso.
Questo diavolo di un turco non solo sa far recitare anche i sassi (vedi Gabriel Garko nelle Fate ignoranti), ma sa pure girare! Anche quando apparentemente si disimpegna, egli riesce a dare ai suoi film un'impronta forte e personale, come dimostrano i primissimi minuti di questa pellicola, con quella sposa che corre tra gli ulivi, un inizio bello e spiazzante. Poi, come nelle sue pellicole più riuscite, il film è pieno zeppo di momenti conviviali, con gruppi famigliari riuniti a tavola e piccoli riusciti intermezzi musicali. Non manca un pre-finale drammatico e una chiusura conciliante ed onirica. Insomma tutti gli elementi che il pubblico ama ritrovare in un film di Ozpetek, senza le pesantezze o l'eccesso di carne sul fuoco che zavorrava alcuni suoi lavori del passato. Due ore di evasione intelligente.

Mine vaganti (Italia, 2010)
Un film di Ferzan Ozpetek.
Con Riccardo Scamarcio, Nicole Grimaudo, Alessandro Preziosi, Ennio Fantastichini, Lunetta Savino, Elena Sofia Ricci, Ilaria Occhini, Bianca Nappi, Carolina Crescentini.
Durata 110 min.

mercoledì 10 marzo 2010

L'isola dei matti



Scorsese torna con un "thriller psichiatrico" molto noir, un'indagine più mentale che poliziesca. Un'isola tenebrosa, un manicomio criminale, una tempesta e due agenti dell'FBI alla ricerca di una paziente misteriosamente scomparsa. Nessuno collabora, tutti sono reticenti e l'agente Teddy Daniels (Leonardo DiCaprio), si porta dietro un bagaglio personale di dolore e sensi di colpa che lo perseguita con incubi e visioni. Niente è quello che sembra. E con la trama mi fermo qua, perché si rischia lo spoiler ad ogni parola detta in più. Infatti Shutter Island fa parte di quella categoria di film con il colpone di scena finale, ma nonostante l'abilità di Scorsese (e della sceneggiatrice Laeta Kalogridis) di distrarre lo spettatore, si capisce ben presto quale sarà l'esito del plot.
Belle atmosfere, azzeccate scene oniriche, scenografie molto curate (l'interno del Padiglione C riecheggia le prigioni del Piranesi), bel cast (anche nei comprimari), splendida fotografia, una colonna sonora molto molto colta (che fa tanto Kubrick), per un film di godibile intrattenimento ma nulla di più. Comincia piuttosto bene, tratteggiando un personaggio e un'ambientazione promettenti, ma poi delude un po' verso la fine. Nel mezzo c'è di tutto: il trauma dei campi di concentramento, la caccia alle streghe maccartista, il manicomio lager con il dottore in salsa Nazi, la manipolazione della mente, la Rimozione della Colpa e via psicanalizzando…
Insomma un bel esercizio di stile, ma alla fine vien voglia di dire: tutto qua, Martin? Insomma ti sei voluto divertire e si vede, ma se ci si chiede che senso ha tutto ciò, si va via piuttosto perplessi.

Shutter Island (USA 2010)
Un film di Martin Scorsese.
Con Leonardo DiCaprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Michelle Williams, Patricia Clarkson, Max von Sydow, Jackie Earle Haley, Emily Mortimer, Elias Koteas, Ted Levine
Durata 138 min.
VM 14

sabato 6 marzo 2010

Alice in Burtonland



Sontuosa confezione per uno dei libri più visionari dell'Ottocento, filmata con accenti dark dal regista dei freak Tim Burton.
La ventenne Alice Kingsley viene promessa in sposa all'insipido Lord Ascot. Lei preferisce inseguire il Bianconiglio. Si ritrova in un magico mondo sotterraneo devastato dalla crudele Regina di Cuori e popolato da strampalati personaggi. Solo dopo aver preso coscienza di sé e ricordato il suo primo viaggio, Alice potrà sconfiggere il Male e far sì che nel "Paese delle Meraviglie" torni la serenità. Riemersa nel mondo reale, prenderà in mano la sua vita, smarcandosi da obblighi e convenzioni.
La sceneggiatura di Linda Woolverton (Il Re Leone, La Bella e la Bestia) propone una rilettura quasi femminista della figura di Alice (una intensa e combattiva Mia Wasikowska), con un finale che la vede salpare per un viaggio vero in paesi lontani e altrettanto straordinari. L'Alice di Burton è una giovane donna fuori dagli schemi, ricca d'immaginazione e volitiva, e perciò castrata dalle rigide regole della società dell'epoca, che la rendono per certi versi una freak, come tutti i personaggi migliori dei film di Burton. Più "normale" invece il trip di Alice al centro del film, con una trama piuttosto lineare da fiaba classica, nonostante la quantità di personaggi eccentrici che l'accompagnano.
Il film è visivamente ricchissimo, con un ambientazione dai toni gotici e tenebrosi cari al regista, ma senza essere troppo cupo (è pur sempre un film Disney per bambini). L'integrazione tra gli animali fantastici in CGI (il mio preferito è lo Stregatto) e gli attori in carne ed ossa è perfetta, le scenografie curatissime e i costumi splendidi (originali soprattutto le creative mise di Alice).
Burton riesce a rendere inquietante pure la "regina buona", un'algida Anne Hathaway con trucco teatrale e una gestualità stilizzata e straniante, mentre lo straripante Johnny Depp regala accenti tragici al suo folle cappellaio. Straordinaria – come sempre – Helena Bonham Carter, perfettamente a suo agio nel ruolo della regina cattiva.
Non un capolavoro, ma mantiene le promesse grazie al cast e alla confezione. Inutile (se non dannoso) il 3D aggiunto in post-produzione. Risparmiate i soldi, vedetelo in 2D!

Alice in Wonderland (USA , 2010)
Un film di Tim Burton
Con Mia Wasikowska, Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Crispin Glover, Anne Hathaway
Durata: 108 min.

sabato 20 febbraio 2010

La Repubblica delle Banane (marce)



Il figlio più piccolo
è un impietoso e riuscito ritratto dell'Italia contemporanea e dei suoi capitalisti d'accatto. Immagino che Avati abbia voluto calcare la mano, costruendo certe situazioni al limite della satira più caustica ed esagerando lo squallore morale dei loschi figuri protagonisti del suo film. Ma la cronaca di questi giorni lo sorpassa ampiamente in ferocia e questo fa comprendere com'è difficile stigmatizzare certi difetti del nostro Paese in una qualsiasi opera di finzione. La realtà è già disgustosamente più in là. E mentre sullo schermo vedi i meschini traffici di uomini d'affari senza vergogna, pensi a quelli veri e non hai già più voglia di ridere della cafoneria o della ribalda spregiudicatezza dei personaggi avatiani: vuoi solo vomitare. Precisato ciò, il film funziona, ed è perversamente piacevole.
Avati – come già accaduto più volte in passato – mette insieme un cast eccentrico e sorprendente. Christian De Sica è perfetto nel ruolo di Luciano Baietti, finanziere d'assalto cialtrone, e dà quasi fastidio vedere come finora ha sprecato il suo indubbio talento in filmacci da grandi incassi ma infimo spessore. Qui finalmente veste i panni di un personaggio a tutto tondo, un ruolo degno del miglior Sordi, capace di una recitazione trattenuta e convincente. Zingaretti è bravo nel tratteggiare l'ipocondriaco e monacale consigliori del protagonista, uno sfuggente faccendiere che trama nell'ombra, mentre la Morante è la fragile e svampita ex-moglie di Luciano. Il figlio più piccolo del titolo è la scoperta Nicola Nocella, che ha la freschezza e il phisique du role necessario per calarsi nei panni del candido Baldo, vittima predestinata delle macchinazioni paterne. Avati ripesca dall'archivio storico televisivo anche una rediviva Sydne Rome, partner della Morante nel loro patetico duo di cantanti hippie.
Il regista bolognese lancia riuscite frecciate a destra e a manca, mostrando il disfacimento di una società amorale e senza cultura, e lo fa con imperturbabile grazia e leggerezza. Non ci sono personaggi veramente positivi nel film e sembra non esserci nessuna vera redenzione. Anche l'ingenuo figlio più piccolo è alla fine solo un povero idiota che insegue sogni impossibili e risibili (studia al Dams e vuole fare un film con protagonisti due trans cannibali). E l'apparente conciliante finale è di una tristezza agghiacciante. Questo è il mondo in cui viviamo. No future.

Il figlio più piccolo (Italia, 2010)
Un film di Pupi Avati.
Con Christian De Sica, Laura Morante, Luca Zingaretti, Sydne Rome, Nicola Nocella, Fabio Ferrari, Marcello Maietta, Massimo Bonetti, Alberto Gimignani, Maurizio Battista, Giulio Pizzirani, Pino Quartullo.
Durata 100 min.