domenica 19 dicembre 2010

Il riciclato mondo di Bazil


Bazil non ha un buon rapporto con i produttori di armi: una mina ha ucciso suo padre quando era bambino e una pallottola vagante lo ha quasi stecchito. A causa di questo incidente ha perso tutto e viene "adottato" da una strampalata combriccola di riciclatori d'immondizia. Un giorno capirà come vendicarsi di chi gli ha rovinato la vita e attuerà un complicato piano con l'aiuto dei suoi nuovi amici.
Deliziosa e leggera fiaba dall'autore di Amélie e Delicatessen, ma con personaggi ancora più caratterizzati e meno profondi, tanto da sembrare dei cartoni animati. L'esile trama sembra serva a tenere insieme una sfilza di gag surreali e alcune ottime invenzioni, ma alcuni snodi sono un po' troppo meccanici. Non mancano gli omaggi al cinema del passato e, se certe sequenze ricordano il miglior Chaplin del muto (la gag del taxi), gli inserti animati sembrano invece realizzati dal Terry Gilliam del periodo Monty Python.
Il film è godibile, i personaggi simpatici, gli attori brillanti (a cominciare da uno stralunato Dany Boon), alcune trovate sono assolutamente strepitose, ma aleggia una certa aria di déjà vu, ovvero di un grande mestiere ma poca anima. È vero che c'è tutto l'immaginario bizzarro, un po' retrò e low-fi di Jeunet, una Parigi insolita e periferica – immersa in una fotografia affettuosamente dorata – ma non basta. Il film regala un'ora e mezza di piacere, soprattutto per gli occhi, ma non tocca il livello dei precedenti.
"È tutta roba di recupero!" potrebbe giustificarsi il regista con un'alzata di spalle, facendo suo il tormentone che attraversa il film quando qualche aggeggio mal assemblato non funziona. Ecco, appunto.

Micmacs à Tire-larigot (Francia 2009)
Un film di Jean-Pierre Jeunet.
Con Dany Boon, André Dussollier, Nicolas Marié, Jean-Pierre Marielle, Yolande Moreau
Durata 105 min.

giovedì 18 novembre 2010

Trova i tuoi amici



Come fare un film su uno spocchioso nerd stronzetto e il social network più famoso del mondo senza ammazzare di noia gli spettatori? Rivolgersi a David Fincher (proprio lui, quello di Seven e di Fight Club, tanto per gradire). Forte della sceneggiatura brillante di Aaron Sorkin, Fincher gira un film teso e incalzante che avvince lo spettatore fin dalle prime sequenze, dove il protagonista, mollato dalla ragazza, si vendica sputtanandola sul suo blog, si ubriaca e – ­ non pago –­ crea in una sola notte un sito in cui si mettono a confronto foto delle studentesse di Harvard, che manda in tilt i server della prestigiosa università. Questa bravata lo fa notare dai gemelli Winklevoss, che lo incaricano di realizzare un social network universitario.
Ma lui invece, insieme all'amico Eduardo Saverin, s'inventa The Facebook. Il film narra il contenzioso legale che n'è seguito.
In The social network c'è tutto: amicizia, tradimento, invidia, ambizione, successo. È una moderna e oscura fiaba americana su uno sfigato asociale di genio. Jesse Eisenberg è perfetto a dare corpo a un indecifrabile Mark Zuckerberg, affascinante e irritante al tempo stesso. Il film, parlatissimo, è sostenuto da una sceneggiatura farcita da battute fulminanti, dialoghi
perfetti, scene da applauso e virtuosistiche sequenze degne del miglior Fincher (la regata per esempio, con quei raffinati giochi di piani fuori fuoco e il ritmo incalzante). Probabilmente uno dei film dell'anno. Da non perdere, anche se odiate facebook.

The social network (USA, 2010)
Un film di David Fincher.
Con Jesse Eisenberg, Andrew Garfield, Justin Timberlake, Armie Hammer, Max Minghella.
Durata 120 min.

domenica 14 novembre 2010

Che Porco!



Porco rosso è il soprannome di un solitario asso dell'idrovolante che combatte i pirati dell'aria nell'Alto Adriatico durante il ventennio fascista. Ex pilota della Prima Guerra Mondiale, si trova ora misteriosamente con le sembianze di un maiale, e si guadagna da vivere facendo il cacciatore di taglie.
Esce al cinema in Italia – dopo quasi vent'anni!! – una delle pietre miliari dell'opera di Miyazaki, dove troviamo ancora una volta l'amore per il volo e dove compare già il tema della metamorfosi (in questo caso l'aviatore - porco) tanto cari all'autore.
Ambientato in un Italia deliziosamente di fantasia (vedi una Milano stile Venezia), Porco Rosso ha una trama apparentemente leggera e piuttosto stravagante, che sotto sotto nasconde temi più seri come il rimpianto, l'assurdità della guerra e l'antifascismo. Spettacolare nelle sequenze dei duelli aerei, splendido e curatissimo negli sfondi, profondo nel tratteggiare le storie dei protagonisti, il film vola leggero raccontando il disincanto del protagonista davanti alla follia del mondo. Miyazaki ci regala ancora una volta un eroe affascinante e imperfetto, difficile da scordare, nonostante – o soprattutto – per il muso da porco. Imperdibile per chi ama il cinema di Miyazaki… o per chi ama il Cinema.

Porco Rosso (Giappone, 1992)
Un film di Hayao Miyazaki.
Durata 94 min.

martedì 2 novembre 2010

Nel mondo dei cattivi


In un mondo dove i supercattivi sembrano far parte dell'economia e della società, Gru stenta a realizzare il colpo della vita, pressato da cattivi più giovani e rampanti. Deciso a riscattare una carriera mediocre, progetta il furto della luna. Per riuscire nel folle piano si serve di tre piccole orfanelle. Ma le cose prederanno una piega imprevista...
Delizioso film d'animazione francese (ma realizzato con capitali americani), divertente ma non esilarante, trova la sua originalità in uno strepitoso characters design e nella attenta costruzione della psicologia dei personaggi. Particolarmente riuscite le gag con il braccio destro Dr. Nefario e i simpatici Minions, da manuale freudiano il rapporto con l'ingombrante figura materna. Ma in fondo Gru non è un vero cattivo (soprattutto a confronto con la terribile Signorina Hattie dell'orfanotrofio) e alla fine – prevedibilmente – si redime. Insomma, c'è meno cattiveria di quel che ci si aspetta, ma resta un film godibilissimo anche per gli adulti.
I realizzatori giocano spudoratamente con gli effetti 3D (in modo piuttosto plateale nei titoli di coda), ma li perdoniamo per l'originalità e la freschezza della loro opera.

Despicable Me (USA, 2010)
Un film di Pierre Coffin, Chris Renaud, Sergio Pablos
Voci originali: Steve Carell, Jason Segel, Miranda Cosgrove, Dana Gaier, Elsie Fisher.
Durata 95 min.

lunedì 27 settembre 2010

Il sogno è il mio mestiere


Cobb (DiCaprio) fa il ladro di segreti, violando in sogno l'inconscio delle sue vittime. Ma Mr. Saito (Watanabe) gli affida un incarico molto più difficile: innestare nella mente del figlio di un magnate morente un'idea che lo induca a smembrare l'impero economico del padre. Cobb mette su una squadra per mettere a segno il colpo. Questo è lo spunto narrativo (quasi da heist film*) per un affascinante e onirico viaggio nelle profondità del subconscio umano. Il film di Christopher Nolan è costruito a scatole cinesi, con sogni dentro sogni dentro sogni, una messa in abisso continua e labirintica che fa perdere la cognizione di quello che è vero e quello che è sognato (non a caso l'architetto incaricato di creare l'ambiente dei sogni si chiama Arianna). Insomma, se vogliamo il film è anche una riflessione sul mestiere del cinema, visto come una fabbrica di sogni.
Dal punto di vista visivo Inception è un'opera molto raffinata, con ambienti alla Escher, sequenze mirabolanti ma iperrealistiche (come la scena del corridoio d'albergo) o assolutamente surreali (Parigi che si accartoccia su se stessa).
Meno cervellotico di quello che può sembrare – e meno innovativo, dal punto di vista del linguaggio filmico, di Memento - Inception è comunque un film che richiede molta attenzione allo spettatore, restando però sempre molto spettacolare e intrigante. Nonostante l'originalità della trama, i temi di fondo sono debitori a certe opere di Philip K. Dick, grande indagatore del confine tra realtà e delirio, nonché creatore di geniali mondi onirici o paranoici. E questo è forse uno dei film più intrisi della sua poetica, perfettamente incarnata dal tormentato protagonista. Viste le tematiche, stupisce il clamoroso successo americano del film (oltre 287 milioni di dollari, finora).
Da vedere con piacevole attenzione.

Inception (USA / Gran Bretagna, 2010)
Un film di Christopher Nolan.
Con Leonardo DiCaprio, Ken Watanabe, Joseph Gordon-Levitt, Marion Cotillard, Ellen Page, Tom Hardy, Cillian Murphy, Tom Berenger, Michael Caine, Lukas Haas
Durata 142 min.

* Film incentrati su un gruppo di persone intenzionate a rubare qualcosa.

domenica 12 settembre 2010

La solitudine è matematica



Il film, tratto dall'omonimo best-seller di Paolo Giordano (che qui sceneggia con il regista), segue le tormentate vite di Mattia e Alice, dall'infanzia all'età adulta. Entrambi sono segnati da un evento drammatico, avvenuto quando erano piccoli, e che li ha cambiati per sempre. Mattia, geniale studente impacciato e solitario, conduce una vita ai limiti dell'autismo, punendo il suo corpo con tagli e ferite. Alice è una timida ragazza zoppa che umilia il suo corpo con l'anoressia. Finiranno per incontrarsi, ma la loro relazione (impossibile) non sarà facile, anche se, alla fine del film, sembra avere delle timide possibilità di sviluppo.
La pellicola traspone piuttosto fedelmente il romanzo, prendendosi solo la libertà di sfrondare qualche episodio e di rimontare in modo non cronologico gli avvenimenti. Scelta astuta, perché i primi splendidi capitoli del romanzo scivolano in avanti, creando il climax giusto per presentare allo spettatore l'intimo buco nero che ha inghiottito le esistenze dei due giovani, lasciandoli poi sopravvivere nelle loro gabbie di solitudine e dolore.
Non era facile dare vita a dei personaggi così estremi e "letterari", ma il regista ha trovato il modo di raccontarli senza troppe parole, senza spiegare troppo, lasciando parlare le immagini (a tratti originalmente visionarie), e lavorando molto sugli attori, soprattutto sul loro corpo. Notevole il lavoro fatto da Alba Rohrwacher (alla fine del film esibisce un corpo dalla magrezza impressionante) e da Luca Marinelli (ingrassato – dice lui – fino a 99 kg), per raccontare "fisicamente" l'interiorità dei loro personaggi. Lei ha gesti nervosi, sguardi sfuggenti, si muove sgraziata in un mondo ostile. Lui ha una gestualità bloccata, uno sguardo quasi catatonico e si muove lentamente come uno zombie in una realtà che sembra gli sia indifferente. Bravi anche i "doppi" più giovani, soprattutto il Mattia bambino e l'Alice adolescente.
Colonna sonora stravagante ma efficace, con minimali interventi elettronici di quel diavolo di Mike Patton (ex cantante dei Faith No More e di altre cento band). Segnalo, per deformazione professionale, il brutto e insipido manifesto del film (un ammasso di intellegibili verzure contro il cielo), che fa rimpiangere l'azzeccata copertina del libro (una delle più imitate degli ultimi anni). Film di buon livello e grande prova d'attori. Non deluderà i fan del romanzo e affascinerà gli altri.

La solitudine dei numeri primi (Italia, Francia, Germania, 2010)
Un film di Saverio Costanzo.
Con Alba Rohrwacher, Luca Marinelli, Martina Albano, Arianna Nastro, Tommaso Neri, Vittorio Lomartire, Aurora Ruffino, Giorgia Pizzo, Isabella Rossellini, Maurizio Donadoni, Roberto Sbaratto, Giorgia Senesi, Filippo Timi, Giorgia Pizzio
Durata 118 min.

martedì 7 settembre 2010

Mercenari sentimentali



Lo so, sarei dovuto andare al cinema a vedere un film fighetto come Somewhere della Coppola. Ma ho avuto la sensazione che fosse più palloso di Lost in translation e allora mi sono fatto coraggio e ho affrontato senza vergogna l'ultima opera di Stallone. Che è meno peggio di quello che uno si potrebbe aspettare.
The expendables è un tipico film d'azione anni Ottanta uscito da una perversa macchina del tempo, che mantiene giovane la pellicola ma non i suoi muscolosi protagonisti, insomma un oggetto un po' surreale. Per il resto c'è tutto: morti tanti al chilo, esplosioni a go-go, dittatori cattivi, giovani fanciulle da salvare, duri dal cuore tenero, la tipica trama di un film del genere, infarcita di personaggi poco credibili e azioni incredibili. Ma poi dentro tutto quel macello ti ritrovi un piccolo gioiello come il monologo di Mickey Rourke o la gustosa scenetta del trio Stallone/Willis/Schwarzenneger, infarcita di battute extrafilmiche (Willis, riferendosi a Schwarzenegger: "Perché è così occupato?" Stallone: "Vuole diventare il Presidente degli Stati Uniti") e pensi che il vecchio Sly non è rincoglionito del tutto.
Ovviamente è un film ad alto contenuto di testoterone (mai visti tanti duri tutti insieme) ma che (per fortuna) non si prende troppo sul serio e che evita le terribili patetiche scene di certi film di Stallone, che vorrebbero commuovere ma che invece fanno involontariamente ridere. Tutto sommato un film onesto, non il miglior di Stallone, ma certo non il peggiore. Da guardare, senza troppi pregiudizi.

The Expendables (USA, 2010)
Un film di Sylvester Stallone.
Con Sylvester Stallone, Jason Statham, Jet Li, Dolph Lundgren, Eric Roberts, Randy Couture, Steve Austin, David Zayas, Giselle Itié, Terry Crews, Mickey Rourke, Bruce Willis, Arnold Schwarzenegger,
Durata: 103 min.

martedì 31 agosto 2010

La palude è una cosa meravigliosa



Un Shrek imborghesito tutto casa e famiglia vorrebbe passare almeno un giorno da orco come ai bei tempi andati. Il subdolo Tremotino lo accontenta, ma…
Quarto (e ultimo) loffio capitolo della saga dell'orco verde, con sceneggiatori a corto di idee per trama e gag. Dimenticatevi l'anarchia e l'umorismo scorretto e cattivo del primo capitolo: qui siamo in un film tutto buoni sentimenti, con uno spunto narrativo alla Frank Capra (La vita è meravigliosa) e un happy-end sdolcinato che piacerà alle ragazze ma schiferà i ragazzini. Si salvano le poche gag divertenti con Ciucchino e un irresistibile Gatto con gli Stivali obeso. Visivamente curato ma non sorprendente, tenta qualche sequenza riuscita "da luna-park" (Shrek sulla scopa volante) ma nell'insieme non lascia il segno. Noioso. Peccato.

Shrek Forever After (USA, 2010)
Un film di Mike Mitchell.
Con Mike Myers, Eddie Murphy, Cameron Diaz, Antonio Banderas, Walt Dohrn (voci originali)
Durata 93 min.

giovedì 8 luglio 2010

Non gioco più


I bambini crescono e i giocattoli finiscono in soffitta. Per uno sbaglio i vecchi giocattoli di Andy vanno a finire in un asilo-carcere gestito da un perfido orsetto di peluche. Evaderanno. Happy-end.
Giunta ormai al terzo capitolo la saga di Toy Story riesce a regalare ancora emozioni e risate. Fulminante l'inizio con la visualizzazione dei giochi di Andy, malinconico l'addio finale all'infanzia e ai suoi compagni di gioco. Nel mezzo un film pieno di azione, idee, gag e personaggi a tutto tondo. Come sempre per la Pixar, il primo effetto speciale è la sceneggiatura. L'idea che il colorato asilo Sunnyside si trasformi di notte in un duro carcere è geniale. Tutta questa parte del film è infarcita dei topos da prison movie con risultati sorprendenti. Si passa da gag esilaranti a momenti drammatici con grande naturalezza e Lots'o, l'orsetto aguzzino, lascia il segno.
Pur rimanendo fedele al design semplice dei due precedenti capitoli, questo ultimo film si permette sequenze di una complessità impensabile qualche anno fa (l'inizio, le scene di massa all'asilo, la discarica). Meno innovativo del primo (pietra miliare dell'animazione digitale) e non un capolavoro come Up, ma assolutamente all'altezza delle aspettative. Da vedere.

Un cenno anche al corto che lo precede, curiosamente sperimentale. Combina personaggi piatti, molto stilizzati e con un segno anni Cinquanta, a sfondi iperrealisti in 3D. Elegante, raffinato e con una colonna sonora costruita abilmente con rumori e suoni ambientali.

Toy Story 3 (USA, 2010)
Un film di Lee Unkrich.
Con Tom Hanks, Michael Keaton, Joan Cusack, Tim Allen, John Ratzenberger (Voci originali)
Durata 103 min.

domenica 20 giugno 2010

Mi piacciono le recensioni ben riuscite



La stagione estiva è preannunciata dall'uscita di film scemotti nelle sale. Ed ecco arrivare l'ennesimo film tratto da un telefilm: stavolta tocca all'A-Team. La pellicola, che sposta la trama ai nostri giorni, narra la genesi del gruppo, con la presentazione dei vari componenti, l'impegno nelle varie guerre in Iraq, la caduta in disgrazia e la riscossa. La trama è solo un pretesto per le rocambolesche azioni del quartetto e per una serie riuscita di gag.
A-Team è puro cinema fracassone, iperdinamico e mirabolante come la serie anni ottanta – per motivi di budget – non poteva essere. Da antologia la sequenza con il lancio del carro armato e il pirotecnico finale. Insomma, grande profusione di effetti speciali, cast di prima scelta e tanta azione con personaggi simpatici ma senza troppo spessore. Per fortuna la sceneggiatura frizzante e le massicce dosi di ironia non fanno sentire lo spettatore adulto completamente decerebrato. Liam Neeson è stato chiamato ad interpretare colonnello John “Hannibal” Smith, ma George Peppard era più glamour. Azzeccata invece la scelta di Sharlto Copley (strepitoso protagonista di District 9) per il folle capitano Murdock. Camei di Dirk Benedict e Dwight Schultz (i Sberla e Murdock "originali"). Un film che mantiene le promesse nonché una divertente occasione per una regressione adolescenziale.

The A-Team (USA, 2010)
Un film di Joe Carnahan
Con Liam Neeson, Bradley Cooper, Sharlto Copley, Quinton 'Rampage' Jackson, Jessica Biel, Patrick Wilson.
Durata 121 min.

sabato 5 giugno 2010

Il principe del tempo perso



Un potente impero mondiale contro una città inerme alla ricerca di armi segrete: mi ricorda qualcosa...
Questo lo spunto narrativo iniziale di Prince of Persia - Le sabbie del tempo, storia di coraggiosi principi plebei, affascinanti e combattive principesse, traditori fratricidi e coltelli che riavvolgono il tempo.
Jerry Bruckheimer è riuscito a trasformare in una saga di successo un'attrazione da parco giochi, quando nessuno avrebbe scommesso un dollaro su un film di pirati. Ora ci riprova con un videogioco molto popolare e un'ambientazione esotica che manca un po' dai film di Hollywood, quella persiana da Mille e un notte. Metti insieme un cast prestigioso (Gyllenhall, Arterton, Kingsley), assolda un bravo regista di attori (ma che ha firmato anche un Harry Potter), ficcaci dentro un po' di roba alla moda tipo il parkour, manipolazioni del tempo che neanche in Lost, effetti digitali a go go e infine passa alla cassa. Purtroppo stavolta non tutto è filato liscio e in USA il film ha incassato finora pochino. Sarà perché è un'operazione a tavolino che manca di cuore, la storia non coinvolge e Jake Gyllenhaal non ha la folle maramalderia di Jack Sparrow/Johnny Depp. Non fa altro che saltare come una scimmia da una parte all'altra del set, sfidando tutte le leggi della gravità e della verosimiglianza e si fa rubare la scena da quel ottimo caratterista che è Alfred Molina (il suo Sheik Amar è il personaggio più divertente e riuscito). Certo, l'eroe del film ha un nome da detersivo (Dastan, imbattibile contro lo sporco), la sceneggiatura non lo aiuta (i colpi di scena sono così prevedibilmente scontati che non sono neanche telefonati ma faxati), le buone battute latitano e tutta la violenza è molto Disney (tante botte e niente sangue). Ma in fondo quello che manca di più è uno straccio di buona idea di partenza. Vorrei riavvolgere il tempo perso a veder 'sto film. Inutile.

Prince of Persia: The Sands of Time
(USA, 2010)
Un film di Mike Newell.
Con Jake Gyllenhaal, Ben Kingsley, Gemma Arterton, Alfred Molina, Steve Toussaint
Durata 116 min.

domenica 30 maggio 2010

Povera Italia



Claudio costruisce case. Ha una moglie, due figli e un terzo in arrivo. Ma Elena muore durante il parto e lui elabora il lutto decidendo di diventare un "figlio de 'na mignotta", perché solo quelli fanno i soldi. Non ci riuscirà.
Attraverso la drammatica vicenda di Claudio, Daniele Luchetti ci parla di un'Italia contemporanea non molto bella. E lo fa con un'inaspettata leggera grazia, nonostante i temi da puntata depressiva di Report: lavoro nero, infortuni mortali, edilizia selvaggia, imprenditori senza scrupoli, evasori totali. E poi, su tutto, il mito del denaro facile. Solo quello sembra contare. Avere più soldi, comprare più cose, apparire più ricchi. Claudio abbagliato da questo miraggio, ci prova e fallisce. Ma forse, alla fine, capisce che la felicità dei suoi figli non si compra con le cose.
Il regista sceglie di raccontare le macerie della nostra società partendo dal basso e dalla periferia. Gira in modo nervoso, con la camera spesso sull'intenso volto del protagonista, un ottimo Elio Germano. Sorprende e convince anche un dimesso Raoul Bova, nel ruolo del fratello maggiore. Luca Zingaretti – con un'improbabile parrucca – è invece il vicino di casa delinquente dal cuore tenero.
La nostra vita probabilmente è uno dei pochi film italiani che tra vent'anni farà capire ai posteri i tempi che stiamo vivendo. Nessuno si stupirà allora dell'esistenza di questa indecente classe politica, perché questi sono gli italiani che l'hanno scelta. Chi ci salverà da noi stessi?

La nostra vita (Italia, Francia 2010)
Un film di Daniele Luchetti.
Con Elio Germano, Raoul Bova, Isabella Ragonese, Luca Zingaretti, Stefania Montorsi, Giorgio Colangeli
Durata 95 min.

mercoledì 12 maggio 2010

La dittatura della merda



Cose che ho imparato da questo documentario:
1) se le terra trema da mesi e tutti i mass media vi dicono di restare in casa che tutto va bene, scappate subito;
2) se dopo il sisma, la vostra casa ha qualche crepa ma è ancora abitabile, barricatevi dentro;
3) se pensate che basta togliere Berlusconi di mezzo perché tutto vada meglio, vi illudete perché la merda è arrivata al potere e non se ne andrà via tirando lo sciacquone.
Sabina Guzzanti va a seguire il circo mediatico che giunge a L'Aquila dopo il terremoto e da lì comincia indagare sulla gestione dell'emergenza e sulla discutibile scelta di ricostruire ex-novo dei quartieri fuori città. I cittadini e le autorità locali sono estromesse da qualsiasi decisione. C'è l'emergenza e comanda la Protezione Civile. La città viene completamente evacuata e la gente mandata in "vacanza" negli alberghi del litorale o chiusa in tendopoli militarizzate (dove non si possono fare assemblee, bere caffè o coca-cola). Chi ha la casa appena danneggiata non può aggiustarla. E a settembre le tendopoli vengono chiuse e la gente spedita via. Pochi fortunati vanno nelle rare case nuove (costate uno sproposito), completamente arredate e fornite di tutto, dallo champagne allo spazzolone per il cesso. Insomma, sembra che certe scelte siano piuttosto insensate e i cittadini si pongono delle legittime domande. La risposta arriverà qualche mese dopo, con la pubblicazione della famigerata intercettazione di due imprenditori che se la ridono per la prospettiva di lucrosi affari post-terremoto. Perché grazie ad alcune opportune leggi, la Protezione Civile tutto può e tutto fa, in barba alle gare d'appalto e alle leggi vigenti. Funzionari corrotti e palazzinari senza scrupoli fanno il resto: la solita melma italiana. Sabina Guzzanti allarga l'orizzonte della sua indagine e cerca di spiegarci come siamo arrivati a tutto questo.
Draquila è un documentario a tesi, evidentemente schierato, e lo dichiara subito: vuole dimostrare che
1) il terremoto è stato una formidabile occasione di propaganda per aumentare la popolarità del premier e
2) il primo esperimento di sospensione dei diritti dei cittadini ad uso e consumo di imprenditori senza scrupoli, amici degli amici, a cui vanno finanziamenti faraonici per piani ricostruttivi insensati e inutili.
Queste tesi vengono sostenute in modo piuttosto convincente e articolato. Proprio per questo forse non serviva dipingere Berlusconi come una macchietta. Perché questo documentario dovrebbe vederlo proprio chi lo ha votato e ancora gli crede, perché cominci a dubitare di questo Uomo dei Miracoli. Un tono più neutro e meno barricadero sarebbe stato più efficace, ma penso che Sabina Guzzanti non riesca a controllarsi più di così.
Ci sono molte cose belle (quasi tutte le sequenze in cui Silvio non c'è), come la passeggiata notturna nel centro dell'Aquila con il sindaco, l'incontro con l'unico abitante rimasto in città, o i tanti racconti della gente costretta nelle tendopoli. Bella anche la chiusura del film, con le parole forti e lucide di un terremotato sulla dittatura, parole che mi hanno suggerito il titolo. Andate ad ascoltarle. Film necessario.

Draquila - L'Italia che trema (Italia, 2010)
Un film di Sabina Guzzanti
Con Sabina Guzzanti
Durata 93 min.

martedì 4 maggio 2010

La banalità dell'adulterio



Anna (Alba Rohrwacher) è una diligente impiegata in un ufficio di Milano. Convive con Alessio (Giuseppe Battiston), commesso, un compagno affettuoso e comprensivo, con il dono di aggiustare tutto. Però, che palle di vita!
Così, quando Anna incontra per caso Domenico (Pierfrancesco Favino), ruvido e passionale, scocca la scintilla. Ed è un'attrazione fisica forte, irrazionale, incontrollabile. Un amore tutto sesso che si consuma in una pacchiana stanza di motel. Peccato che Domenico tiene famiglia e i soldi non arrivano alla fine del mese.
Soldini ci racconta l'adulterio ai tempi della crisi, con personaggi ordinari, vite banali, consumate noiosamente in case di periferia anonime e senza qualità. Segue le loro esistenze nei gesti di ogni giorno, senza enfasi, quasi in punta di piedi.
Certo, il plot è minimale, ma gli attori rendono piuttosto credibili i loro personaggi. Peccato che all'immenso Battiston (cfr. Orson Welles' Roast in teatro!!) diano sempre il ruolo del tenero orsacchiotto e a Favino quello dell'amante focoso. Invertirli ogni tanto?
Soldini scandisce lo sviluppo del rapporto tra i due amanti con un montaggio ellittico, in un crescendo di sotterfugi e bugie. In un azzeccata contrapposizione ci mostra il ritorno a casa dei due amanti: la moglie sgama subito il marito fedifrago, mentre il candido compagno tradito non sospetta nulla. Ah, questi uomini, che distratti!
Film freddino con finale (giustamente) aperto. Astenersi coppie in crisi.

Cosa voglio di più
(Italia / Svizzera, 2010)
Un film di Silvio Soldini.
Con Alba Rohrwacher, Pierfrancesco Favino, Giuseppe Battiston, Teresa Saponangelo, Monica Nappo, Gigio Alberti, Fabio Troiano.
Durata 126 min.

venerdì 23 aprile 2010

Nel Paese dei Cristiani selvaggi



Ipazia è una carismatica donna di scienza nella turbolenta Alessandria d'Egitto alla fine del 400, dove risplende l'ultimo barlume della cultura ellenica e convivono pacificamente pagani ed ebrei. Ma adesso c'è un nuovo culto in città: si fanno chiamare cristiani e hanno poco rispetto per gli idoli degli altri. Ipazia, matematica ed astronoma, insegna e condivide la conoscenza con tutti, tentando inutilmente di smorzare le tensioni tra le varie religioni. La sua figura di donna indipendente, colta e intelligente, entrerà in rotta di collisione con l'emergente potere cristiano, rappresentato dal fanatico vescovo Cirillo.
Agora è un kolossal filosofico, spettacolare ed intelligente, incentrato sullo scontro tra ragione laica e fondamentalismo religioso. Il film ci restituisce un coinvolgente ed emozionante ritratto di una donna straordinaria, interpretata da un'intensa Rachel Weisz. Il regista ce la mostra intenta ad insegnare l'astronomia, a fare esperimenti con la caduta di pesi ed intuire (1200 anni prima di Keplero) che l'orbita della Terra è ellittica. Per poter rimanere libera e indipendente lei rinuncia a diventare moglie e madre: questo è il prezzo che deve pagare una donna che vuole fare la filosofa. Ma le costerà la vita il rifiuto di sottomettersi alla nuova e prepotente religione cristiana.
Amenábar sposa la tesi che il mandante dell'assassinio di Ipazia sia il vescovo Cirillo (santo e dottore della Chiesa, non l'ultimo monaco che passava di là) e ne fa una martire della scienza. (Anche perché la versione dei fatti che giustifica l'azione di Cirillo, descrive la filosofa come una strega senza dio, tesi che puzza di propaganda cristiana). Sarà per questo che la figura di Ipazia è poco nota in Italia e il film ci ha messo un anno ad arrivare nelle nostre sale. Non è bello rivangare certi crimini della Chiesa, che già non gode di buona stampa ultimamente. E poi nel film i cristiani – che sembrano più dei talebani – sono dipinti come dei bifolchi devastatori di biblioteche, maneschi antisemiti e assassini. In realtà Agora è un atto di accusa contro tutti i fanatismi religiosi e le degenerazioni della teocrazia. Incidentalmente ci suggerisce che tra i barbari, che hanno spazzato via la cultura classica, ci stanno pure i cristiani, e che la smania della Chiesa di controllare il corpo (e la mente) delle donne arriva da lontano e non è ancora finita.
Una volta gli insegnanti (atei comunisti) ci portavano a vedere Galileo* della Cavani, che in qualche modo è affine ad Agora. Ora è il momento di far conoscere alle scolaresche questo film: è un buon antidoto alle agiografiche vite di santi, preti e papi che ci propina oggi la tv, tra una tetta e un culo di donne-oggetto contente di esserlo. Prendiamola con filosofia!

Agora (Spagna, 2009)
Un film di Alejandro Amenábar.
Con Rachel Weisz, Max Minghella, Oscar Isaac, Ashraf Barhom, Michael Lonsdale.
Durata 128 min.

*Il film all'epoca è stato (incredibilmente) vietato ai minori di 18 anni e - chissà perché - non è mai stato trasmesso dalla tv italiana.

domenica 18 aprile 2010

Giochi nell'ombra



Un giovane scrittore (Ewan McGregor) viene chiamato a sostituire il ghost writer dell'ex-premier britannico Adam Lang, deceduto misteriosamente in mare. Per un pacco di soldi dovrà recarsi su una desolata isola della East Coast americana e mettere mano alla biografia dello statista, lasciata incompiuta dal suo predecessore. Era meglio se restava a casa.
Polanski tesse delle atmosfere inquietanti, con cieli bassi e lividi, isolamento angosciante, false cortesie e un senso di minaccia costante e crescente. Il malcapitato giovane scrittore scoprirà a sue spese di essere finito in un intrigo più grande di lui.
L'uomo nell'ombra è un interessante thriller fantapolitico di stampo hitchcockiano che – proprio come Green Zone – pesca a piene mani dalla storia recente: la guerra al terrorismo, la discutibile pratica delle extraordinary rendition (Adam Lang viene accusato di crimini di guerra per la morte di un presunto terrorista), gli interessi di grandi corporation (come Halliburton) nelle guerre di Bush, la politica britannica al rimorchio di quella americana, e così via.
Il fascinoso ex-premier inglese (un convincente Pierce Brosnan) e la sua energica moglie (un'ottima Oliva Williams) ricalcano vagamente Tony Blair e consorte, ma sono punti di partenza per personaggi più complessi e sfaccettati di quello che sembrano. Infatti il cuore del film è un raffinato gioco psicologico e manipolatorio tra quattro personaggi: il "candido" giovin scrittore, quel marpione dell'ex-premier, l'imperscrutabile e umorale consorte e l'assistente personale (e amante) di Lang.
Polanski spara un paio di divertite bordate contro la stupefacente politica statunitense, quando fa notare che, insieme a tre o quattro "stati canaglia", gli USA non riconoscono la Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja (e perciò possono permettersi una certa libertà nel condurre le loro guerre in giro per il mondo). Caccia senza tregua invece a Polanski – attualmente agli arresti in Svizzera – per un reato commesso in USA trent'anni fa.
Da applausi il colpo di scena finale girato con superba eleganza.
Ombroso.

The Ghost Writer (USA/Germania/Francia, 2010)
Un film di Roman Polanski.
Con Ewan McGregor, Pierce Brosnan, Kim Cattrall, Olivia Williams, James Belushi, Timothy Hutton, Eli Wallach, Tom Wilkinson
Durata 131 min.

martedì 13 aprile 2010

Le armi di distrazione


Bagdad, 2003: Roy Miller (Matt Damon) comanda una delle squadre che hanno il compito di trovare le famigerate armi di distruzione di massa di Saddam. Non le trova da nessuna parte e comincia a insospettirsi. Che non ci siano?
L'inglese Paul Greengrass gira un film adrenalinico, tutto sparatorie, esplosioni e macchina a mano a rincorrer soldati, in cui innesta un tema della storia più recente: la balla delle armi di Saddam come giustificazione per invadere l'Iraq. In mezzo a questa folle baraonda troviamo infidi funzionari di Washington, pericolosi reparti speciali, agenti della CIA che non sanno più che pesci pigliare, giornalisti un po' troppo embedded, governi fantoccio, torture e iracheni patriottici.
Mentre nel film si spiega molto bene il castello di fandonie costruito per giustificare l'azione bellica, si tralascia il discorso su cui prodest la guerra irachena (vale a dire alla solita cricca di amici di Bush). Comunque colpisce vedere trattati questi temi in un film mainstream, godibile ma meno incisivo rispetto alle potenzialità della vergognosa vicenda raccontata. Insomma si sente l'aria di Obama, ma senza esagerare.
Se le riprese sono concitate e sporche, il montaggio ritmatissimo, la sceneggiatura invece è un po' schematica, con personaggi buoni e cattivi ben delineati (e ben distribuiti tra americani e iracheni) e il finale un po' moscio. Green Zone è un buon film di genere, anche se in conclusione lascia un po' di legittime domande senza risposta. Intelligentemente bellico.

Green Zone (Gran Bretagna, USA, Francia, Spagna, 2010)
Un film di Paul Greengrass.
Con Matt Damon, Greg Kinnear, Brendan Gleeson, Khalid Abdalla, Amy Ryan.
Durata 115 min.

domenica 14 marzo 2010

Un gay alla mia tavola (anzi due…)



Tommaso - studente a Roma con velleità da scrittore - torna nella natia Lecce per fare outing durante una cena familiare. Suo fratello Antonio, rimasto a lavorare nell'azienda di famiglia, a sorpresa, lo anticipa. Il padre prima lo caccia di casa e poi ha un infarto. Tommaso così resta incastrato tra obblighi familiari, segreti inconfessati e una vita da cui è intenzionato a fuggire.
Con Mine vaganti Ozpetek firma il suo film più lieve e divertente, senza perdere in profondità e con sprazzi di struggente rimpianto per le vite infelici costruite sulla menzogna e la rinuncia (vedi la storia d'amore impossibile della nonna, una straordinaria Ilaria Occhini). Tommaso si trova combattuto tra le sue legittime aspirazioni di vita e la volontà di non ferire ulteriormente il padre, che non accetta l'idea di un figlio omosessuale, figurarsi due!
Lasciati i dolorosi e drammatici film più recenti, Ozpetek si concede una commedia frizzante, senza cadere nella facile farsa, neanche quando entra in scena il circo gay degli amici romani di Tommaso, con tutta la sua girandola di equivoci e situazioni decisamente comiche. Dialoghi brillanti e cast in grande spolvero, a partire da uno strepitoso Ennio Fantastichini, capofamiglia fedifrago e omofobo, Riccardo Scamarcio, figlio gay taciturno e sensibile, Elena Sofia Ricci, stravagante zia miope con un debole per i liquori, sino a Nicole Grimaudo, la bella e fragile Alba, che intreccia una tenera amicizia con Tommaso.
Questo diavolo di un turco non solo sa far recitare anche i sassi (vedi Gabriel Garko nelle Fate ignoranti), ma sa pure girare! Anche quando apparentemente si disimpegna, egli riesce a dare ai suoi film un'impronta forte e personale, come dimostrano i primissimi minuti di questa pellicola, con quella sposa che corre tra gli ulivi, un inizio bello e spiazzante. Poi, come nelle sue pellicole più riuscite, il film è pieno zeppo di momenti conviviali, con gruppi famigliari riuniti a tavola e piccoli riusciti intermezzi musicali. Non manca un pre-finale drammatico e una chiusura conciliante ed onirica. Insomma tutti gli elementi che il pubblico ama ritrovare in un film di Ozpetek, senza le pesantezze o l'eccesso di carne sul fuoco che zavorrava alcuni suoi lavori del passato. Due ore di evasione intelligente.

Mine vaganti (Italia, 2010)
Un film di Ferzan Ozpetek.
Con Riccardo Scamarcio, Nicole Grimaudo, Alessandro Preziosi, Ennio Fantastichini, Lunetta Savino, Elena Sofia Ricci, Ilaria Occhini, Bianca Nappi, Carolina Crescentini.
Durata 110 min.

mercoledì 10 marzo 2010

L'isola dei matti



Scorsese torna con un "thriller psichiatrico" molto noir, un'indagine più mentale che poliziesca. Un'isola tenebrosa, un manicomio criminale, una tempesta e due agenti dell'FBI alla ricerca di una paziente misteriosamente scomparsa. Nessuno collabora, tutti sono reticenti e l'agente Teddy Daniels (Leonardo DiCaprio), si porta dietro un bagaglio personale di dolore e sensi di colpa che lo perseguita con incubi e visioni. Niente è quello che sembra. E con la trama mi fermo qua, perché si rischia lo spoiler ad ogni parola detta in più. Infatti Shutter Island fa parte di quella categoria di film con il colpone di scena finale, ma nonostante l'abilità di Scorsese (e della sceneggiatrice Laeta Kalogridis) di distrarre lo spettatore, si capisce ben presto quale sarà l'esito del plot.
Belle atmosfere, azzeccate scene oniriche, scenografie molto curate (l'interno del Padiglione C riecheggia le prigioni del Piranesi), bel cast (anche nei comprimari), splendida fotografia, una colonna sonora molto molto colta (che fa tanto Kubrick), per un film di godibile intrattenimento ma nulla di più. Comincia piuttosto bene, tratteggiando un personaggio e un'ambientazione promettenti, ma poi delude un po' verso la fine. Nel mezzo c'è di tutto: il trauma dei campi di concentramento, la caccia alle streghe maccartista, il manicomio lager con il dottore in salsa Nazi, la manipolazione della mente, la Rimozione della Colpa e via psicanalizzando…
Insomma un bel esercizio di stile, ma alla fine vien voglia di dire: tutto qua, Martin? Insomma ti sei voluto divertire e si vede, ma se ci si chiede che senso ha tutto ciò, si va via piuttosto perplessi.

Shutter Island (USA 2010)
Un film di Martin Scorsese.
Con Leonardo DiCaprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Michelle Williams, Patricia Clarkson, Max von Sydow, Jackie Earle Haley, Emily Mortimer, Elias Koteas, Ted Levine
Durata 138 min.
VM 14

sabato 6 marzo 2010

Alice in Burtonland



Sontuosa confezione per uno dei libri più visionari dell'Ottocento, filmata con accenti dark dal regista dei freak Tim Burton.
La ventenne Alice Kingsley viene promessa in sposa all'insipido Lord Ascot. Lei preferisce inseguire il Bianconiglio. Si ritrova in un magico mondo sotterraneo devastato dalla crudele Regina di Cuori e popolato da strampalati personaggi. Solo dopo aver preso coscienza di sé e ricordato il suo primo viaggio, Alice potrà sconfiggere il Male e far sì che nel "Paese delle Meraviglie" torni la serenità. Riemersa nel mondo reale, prenderà in mano la sua vita, smarcandosi da obblighi e convenzioni.
La sceneggiatura di Linda Woolverton (Il Re Leone, La Bella e la Bestia) propone una rilettura quasi femminista della figura di Alice (una intensa e combattiva Mia Wasikowska), con un finale che la vede salpare per un viaggio vero in paesi lontani e altrettanto straordinari. L'Alice di Burton è una giovane donna fuori dagli schemi, ricca d'immaginazione e volitiva, e perciò castrata dalle rigide regole della società dell'epoca, che la rendono per certi versi una freak, come tutti i personaggi migliori dei film di Burton. Più "normale" invece il trip di Alice al centro del film, con una trama piuttosto lineare da fiaba classica, nonostante la quantità di personaggi eccentrici che l'accompagnano.
Il film è visivamente ricchissimo, con un ambientazione dai toni gotici e tenebrosi cari al regista, ma senza essere troppo cupo (è pur sempre un film Disney per bambini). L'integrazione tra gli animali fantastici in CGI (il mio preferito è lo Stregatto) e gli attori in carne ed ossa è perfetta, le scenografie curatissime e i costumi splendidi (originali soprattutto le creative mise di Alice).
Burton riesce a rendere inquietante pure la "regina buona", un'algida Anne Hathaway con trucco teatrale e una gestualità stilizzata e straniante, mentre lo straripante Johnny Depp regala accenti tragici al suo folle cappellaio. Straordinaria – come sempre – Helena Bonham Carter, perfettamente a suo agio nel ruolo della regina cattiva.
Non un capolavoro, ma mantiene le promesse grazie al cast e alla confezione. Inutile (se non dannoso) il 3D aggiunto in post-produzione. Risparmiate i soldi, vedetelo in 2D!

Alice in Wonderland (USA , 2010)
Un film di Tim Burton
Con Mia Wasikowska, Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Crispin Glover, Anne Hathaway
Durata: 108 min.

sabato 20 febbraio 2010

La Repubblica delle Banane (marce)



Il figlio più piccolo
è un impietoso e riuscito ritratto dell'Italia contemporanea e dei suoi capitalisti d'accatto. Immagino che Avati abbia voluto calcare la mano, costruendo certe situazioni al limite della satira più caustica ed esagerando lo squallore morale dei loschi figuri protagonisti del suo film. Ma la cronaca di questi giorni lo sorpassa ampiamente in ferocia e questo fa comprendere com'è difficile stigmatizzare certi difetti del nostro Paese in una qualsiasi opera di finzione. La realtà è già disgustosamente più in là. E mentre sullo schermo vedi i meschini traffici di uomini d'affari senza vergogna, pensi a quelli veri e non hai già più voglia di ridere della cafoneria o della ribalda spregiudicatezza dei personaggi avatiani: vuoi solo vomitare. Precisato ciò, il film funziona, ed è perversamente piacevole.
Avati – come già accaduto più volte in passato – mette insieme un cast eccentrico e sorprendente. Christian De Sica è perfetto nel ruolo di Luciano Baietti, finanziere d'assalto cialtrone, e dà quasi fastidio vedere come finora ha sprecato il suo indubbio talento in filmacci da grandi incassi ma infimo spessore. Qui finalmente veste i panni di un personaggio a tutto tondo, un ruolo degno del miglior Sordi, capace di una recitazione trattenuta e convincente. Zingaretti è bravo nel tratteggiare l'ipocondriaco e monacale consigliori del protagonista, uno sfuggente faccendiere che trama nell'ombra, mentre la Morante è la fragile e svampita ex-moglie di Luciano. Il figlio più piccolo del titolo è la scoperta Nicola Nocella, che ha la freschezza e il phisique du role necessario per calarsi nei panni del candido Baldo, vittima predestinata delle macchinazioni paterne. Avati ripesca dall'archivio storico televisivo anche una rediviva Sydne Rome, partner della Morante nel loro patetico duo di cantanti hippie.
Il regista bolognese lancia riuscite frecciate a destra e a manca, mostrando il disfacimento di una società amorale e senza cultura, e lo fa con imperturbabile grazia e leggerezza. Non ci sono personaggi veramente positivi nel film e sembra non esserci nessuna vera redenzione. Anche l'ingenuo figlio più piccolo è alla fine solo un povero idiota che insegue sogni impossibili e risibili (studia al Dams e vuole fare un film con protagonisti due trans cannibali). E l'apparente conciliante finale è di una tristezza agghiacciante. Questo è il mondo in cui viviamo. No future.

Il figlio più piccolo (Italia, 2010)
Un film di Pupi Avati.
Con Christian De Sica, Laura Morante, Luca Zingaretti, Sydne Rome, Nicola Nocella, Fabio Ferrari, Marcello Maietta, Massimo Bonetti, Alberto Gimignani, Maurizio Battista, Giulio Pizzirani, Pino Quartullo.
Durata 100 min.

sabato 13 febbraio 2010

La ragazza che non c'era


Sulla carta Amabili Resti poteva diventare un piccolo gioiello – tipo Creature del Cielo – nella filmografia di Peter Jackson. In entrambi c'è un atroce delitto, ragazze protagoniste e tutto un mondo fantastico da creare. Invece…
Il bel romanzo della Sebold (ha uno degli incipit* più fulminanti degli ultimi anni), da cui è tratto il film, viene smontato, semplificato e svuotato accuratamente da tutta la sua carica sensuale e sessuale. La quattordicenne Susie Salmon viene stuprata e fatta a pezzi dal suo vicino di casa. Prigioniera di un mondo perfetto, un limbo indefinito tra l'aldilà e il mondo terreno, seguirà da spettatrice le vicende dei suoi cari, gli amabili resti, e tutto quel che nascerà attorno alla sua assenza. Il film lascia fuori campo la violenza – e possiamo anche condividerlo – ma poi fa piazza pulita anche di un elemento importante e non secondario nel romanzo: la sessualità, appunto. Morta alla soglia dell'adolescenza, Susie non conosce nè amore nè il sesso e li vivrà solo per interposta persona (attraverso la sorella, la madre, le amiche). Solo così si spiega questo suo voler rimaner legata alle vicende del mondo terreno. Non c'è sete di vendetta in lei, ma solo uno struggente rimpianto per ciò che le è stato tolto. Questo tema nel film è praticamente inesistente.
La pellicola è visivamente molto curata, come ci si aspetta da Peter Jackson. Ma ci sono cose apprezzabili e altre meno. Bella la scelta di far vivere la famiglia Salmon e il suo dolore in un eterno paesaggio autunnale, splendida la sequenza quasi astratta in cui Susie capisce di essere stata assassinata, ottima quella in cui sua sorella s'intrufola nella casa dell'omicida. Più discutibile la visualizzazione del limbo di Susie – un mondo che resta piuttosto indefinito nel romanzo – una fantasmagoria di surrealismo pop al limite del kitsch che ricorda pericolosamente l'altro mondo del terribile Al di là dei sogni. Un po' di moderazione in questo caso avrebbe aiutato il film, ma forse è chieder troppo al buon Peter. Che, come sempre, non si fa mancar niente. Oltre all'eccessivo paradiso in CGI, fa un uso massiccio del grandangolo, di inquadrature fortemente scorciate e di dettagli giganteschi (non se ne vedevano così dai tempi di Cuore selvaggio).
Splendida la giovane Saoirse Ronan (Susie) e ottima Susan Sarandon nel ruolo della nonna, opachi gli altri interpreti, penalizzati da una sceneggiatura che ridimensiona molto il loro spessore psicologico. Efficace Stanley Tucci (George Harvey, l'assassino), che lavora sul personaggio per sottrazione e forse non aveva bisogno del discutibile travestimento da serial killer anni Settanta. Peccato che l'ampio respiro della narrazione della Sebold viene racchiuso in un film che spesso corre dove dovrebbe rallentare e viceversa.
In conclusione: dal ragazzo ci si aspettava di più. Rimandato… tra gli Hobbit.

Curiosità. Un po' come Hitchcock anche il nostro Peter si concede brevi apparizioni nei suoi film. Qui lo vediamo mentre prova una cinepresa superotto nel negozio di fotografia. Come se non bastasse, qualche scena prima, c'è il poster del Signore degli Anelli in bella evidenza nella vetrina di una libreria. Maramaldo!

The Lovely Bones (USA, Gran Bretagna, Nuova Zelanda 2009)
Un film di Peter Jackson.
Con Mark Wahlberg, Rachel Weisz, Susan Sarandon, Stanley Tucci, James Michael Imperioli, Saoirse Ronan
Durata 135 min.
VM 14
* "Mi chiamavo Salmon, come il pesce. Nome di battesimo Susie. Avevo quattordici anni quando fui uccisa, il 6 dicembre del 1973." (Alice Sebold, Amabili resti, Edizioni e/o, 2002)

venerdì 5 febbraio 2010

About a girl



Mia moglie – grande fan di Nick Hornby – mi ha gentilmente trascinato a vedere An education, prima sceneggiatura dello scrittore inglese piuttosto frequentato dal cinema (Febbre a 90, Alta fedeltà, About a Boy).
Il film narra l'educazione sentimentale di una studentessa sedicenne, soffocata dalla noia e dal conformismo in un sobborgo inglese dei primi anni sessanta. La brillante Jenny, tutta grigia scuola e casa piccolo borghese, incontra David, affascinante uomo di mondo, che ha il doppio della sua età. Non ci mette molto ad esserne sedotta e mandare all'aria il futuro che la famiglia ha programmato per lei. La sua fame di arte, di musica, di mondo, le fa fare scelte che si riveleranno avventate.
La storia è minimale – quasi banale – ma è solo uno spunto per un sincero ritratto di una giovane donna che cerca la sua strada nella vita, a dispetto di scuole castranti, padri dagli orizzonti limitati e uomini mascalzoni. Una vera eroina dal cuore puro, che rivendica la sua libertà in un mondo che vuole le donne istruite sì, ma solo per fare un buon matrimonio.
Il film ha dei bei dialoghi e buone battute: si sente la mano di Hornby. È piacevole anche la ricostruzione della Londra prima dei Beatles e addirittura sfolgorante Carey Mulligan, candidata all'Oscar per questo ruolo. La scelta di Peter Sarsgaard per David invece toglie la sorpresa del colpo di scena finale, perché con quella faccia lì finisce sempre a fare il bastardo.
Non sarà un capolavoro, e probabilmente non vincerà nessuno dei tre Oscar al quale è candidato (miglior film, miglior attrice protagonista, miglior sceneggiatura non originale) , ma An education è un film piacevole e intelligente. Adatto alle signorine.

An education (Gran Bretagna, 2009)
Un film di Lone Scherfig
Con Peter Sarsgaard, Carey Mulligan, Alfred Molina, Dominic Cooper, Rosamund Pike, Olivia Williams, Emma Thompson, Cara Seymour, Matthew Beard, Sally Hawkins
Durata 100 min.

giovedì 4 febbraio 2010

La guerra è una droga


Faccio un'eccezione alla regola di recensire solo i film visti in sala, per questa pellicola indipendente, candidata ora a 9 Oscar (1). "The Hurt Locker", uscito in Italia già nel 2008 (dopo il passaggio al Festival di Venezia), è stato pressoché ignorato dal grande pubblico (meno di 50 mila euro l'incasso del primo week-end). Colpa del titolo incomprensibile (2) e un di poster italiano graficamente autolesionista e senza appeal (qui ho pubblicato quello per il mercato scandinavo, il più accattivante di tutti).
La tosta Kathryn Bigelow ci mostra una cruda fetta dell'Iraq odierno, inseguendo le azioni di una squadra di artificieri. Ogni operazione è un un tentato suicidio nella roulette russa delle strade di Baghdad. Il sergente William James disinnesca auto-bomba, ordigni micidiali lasciati ai bordi delle strade, kamikaze involontari e perfino il "corpo-bomba" di un ragazzino (una delle scene più agghiaccianti del film). James non sembra temere la morte, a differenza dei suoi compagni di squadra. Si lancia in ogni missione con una passione perversa e sembra non poter farne a meno. Perché, come dice l'epigrafe all'inizio del film, "la guerra è una droga" (3). Ed è più potente dell'amore per la propria famiglia. Lo spericolato protagonista – come scopriamo in seguito – ha una bella moglie e un figlio piccolo a casa: un mondo lontano, quasi alieno a lui. Significativa la piccola ma perfetta sequenza della spesa all'ipermercato con la moglie, che vale più di mille parole.
"The Hurt Locker" è un film senza retorica, crudo ed essenziale, coinvolgente, potente e a volte poetico. Non è opera politica o impegnata come "Redacted" di DePalma: resta solo un film di genere bellico, ma girato benissimo e con un punto di vista originale su una guerra insensata. Ognuno trarrà le sue conclusioni. Spero che la pioggia di nomination agli Oscar lo riporti presto in sala.

The Hurt Locker (USA, 2008)
Un film di Kathryn Bigelow.
Con Jeremy Renner, Anthony Mackie, Guy Pearce, Ralph Fiennes, Brian Geraghty, David Morse, Christian Camargo, Evangeline Lilly
Durata 131 min.

1 Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Attore Protagonista, Migliore Sceneggiatura originale, Fotografia, Montaggio, Effetti sonori, Montaggio del suono, Colonna sonora
2 Il titolo del film è una locuzione presente nello slang militare americano usata per descrivere un luogo particolarmente rischioso in cui i risvolti sono imprevedibili. (Wikipedia)
3 "La furia della battaglia provoca una dipendenza fortissima e spesso letale, perché anche la guerra è una droga"
Chris Hedges, scrittore e corrispondente di guerra americano.

sabato 30 gennaio 2010

Tutto su mia madre


Virzì dirige una commedia drammatica asciutta, che narra le vicende della famiglia Michelucci dagli anni Settanta agli Ottanta. Tutto il film ruota attorno ad una figura femminile di straordinaria vitalità.
Anna (Ramazzotti/Sandrelli) è una specie di sole nero che sembra assorbire l'energia e la vita dalle persone amate. Rovina la vita al marito troppo possessivo e geloso, rende depresso il figlio maggiore, Bruno (Mastandrea), mentre la figlia Valeria (Pandolfi) vive un matrimonio solo apparentemente soddisfacente, vittima anche lei di una madre troppo ingombrante. Bruno lascia Livorno per sfuggire ad una madre amata, ma insopportabilmente sregolata e imbarazzante, e trascina una grigia esistenza da insegnante e uomo triste. Sarà la sorella a riportarlo controvoglia nella città natale per riconciliarlo con la madre morente.
Costruito con una serie di flashback, il film è l'originale ritratto di una donna e una famiglia strampalata ma vera, nonché un affettuoso omaggio alla città del regista. Ben assortito il cast, con convincenti interpreti anche tra i giovani esordienti. Peccato che la Ramazzotti si senta in obbligo di imitare la Sandrelli (è l'Anna contemporanea) e che il pessimo suono in presa diretta faccia perdere un bel po' di battute.

La prima cosa bella (Italia, 2010)
Un film di Paolo Virzì.
Con Valerio Mastandrea, Micaela Ramazzotti, Stefania Sandrelli, Claudia Pandolfi, Marco Messeri.
durata 116 min.

martedì 26 gennaio 2010

L'insostenibile pesantezza della vita


Ryan Bingham (George Clooney) ama viaggiare leggero. Sugli aerei e nella vita. Tutta la sua esistenza è costruita sul disimpegno e l'evitar di caricare "zavorra" nel metaforico zaino che adopera nelle sue conferenze motivazionali: niente casa, legami familiari, mogli, fidanzate, figli... Finché qualcosa irrompe nella sua esistenza "leggera" tra le nuvole. Nathalie, una giovane rampante neolaureata vuole rivoluzionare il suo (terribile) lavoro di "licenziatore" e renderlo ancora più squallido. L'incontro/scontro con lei produrrà effetti inaspettati nel tran tran aereo di Bingham. Per un attimo, forse, immaginerà una vita diversa e più convenzionale assieme ad Alex, affascinante donna in carriera, apparentemente la sua versione al femminile.
"Tra le nuvole" è un'amarissima e intelligente commedia (commedia?) sull'insostenibile pesantezza della vita, cucita addosso ad un ottimo George Clooney, immersa nella tragica realtà dell'attuale crisi economica americana. Battute brillanti, sceneggiatura ben oliata (premiata da un Golden Globe), coprotagoniste adeguate e niente happy end. Il finale rimane aperto su una possibile svolta esistenziale del protagonista, ma resta agli spettatori decidere in che direzione. Bel film, ma meno divertente di quel che lascia credere il trailer.

Up in The Air
(USA, 2009)
Un film di Jason Reitman.
Con George Clooney, Vera Farmiga, Anna Kendrick, Jason Bateman, Danny McBride.
Melanie Lynskey, Amy Morton, Sam Elliott, J. K. Simmons, Zach Galifianakis, Chris Lowell,
Durata 109 min

sabato 16 gennaio 2010

Mondo 3D, Storia 1D



E' sempre piuttosto deprimente per un amante della fantascienza vedere come viene (mal)trattata al cinema. C'erano grandi attese per "Avatar", ma c'è una grossa frattura tra l'altissima qualità delle immagini sintetiche – molto efficaci nell'immergerci in un mondo alieno – e la scarsità di una sceneggiatura prevedibile e a tratti imbarazzante. Tanto più le immagini sono lussureggianti, ricche, baroccamente meravigliose, tanto più le battute sono scarse e la trama usurata. "Avatar" è poco più di una fiaba fanta-ecologica in salsa new age.
Jake Sully, marine paraplegico, viene spedito su Pandora a convincere i Na'vi a farsi depredare le risorse planetarie da un'orda di umani ingordi capitalisti. Per farlo gli trasferiscono la coscienza in un avatar* dalle sembianze aliene, che avrà il compito di farsi accettare dai nativi e convincerli a non fare resistenza. Ma - imprevedibile colpo di scena - lui s'innamora della figlia del capo e - non ci credereste mai - manda a puttane il piano dell'orda di umani ingordi capitalisti. Insomma un plot dalla banalità imbarazzante, costruito con figure che più che personaggi sono funzioni narrative. Cameron non è stato mai un fine psicologo, ma ci ha regalato in passato degli ottimi film di genere. Pur dando la massima attenzione agli effetti speciali (lui proviene da quel reparto), non si è mai dimenticato della storia che narrava. E' evidente che tutto il baraccone di meraviglie di questo e dell'altro mondo non può sostenere da solo un film di due ore e quaranta. Al quarto albero che s'illumina come un neon, il pubblico si è già rotto le balle.
Il difetto più grave è che manca totalmente di epica, ingrediente fondamentale per narrare con un certo respiro lo scontro di civiltà, la comunione con la natura, il mito di Gaia, la venuta di un messia che salverà il popolo dei Na'vi. Insomma, tanta cura tridimensionale delle immagini meritava forse un uso più intelligente. Non pretendevo di vedere il "2001-Odissea nello spazio" del nuovo millennio, mi accontentavo già di qualcosa in più del primo "Terminator".
Nonostante questi difettucci il film ha un buon ritmo ed è piuttosto godibile per un pubblico senza troppe pretese. Ottimo (finalmente) l'uso del 3D e rivoluzionaria la qualità della CGI (immagini generate al computer).
*L'avatar è una specie di clone umano-alieno comandato a distanza con la mente. La parola è originaria della tradizione induista, nella quale ha il significato di incarnazione, di assunzione di un corpo fisico da parte di un dio (Avatar: "Colui che discende").

Avatar (USA / Gran Bretagna, 2009)
Un film di James Cameron.
Con Sam Worthington, Zoe Saldana, Sigourney Weaver, Stephen Lang, Michelle Rodriguez, Giovanni Ribisi,
Durata 162 min.

martedì 5 gennaio 2010

Solo i morti vedono la fine della guerra


Dramma familiare in tempi di guerra e gran film d'attori, "Brothers" è il remake all-stars di un'apprezzata pellicola danese del 2004 ("Brodre" di Susanne Bier, uscita in Italia con l'atroce titolo "Non desiderare la donna d'altri").
Diretto in modo asciutto dal regista irlandese Jim Sheridan, il film si avvale di un notevole tris di giovani e bravi attori (Natalie Portman, Tobey Maguire, Jake Gyllenhaal). Il plot resta lo stesso dell'originale danese, solo che qua la guerra è quella in Afghanistan.
Sam Cahill (Maguire) è il perfetto family man: amorevole padre di famiglia, marito innamorato, figlio perfetto e marine tutto d'un pezzo. Suo fratello Tommy (Gyllenhaal) è la pecora nera della famiglia: disprezzato dal padre, è un alcolista e un delinquente appena uscito di galera. Grace (Portman) è la splendida moglie di Sam – conosciuto al liceo, dove lei era una cheerleader – madre di due adorabili bambine.
Ma il dramma è in agguato e scompagina tutto. Sam parte in missione e viene dato per morto. L'inaffidabile fratello si redime e si occupa della famiglia. Sul più bello Sam ritorna a casa, ma non è più lui. L'atrocità della guerra l'ha cambiato per sempre.
"Brothers" ci mostra le ferite inflitte dalle dissennate scelte belliche americane dentro le famiglie rimaste in patria ad aspettare mariti e figli che tornano "morti" anche quando non sono in una bara. Generazione dopo generazione. Il padre di Sam e Tommy infatti è un reduce del Vietnam e loro – in modi diversi – ne hanno pagato le conseguenze. Il dolore causato dalla guerra non ha mai fine. Il messaggio pacifista del film appare piuttosto evidente: nessun uomo, per quanto addestrato, si può dire pronto per ammazzarne un altro senza pagarne le conseguenze.
Gyllenhaal è perfetto a fare il disadattato, Maguire è molto convincente quando dà di matto e la Portman è sia bella che brava. Le scene madri ad alto tasso emotivo si sprecano. Finale catartico ma senza un vero happy end.

Brothers (USA, 2009)
Un film di Jim Sheridan.
Con Natalie Portman, Tobey Maguire, Jake Gyllenhaal, Bailee Madison, Taylor Geare, Patrick Flueger, Sam Shepard, Mare Winningham, Clifton Collins Jr., Josh Berry, Carey Mulligan, Jenny Wade
Durata 108 min.