mercoledì 24 dicembre 2014

Finchè morte non vi separi

Cronaca di un matrimonio in crisi. Amy e Nick, dopo aver perso i rispettivi lavori, lasciano New York per una tranquilla cittadina del Missouri. Nick, scrittore fallito, vive alle spalle della ricca moglie, ma il rapporto si deteriora giorno dopo giorno, finché lei scompare, vittima di un rapimento o di un omicidio. Tutti gli indizi portano al marito, ma niente è quello che sembra…
Fincher confeziona un angosciante horror matrimoniale incentrato sulle brutte chine che può prendere la vita di coppia dopo gli iniziali facili entusiasmi. Gone Girl è un film che sta tra Hitchcock, Bergman e i film vendicativi di Park Chan-wook. Si dipana come una lenta spirale verso la follia, con una costruzione del racconto che spiazza sempre le aspettative dello spettatore. Parte come un thriller qualsiasi per trasformarsi strada facendo in qualcosa di più torbido e inquietante. Nella prima parte ci mostra, in montaggio alternato, un marito sconvolto (ma non troppo) dalla scomparsa della moglie in circostanze misteriose e brani del diario di quest'ultima, che raccontano la triste parabola della loro storia d'amore. Poi, a sorpresa, cambia il punto di vista e tutto viene ribaltato, ma di più non si può dire per non cadere nello spoiler.
Gone Girl è un film sulle finzioni: si finge sempre di essere qualcos'altro, un marito migliore, una moglie perfetta, una coppia felice. Si finge a se stessi e agli altri. Non a caso Amy è anche Amazing Amy, personaggio di una serie di libri per bambini creata dai suoi genitori ispirandosi alla figlia da piccola: le due infanzie sono parallele ma non coincidono e la Amy reale sembra sempre vivere all'ombra dei successi del suo clone di fantasia. Poi c'è la finzione d'antonomasia, quella degli show televisivi, le cui troupe si gettano come sciacalli su qualsiasi morboso fatto di sangue e imbastiscono cialtroneschi processi al malcapitato di turno. Se sei bravo con le telecamere ti salvi, altrimenti sei finito.
Ben Affleck è un convincente marito in bilico tra il fessacchiotto e il gentleman furbetto, mentre alla brava Rosamund Pike spetta l'ingrato compito della moglie perfetta che, sotto sotto, cela una personalità a dir poco disturbata. Il cast serve in modo egregio la sceneggiatura precisa e attenta alle sfumature psicologiche di Gillian Flynn, che, senza darlo a vedere, porta lo spettatore esattamente dove vuole arrivare.
Gone Girl è un buon film, solido e con quel tanto di perfidia per affrontare temi scontati in modo originale. Comunque io l'avrei fatto uscire per San Valentino…

L'amore bugiardo - Gone Girl
(Gone Girl, USA 2014)
Un film di David Fincher.
Con Ben Affleck, Rosamund Pike, Neil Patrick Harris, Tyler Perry, Kim Dickens.
Durata 145 min.

domenica 21 dicembre 2014

Una miniera di orgoglio

Durante il duro sciopero dei minatori nell'Inghilterra thachteriana, un piccolo gruppo di attivisti gay e lesbiche londinesi decide di supportare la lotta degli operai di un remoto paesino del Galles. L'incontro di questi due mondi apparentemente molto distanti porterà  interessanti ed impreviste conseguenze.
Pride è una di quelle deliziose commedie inglesi che riescono a parlare di argomenti tosti in modo intelligente e leggero. Siamo dalle parti di Grazie, signora Thachter (che trattava proprio dello sciopero dei minatori) o Kinky Boots (che faceva incontrare operai e drag queen), per citare alcuni esempi, tralasciando lo scontato Full Monty, uno dei più noti film di questo genere.
La trama mescola ad arte realtà e fiction, coinvolgendoci in una storia tanto stravagante quanto incredibilmente vera, dosando perfettamente battute fulminanti, canonici momenti di ballo gay e sequenze politicamente più impegnate, senza mai esagerare nelle dosi.

Il nocciolo drammatico del film è ovviamente l'incontro-scontro tra gay e minatori, con tutti gli imbarazzi del caso. Ma la limpida morale che ne deriva è che quando conosci veramente l'Altro, pregiudizi ignoranti e odio insensato svaniscono. Certo, non per tutti, e non così facilmente, però è indubbiamente vero e questo ci lascia qualche speranza anche per questa isola medioevale (per quanto riguarda i diritti di molti cittadini) che è l'Italia infestata da Sentinelle in Piedi, politici omofobi e certo clero. L'altro utile insegnamento è che non puoi ignorare le giuste lotte degli altri, anche quelli che sembrano non c'entrare nulla con te.
Nel piccolo villaggio minerario gallese saranno le donne – come spesso accade - l'avanguardia più aperta all'aiuto offerto dall'eccentrico gruppo autonominatosi LGSM (Lesbians and Gays Support The Miners), convincendo i rudi e imbarazzati minatori ad accettare il sostegno di questa compagine "di pervertiti". Non tutto andrà sempre per il verso giusto e alla fine - come è noto - i minatori perderanno la loro battaglia. Però nel finale saranno proprio i minatori a restituire il favore, aprendo a sorpresa il corteo del Gay Pride di Londra nel 1985. E sarà grazie al potente sindacato dei minatori che il Partito Laburista da lì a poco inserirà nel proprio programma il tema dei diritti gay.
Pride non ha pretese né di essere un film impegnato, né un film d'autore, ma fa eccellentemente il suo lavoro, sostenuto da una buona sceneggiatura (non priva di qualche cliché), con dialoghi brillanti e un manipolo di attori perfetti, tra i quali spiccano il bravo Bill Nighy e un'irresistibile Imelda Staunton. Vivamente consigliato.

Pride (Gran Bretagna, 2014)
Un film di Matthew Warchus.
Con Bill Nighy, Imelda Staunton, Dominic West, Paddy Considine, George MacKay.
Durata 120 min.

mercoledì 10 dicembre 2014

El muleto invisibile (titolo originale triestino)

Michele è il classico adolescente, vittima designata di bullismo, con una cotta per la compagna di classe e una madre poliziotto che lo imbarazza. Dopo un festino, in cui finisce sbeffeggiato, scopre di avere il dono dell'invisibilità. Ma questa è solo la prima delle sconvolgenti scoperte che gli cambieranno la vita, facendolo diventare un supereroe suo malgrado.
Salvatores, a cui non manca il coraggio di girare film che nessuno si sogna di fare in Italia, mette a disposizione il suo inossidabile talento registico per questo riuscito esperimento con un film di supereroi da camera, che miscela romanzo di formazione, commedia e fantastico. Il protagonista è la perfetta metafora dei drammi dell'adolescenza: invisibile alle ragazze ma ben visibile ai bulli di turno, avrà il suo riscatto semplicemente crescendo, cioè scoprendo qual è la sua vera natura.
La pellicola strizza l'occhio ad una miriade di film di supereroi, come per esorcizzare l'impossibilità di competere sullo stesso terreno, ma sceglie astutamente di smarcarsi, costeggiando il filone con una storia a misura di ragazzino, senza rinunciare a tutti i topos narrativi del genere ma evitando (anche per motivi di budget) l'uso smodato di effetti speciali. Ne risulta una pellicola gradevole, ben interpretata dai giovani protagonisti, con un buon ritmo e – come sempre con Salvatores – ottimamente girata.
Nonostante il regista abbia dichiarato all'anteprima triestina del film l'importanza di Trieste nella storia narrata, la città ancora una volta non sembra essere fondamentale nella trama. Comunque va detto che Salvatores usa in modo molto intelligente le location a disposizione (alcune inedite come l'Ursus), filmando una Trieste invernale, livida e non troppo turistica. Inoltre regala alla storia del cinema una sequenza con un effetto speciale 100% triestino: il molo Audace battuto dalla bora come simbolica rappresentazione dello stato d'animo del protagonista.
Il ragazzo invisibile è un onesto e dignitoso film di genere, adatto alle famiglie, che, uscendo in sala prima di Natale, potrebbe essere un ottimo antidoto alle cretinate cinematografiche del periodo.

Il ragazzo invisibile (Italia - Francia, 2014)
Un film di Gabriele Salvatores.
Con Ludovico Girardello, Valeria Golino, Fabrizio Bentivoglio, Christo Jivkov, Noa Zatta.
Durata 100 min.
Gabriele Salvatores presenta il film all'anteprima nazionale di Trieste (Foto Peter Rustja)

martedì 25 novembre 2014

Canta ragazza canta

Katniss, scampata rocambolescamente ai Giochi, si ritrova ad essere sempre di più il simbolo della rivolta contro Capitol City, in un gioco di strategie e guerra psicologica contro il letale presidente Snow.
Come va di moda ultimamente, l'ultimo capitolo della saga Hunger Games è stato diviso in due parti. Vedendolo si sospetta che sia  più una scelta di marketing che per esigenze narrative. Risulta difficile giudicare un film monco, che prepara alla resa dei conti finale, con un climax interrotto e un finale provvisorio. Comunque, se non altro, si differenzia dai due precedenti per una trama meno ripetitiva, per quanto ancora ampiamente prevedibile. Katniss – il classico eroe riluttante – matura in questo episodio la consapevolezza della sua forza e del suo carisma e decide di farne uso, ma al tempo stesso, resta una ragazza con tutte le insicurezze dovute alla sua giovane età e un temperamento difficile da domare. La sempre brava Jennifer Lawrence dà credibilità ad un personaggio che non sempre è aiutato dalla sceneggiatura un po' tagliata con l'accetta. Il film, per le esigenze di cui sopra, è pieno di chiacchiere con qualche sprazzo di azione, in attesa del botto finale. Resta interessante solo la lotta tra i ribelli e il governo fascista di Capitol City a colpi di propaganda, forse il tema più intrigante di questo capitolo, battaglia in cui Katinss si trova nuovamente usata da forze più grandi di lei. Cast esagerato e ultima apparizione di Philip Seymour Hoffman. Per affezionati.

Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte I
(The Hunger Games: Mockingjay - Part 1, USA 2014)
Un film di Francis Lawrence.
Con Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Liam Hemsworth, Woody Harrelson, Elizabeth Banks.
Julianne Moore, Philip Seymour Hoffman, Jeffrey Wright, Stanley Tucci, Donald Sutherland
Durata 123 min.

domenica 9 novembre 2014

Viaggio impossibile

La Terra sta diventando sempre più inospitale per l'uomo. Urge cercare una nuova casa. Per fortuna la Nasa, che tutti credevano ormai scomparsa, ha trovato il modo di raggiungere nuovi pianeti in un'altra galassia grazie ad un comodo wormhole dalle parti di Saturno.
L'ex-pilota Cooper - convertitosi all'agricoltura - lascia i figli per guidare la missione per trovare il mondo più adatto. Ma, come dice la legge di Murphy - ampiamente citata nel film - se qualcosa può andare storto, lo farà, e l'odissea di Cooper e compagni sembra diventare un drammatico viaggio di sola andata, finché…
Interstellar è un ambizioso film che miscela fantascienza e sentimenti, spiritualismo laico e teoria della relatività con grande abilità, dosando intimismo e tempi lenti con azzardate scommesse visionarie e grande spettacolarità. Il regista Christopher Nolan si lancia senza rete nella sfida quasi impossibile di rappresentare l'irrappresentabile come portare lo spettatore dentro uno scientificamente plausibile buco nero o in un tesseratto, un iper-cubo multidimensionale in cui il protagonista può interagire attraverso lo spazio e il tempo con l'amata figlia.
Presentato come una specie di nuovo 2001 - Odissea nello spazio, il film, per il rapporto padre-figlia e le tematiche filosofiche, sembra invece più vicino a Contact (con cui condivide lo stesso produttore, il consulente scientifico e l'attore protagonista McConaughey),
Molto ben riuscita è la prima parte con la Terra morente a causa di carestie e tempeste di sabbia (che rimanda al dust bowl degli anni della grande depressione), accurata e credibile la parte nello spazio (qui sì piuttosto kubrikiana), ansiogene e spettacolari le scene sui pianeti, un po' meno convincente invece la chiusura del cerchio narrativo con l'espediente del tesseratto dentro il buco nero.
Il film resta comunque uno dei migliori e rari esempi di hard science fiction degli ultimi anni, grazie all'attenzione alla plausibilità scientifica, mentre il giusto equilibrio tra sequenze d'azione e scene di grande coinvolgimento emotivo (una su tutte la commovente visione dei videomessaggi dalla Terra che restituiscono frammenti della vita dei figli), una sceneggiatura intelligente e un cast davvero stellare, lo rendono una delle più interessanti pellicole della stagione.
Un film imprenscindibile per gli amanti del genere e delle opere di Nolan, ma apprezzabile pure da chi magari non ama molto la fantascienza. Da vedere – assolutamente – al cinema.

Interstellar (USA, 2014)
Un film di Christopher Nolan.
Con Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain, Michael Caine, John Lithgow.
Durata 169 min.

martedì 4 novembre 2014

La Principessa che cadde sulla Terra

A pochi mesi dall'uscita in sala dell'ultimo capolavoro di Hayao Miyazaki, ecco un nuovo film targato Ghibli, firmato dall'altro socio fondatore del celebre studio giapponese, Isao Takahata. L'autore del cartone animato più triste del mondo (Una tomba per lucciole), ritorna con la sua personale rilettura di una fiaba nipponica. La Principessa del titolo (Kaguya in originale, cioè "Notte splendente"), magica creatura luminosa, viene trovata dentro un bambù dall'anziano Okina, che la alleverà insieme alla moglie come fosse sua figlia. Convinto della sua natura nobile farà di tutto per darle una vita degna di una dama di corte, strappandola alla semplice e felice vita delle montagne e costringendola a vivere tra gli sfarzi di un palazzo nella capitale. Ma tutto ciò finirà solo per rendere profondamente infelice la giovane Principessa, che finirà per desiderare di abbandonare la Terra per ritornare sulla Luna, da dove proviene.
Lontano anni-luce dal realismo dai film precedenti di Takahata, La Storia della Principessa Splendente è un film delicato e poetico, a partire da un'inedita scelta stilistica, che lo rende un raffinato acquerello animato, con i personaggi tratteggiati da eleganti morbidi segni di matita. Questo stile così particolare si adatta perfettamente alla storia e vira verso un segno quasi espressionista nei momenti più drammatici.
Molto distante dalle principesse Disney risulta la protagonista, al centro di una fiaba riletta in perfetto stile Ghibli: ancora una volta troviamo la storia di una bambina che diventa donna, di una ragazza che non appartiene a questo mondo ma che se ne innamora, e, di nuovo, c'è una grande attenzione alla natura, al ciclo delle stagioni, agli "uccelli, insetti e bestie", come dice la filastrocca leitmotiv del film. La Storia della Principessa Splendente tocca temi profondi in modo semplice e poetico, come la struggente nostalgia di un'infanzia povera ma felice, la perfetta comunione con la natura, la bellezza del mondo con tutti i suoi pregi e difetti, l'importanza delle passioni umane, preferibili alla fredda e distaccata vita lunare. Non è un film con un lieto fine, non è un film per bambini piccoli, è semplicemente un altro gioiello di quella magica fabbrica di sogni che è lo Studio Ghibli.

La Storia della Principessa Splendente (Kaguya-Hime no Monogatari, Giappone 2013)
Un film di Isao Takahata.
Animazione.
Durata: 137 min.

domenica 14 settembre 2014

Una ventata di genio

Finalmente arriva in sala  – e solo per pochi giorni – l'ultimo capolavoro di Hayao Miyazaki, ultimo in tutti i sensi, visto che il Maestro giapponese ha dichiarato di ritirarsi. Presentato l'anno scorso alla Biennale del Cinema di Venezia, Si alza il vento è il testamento artistico di Miyazaki, un'opera che racchiude molte delle sue passioni, a partire da quella arcinota per gli aerei d'epoca. Dopo alcune recenti opere dedicate al pubblico più giovane, Miyazaki realizza un biopic su di Jiro Horikoshi, l'ingegnere che creò i famigerati aerei da caccia Zero. La storia della sua vita è impreziosita da innumerevoli sequenze oniriche (dove il volo è protagonista) e da grandi momenti di poesia, con la consueta attenzione alla natura, con cieli impressionisti, l'alternarsi delle stagioni e una grande presenza del vento, quasi un co-protagonista del film. Jiro è un sognatore che finisce per creare strumenti di morte, ma l'amore per le macchine volanti è più grande.
Le vicende di Jiro s'intrecciano con la Storia (come nell'epica sequenza dedicata al terremoto del 1923), ma il Giappone fascista e imperialista di qualche anno dopo è lasciato un po' sullo sfondo. Il film si concentra maggiormente sulle vicende più intime del protagonista (uno dei più complessi e riusciti personaggi maschili di Miyazaki) e sulla struggente storia d'amore con Naoko.
Si alza il vento è un film coraggioso e sorprendente per l'equilibrio e la maturità con cui affronta contraddizioni apparentemente irrisolvibili, come quella tra il pacifismo di Jiro e il suo essere un ingranaggio importante della macchina da guerra giapponese. Grazie ad un uso intelligente degli onirici incontri del protagonista con l'ingegnere aeronautico Gianni Caproni, i più complessi conflitti interiori possono essere mostrati e compresi.
A scanso di equivoci, Si alza il vento comunque non mostra nessuna simpatia per militari e guerre, anzi sembra riflettere nel protagonista le stesse curiose contraddizioni dell'autore, pacifista dichiarato ma amante degli aerei da guerra, tanto da aver battezzato la sua casa di produzione con il nome di un aereo militare italiano degli anni Trenta, il Ghibli (realizzato proprio dalla ditta di Caproni). Il film, anzi, è uno splendido e indimenticabile inno alla vita di commovente bellezza, un film imperdibile per tutti i fan di Miyazaki e per chi ama il buon cinema. Ah, dimenticavo, è un capolavoro.

Si alza il vento (Kaze Tachinu, Giappone 2013)
Un film di Hayao Miyazaki.
Animazione
Durata 126 min.

venerdì 9 maggio 2014

C'era una volta un albergo

Le avventure di un direttore d'albergo d'altri tempi in una fantasiosa località alpina di villeggiatura dell'Europa centrale, raccontate dal suo erede: questa in estrema sintesi la trama delle esuberanti vicende narrate in Grand Budapest Hotel.
Vertiginosa messa in abisso di trama e inquadrature nel film più barocco e geometrico dell'anno: storie incorniciate dentro storie, come quadri di inestimabile valore che sono puro macguffin per dare il via ad un'avventurosa scorribanda tra generi cinematografici all'interno di un passato idealizzato, stilizzato come in un film europeo degli anni Trenta. L'omaggio è talmente scoperto che le vicende ambientate nel passato hanno il tipico formato 4:3 dell'epoca, mentre lo squallido presente da triste repubblica socialista anni Sessanta è a tutto schermo.
La rigorosa messa in scena e i movimenti di macchina precisi come un orologio svizzero (tipici di Anderson) potrebbero dare al film un aspetto un po' freddo, ma la pellicola è riscaldata dall'ottima alchimia degli interpreti, a partire dai protagonisti (l'ottimo Ralph Fiennes e il bravo e faccioso Tony Revolori). La leggerezza da commedia, che omaggia maestri come Lubitsch e Wilder (ma anche le comiche del muto), non fa del film un esile – per quanto godibile – esercizio di stile, ma serve a veicolare senza dare troppo dell'occhio temi più pesanti come l'accoglienza del diverso e una certa insofferenza per guerre e divise. Ovviamente Grand Budapest Hotel è anche un monumento alla poesia e all'arte di narrare, come si evince già dalla prima inquadratura con la statua all'Autore.
Non sono tra i più grandi estimatori di Anderson, ma ho apprezzato questa sua ultima opera per il perfetto equilibrio tra lo stile visivo (assolutamente strepitoso), l'ottima sceneggiatura e un cast (stellare) in grande spolvero. Diventerà probabilmente uno dei suoi film più popolari.

Grand Budapest Hotel (lThe Grand Budapest Hotel, USA 2014)
Un film di Wes Anderson.
Con Ralph Fiennes, F. Murray Abraham, Mathieu Amalric, Adrien Brody, Willem Dafoe, Jeff Goldblum, Harvey Keitel, Jude Law, Bill Murray, Edward Norton, Saoirse Ronan, Jason Schwartzman, Léa Seydoux, Tilda Swinton, Tom Wilkinson, Owen Wilson, Tony Revolori.
Durata 100 min.

martedì 15 aprile 2014

Al mio segnale scatenate il diluvio

Sì, Noah (per gli amici Noè) è proprio lui, quello dell'arca, anche se la storia io me la ricordavo un po' diversa. Noah è un curioso kolossal biblico in salsa contemporanea, con una leggera spruzzata autoriale. Del resto il regista è l'eccentrico Aronofsky, che ne fa un fumettone barocco pieno zeppo di violenza epica ed effettoni speciali che neanche ne Il signore degli anelli 1, 2 e 3.
La vicenda è ambientata in un mondo barbaro e morente (reso bene dalle appropriate location islandesi) causa la malvagità sparsa dalla stirpe di Caino sulla Terra (nel film semplicemente "Uomini"), a cui il Creatore decide di mettere fine con una soluzione drastica e definitiva (nota come il "Diluvio"). Ma gli innocenti vanno salvati e dunque ecco il nostro eroe costruire una gigantesca arca – dal design di un brutto container  – per imbarcare le coppie di tutti gli animali del creato. L'impresa causa qualche frizione con il re degli uomini, deciso a salire a bordo a tutti i costi. Segue bagno di sangue, visto che Noè è aiutato nell'impresa dai Vigilanti, angeli caduti trasformatisi in giganti rocciosi (questi sì dal bel character design, devo ammettere).  L'autore si prende qualche libertà, soprattutto con i personaggi femminili (alcuni inventati di sana pianta), che hanno un peso ben maggiore che nel Testo originale (c'è una certa misoginia diffusa nell'Antico Testamento, da Eva in giù) e nel tratteggiare un Noè piuttosto inquietante, incarnato da un Russel Crowe in modalità psicopatico.
Il film mantiene le promesse, alternando scene intime sui tormenti di una fede cieca in un Dio vendicativo, a grandiosi momenti d'azione, pittoriche ed evocative inquadrature a time lapse estremi e vertiginosi. Tra capolavoro e kitsch d'autore.

Noah (USA 2014)
Un film di Darren Aronofsky.
Con Russell Crowe, Jennifer Connelly, Ray Winstone, Emma Watson, Anthony Hopkins.
Durata 138 min.

domenica 30 marzo 2014

Qualcosa di sinistro

Breve e utile documentario che racconta in modo efficace le traversie italiane della politica nel 2013 dal punto di vista di una coppia che vota a sinistra. What is left? rappresenta un nuovo arguto reportage sulle vicende italiane (dopo "Improvvisamente l'inverno scorso" e Italy: Love It, or Leave It) firmato da Luca Ragazzi & Gustav Hofer. Anche in questo film i due usano l'espediente di raccontare se stessi per allargare poi il campo alla società e alla politica. L'indagine viene svolta con la consueta intelligenza e grazia, senza l'aggressività di certi reporter televisivi ed evitando prese di posizione precostituite. Con un notevole coraggio – e un grande sense of humour – l'argomento affrontato è l'identità della sinistra ai giorni nostri, un tema da far tremare i polsi, soprattutto dopo le recenti vicende politiche italiane ai confini della realtà (e della democrazia).
Dentro What is left? c'è un anno vissuto pericolosamente, tra primarie del PD, tsunami grillini, rielezioni di presidenti ottuagenari, governi con coalizioni imprevedibili. Il tutto è inframmezzato da improbabili quiz televisivi ed esilaranti discussioni politiche tra Luca e Gustav (imperdibile la lettura del programma di Fabrizio Barca, perfetta la frecciata al M5S e la sua retorica dei cittadini: "Ce li ho nel palazzo, i cittadini, e non sono riusciti a cambiare il citofono in cinque anni.")
What is left? è un oggetto strano, in bilico tra fiction e realtà, che vuol essere un resoconto a futura  memoria di questo ultimo anno, le cui vicende politiche sono già sottoposte a distorsioni e amnesie, come ricordato da Ragazzi, durante la presentazione del film a Trieste. E fa impressione vedere tutte in fila le cronache del 2013, così improbabili e già stranamente lontane.
L'impegnativa domanda del titolo (bellissimo doppio senso in inglese) non ha risposta, almeno in una delle sue accezioni, mentre è ben chiaro che molto della sinistra (storia, ideali, voti) è stato lasciato per strada in questo ultimo anno.

What is left?
(Italia 2013)
Un film di Gustav Hofer, Luca Ragazzi.
Con Gustav Hofer, Luca Ragazzi, Lucia Mascino, Fabrizio Barca, Celeste Costantino, Alessandro Di Battista, Dario Franceschini
Durata 74 min.

lunedì 24 marzo 2014

Stasera mi butto

Londra, notte di San Silvestro. Quattro aspiranti suicidi si ritrovano casualmente in cima ad un grattacielo della city con l'intenzione di farla finita, ma questo incontro salverà (e cambierà) le loro vite.
L'incipit del film (e del libro di Hornby da cui è tratto) è la sua parte migliore. L'idea di riunire quattro perfetti sconosciuti, molto diversi tra loro, e trasformarli in un bizzarro gruppo di auto-aiuto è lo spunto più originale di Non buttiamoci giù. La narrazione a più voci del romanzo viene mantenuta, ma nel film alla fine si perde, forse a causa di una sceneggiatura un po' distratta e piena di buchi. Il cast del quartetto è buono anche se un po' scontato: Pierce Brosnan è l'uomo di successo che ha perso tutto per uno scandalo sessuale, Toni Collette è la dimessa casalinga con un figlio immobilizzato a letto, Aaron Paul il rocker fallito che consegna pizze, Imogen Poots la giovane figlia ribelle di un noto politico. Dopo un inizio promettente, con accenni di humour nero, la pellicola si smonta, proseguendo in maniera confusa – indecisa tra dramma e commedia – verso un debole finale con tanto di sbiadito happy end.
Anche se questo non è uno dei migliori romanzi di Hornby, la messa in scena senza guizzi di Chaumeil (che proviene dalla factory di Besson) rende il tutto ancora più monocorde. A volte da un libro mediocre si può ricavare un buon film. Non è questo il caso. Quasi obbligatorio recuperare Alta fedeltà e About a boy, gli addattamenti più riusciti da Hornby, per rifarsi un po' la bocca.

Non buttiamoci giù
(A Long Way Down, Gran Bretagna 2013)
Un film di Pascal Chaumeil.
Con Pierce Brosnan, Toni Collette, Aaron Paul, Imogen Poots, Rosamund Pike.
Durata 96 min.

venerdì 14 marzo 2014

Finchè c'è la salute

Romain Faubert è un ipocondriaco incurabile, incubo del suo medico, che, per liberarsi di lui, decide di aiutarlo a trovarsi una donna, nella speranza che superi le sue manie. Dalla padella alla brace.
Torna la rodata coppia di Giù al nord, con una commedia senza tante pretese, ma ben scritta e genuinamente divertente.
L'ipocondria funziona da sempre, da Molière a Verdone, e perciò Dany Boon va sul sicuro, mettendoci la sua buffa faccia di gomma e infilando una serie di gag fisiche piuttosto riuscite (si veda la chapliniana scena del metrò). Ci aggiunge poi uno scambio di persona, un'improbabile love story, un soggiorno in  disgustose prigioni balcaniche e il gioco è fatto.
Kad Mérad, dottore sull'orlo di una crisi di nervi, è la sua perfetta spalla comica mentre il fresco volto di Alice Pol (nel ruolo della donna di cui Romain s'innamora) dona alla pellicola quel pizzico di rosa che non guasta.
Un film frizzante come l'aria di Parigi in primavera, onesto, mai volgare e – cosa rara – che fa ridere sul serio.

Supercondriaco - Ridere fa bene alla salute (Supercondriaque, Francia 2014)
Un film di Dany Boon.
Con Dany Boon, Kad Mérad, Alice Pol, Jean-Yves Berteloot, Judith El Zein.
Durata 109 min.

venerdì 7 marzo 2014

La bella e la bestia

Lei è un'intraprendente e bella barista, lui un meccanico macho e burino. Si detestano, dunque si amano. Una decina di anni dopo eccoli sposati con due figli, ma la tragedia incombe…
Dopo il pretenzioso Magnifica presenza, Ozpetek torna con un film più intimo, una storia d'amore basata su due immortali luoghi comuni: chi disprezza compra e gli opposti si attraggono. Partendo da questo spunto banale, il regista mette in scena un (foto)romanzo sentimentale su due personaggi apparentemente inconciliabili, ma che – contro ogni logica e razionalità – si amano. Il film sta quasi tutto sulle spalle della brava Kasia Smutniak, accarezzata e coccolata dalla macchina da presa come poche volte prima. Attorno a lei il consueto circo ozpetekiano di gay, zie matte (la solita Elena Sofia Ricci) e simpatici personaggi un po' da macchietta (la parrucchiera napoletana). Immancabile poi la presenza nel film di: 1) una canzone turca (in una bella scena di erotismo interrotto), 2)  un furbo recupero del vintage italiano (questa volta un Rino Gaetano che interpreta Cocciante sui titoli di coda), 3) un casting spericolato (l'ex-tronista Francesco Arca come co-protagonista), 4) una sequenza onirica, che preannuncia un raffinato avvitamento temporale prima del finale e (SPOILER ALERT) potrebbe anche suggerire una dipartita prematura della protagonista. Ma il regista, indeciso tra dramma e commedia, resta sul vago e lascia agli spettatori trarre le conclusioni che preferiscono. (FINE SPOILER ALERT)
Allacciate le cinture, pur girato con la solita cura e ravvivato da più di una bella scena, risulta alla fine un esile mix di cose care al regista (e al suo pubblico), un'equilibrata miscela di lacrime e risate, meno caciarona di Mine Vaganti e più leggera (e certamente meno coraggiosa) di certi suoi film più cupi. Potrà piacere dunque al suo pubblico meno esigente, ma non aggiunge niente di nuovo al suo percorso artistico. Comunque a mia moglie (fan sfegatata del regista turco) è piaciuto, ma l'ha trovato un po' triste. Le signore sono avvisate.

Allacciate le cinture (Italia, 2013)
Un film di Ferzan Ozpetek.
Con Kasia Smutniak, Francesco Arca, Filippo Scicchitano, Francesco Scianna, Carolina Crescentini, Elena Sofia Ricci, Carla Signoris, Paola Minaccioni, Giulia Michelini, Luisa Ranieri.
Durata:  110 min.

martedì 25 febbraio 2014

Basta un poco di zucchero?

Walt Disney vuole realizzare Mary Poppins da vent'anni ma P. L. Travers, l'autrice dei romanzi, è restia a cederne i diritti. Il film narra il soggiorno californiano della scrittrice durante il quale il vecchio Walt cercherà di convincerla una volta per sempre. Impresa ardua, ma sappiamo tutti chi ha vinto.
Il film mette in scena lo scontro tra due mondi che non si comprendono. La Travers è una zitella acida e indisponente sino alla sgradevolezza, seriosa, pignola e testarda, mentre Disney si presenta come il tipico tycoon hollywoodiano, ottimista e fatuo come i suoi cartoni animati, ricco e megalomane, fermamente convinto che "se puoi sognarlo puoi farlo". Ma la vera protagonista del film è l'autrice della tata più famosa del mondo. Il suo complesso rapporto con il padre alcolista e la sua infelice infanzia in Australia, è il vero nocciolo del film. La venerazione per un genitore deludente – che vediamo in una serie di flashback – segnerà per sempre la sua vita di donna, che tenterà di superare dolori e sensi di colpa, rifacendosi una famiglia immaginaria nei romanzi di Mary Poppins. Per questo motivo è così restia a mettere nelle mani di estranei (che disprezza) la sua creatura. L'accordo arriverà solo dopo che Disney confesserà alla scrittrice il suo conflittuale rapporto con il padre-padrone, facendole comprendere che entrambi, in modi diversi, vogliono salvare il Mr. Banks di Mary Poppins, proiezione dei loro ingombranti padri.
Il film è piacevole ma d'impianto piuttosto tradizionale. Il ritratto, appena schizzato, della scrittrice è reso vivo e credibile dall'ottima interpretazione di Emma Thompson, vero motivo d'interesse della pellicola. Il Walt Disney di Tom Hanks appare ancora più abbozzato, e l'attore sembra quasi limitarsi al ruolo di spalla della brava attrice inglese. Comprimari di lusso (Colin Farell è il babbo alcolista, Paul Giamatti l'autista paziente, mentre Rachel Griffiths è imperdibile come "vera" Mary Poppins) e confezione perfetta ne fanno un film impeccabile, ma forse troppo. La colonna sonora, che saccheggia ampiamente lo score originale di Mary Poppins, è inspiegabilmente l'unica nomination all'Oscar ricevuta dal film.

Saving Mr. Banks
(USA 2013)
Un film di John Lee Hancock.
Con Tom Hanks, Emma Thompson, Colin Farrell, Paul Giamatti, Jason Schwartzman, Ruth Wilson, Rachel Griffiths.
Durata 120 min.

sabato 15 febbraio 2014

Salva l'arte...

Le avventure della speciale squadra dell'esercito americano che ha il compito di salvare le opere d'arte razziate dai nazisti in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale.
Nonostante il tema originale e un cast di ottimo livello, il film di Clooney risulta piatto, sfilacciato e intermittente. La trama si disperde in vari episodi, alternando gag leggere a momenti drammatici, pistolotti retorici a qualche rara buona idea. La sceneggiatura non aiuta il notevole gruppo di star, tra le quali si fa notare per bravura il solito Bill Murray (si veda la scena della doccia), mentre gli altri sembrano servire solo ad attirare il pubblico.
L'impianto è tradizionale, la regia rimanda ai film di guerra del passato, ma manca di verve e inventiva. E in certe sequenze (come quella del nazista imboscato in campagna) ci si chiede cosa avrebbe combinato Tarantino. Invece il tono è sempre così trattenuto che il film sembra non partire mai veramente.
La tematica trattata è interessante e meritava più impegno. Soprattutto andava risolto meglio il contrasto tra gli orrori delle guerra e la volontà di preservare i capolavori come antidoto alla barbarie. E la risposta alla domanda se vale più la vita di un uomo o una scultura di Michelangelo viene data in modo troppo sbrigativo e superficiale. Meglio recuperare The Rape of Europa, un bel documentario del 2006 che racconta in maniera più avvincente le stesse vicende che hanno ispirato il film.

Monuments men
(The Monuments Men, USA / Germania, 2014)
Un film di George Clooney.
Con George Clooney, Matt Damon, Bill Murray, John Goodman, Jean Dujardin.
Durata 118 min.

domenica 9 febbraio 2014

Bad medicine

Ron Woodroof è uno sciupafemmine macho e omofobo che scopre di avere l'AIDS a metà degli anni Ottanta. Gli danno un mese di vita, lui non la prende bene, ma poi si darà molto da fare per salvarsi la pelle.
Il film affronta il tema dell'AIDS con il piglio ruvido del cinema indipendente, lontano miglia da Philadelpia, che ugualmente trattava i pregiudizi sulla malattia ai suoi albori. Ma qui il protagonista è un etero sgradevole e rude che, per ironia della sorte, si trova a combattere "una malattia da froci".
La pellicola di Vallée mette in scena senza facili sentimentalismi la drammatica parabola di Woodroof, che proprio a causa di questo male cambierà radicalmente atteggiamento verso la malattia e gli omosessuali. Egli arriva persino ad associarsi con un trans per mettere in piedi un gruppo di acquisto di medicine alternative al letale AZT, unico farmaco contro la malattia (in fase di sperimentazione) e approvato dalla FDA. Il nocciolo del film è la lotta di questo Davide morente contro la potente lobby di Big Pharma, che per puro profitto vuol spingere come unica cura quella (costosa) con il suo farmaco dai terribili effetti collaterali. Così Woodroof si trasforma in uno spacciatore di medicine al limite della legalità, ma ben più efficaci di quelle autorizzate, scatenando contro il suo gruppo la persecuzione di qualsiasi autorità federale. In questo senso il film si colloca nel solco delle pellicole socialmente impegnate stile Erin Brockovich, con l'outsider solo ma determinato in lotta contro le indecenti storture del Sistema.
Il film, dignitoso ma non superlativo, ha qualche buona idea di regia (come la dissacrante preghiera laica di Woodroof nello strip bar), ma la sua visione è giustificata dalle intense e convincenti interpretazioni  – soprattutto dal punto di vista fisico – di un irriconoscibile Matthew McConaughey e del redivivo Jared Leto, già vincitori entrambi di numerosi premi e candidati all'Oscar.

Dallas Buyers Club (USA, 2013)
Un film di Jean-Marc Vallée.
Con Matthew McConaughey, Jared Leto, Jennifer Garner, Denis O'Hare, Steve Zahn.
Durata 117 min.

venerdì 24 gennaio 2014

L'America dei lupi

Ascesa e caduta di Jordan Belfort, rampante broker a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, raccontata da lui medesimo. Niente ci è risparmiato: sesso, droga e montagne di soldi.
Altro ruolo bigger than life per Leonardo DiCaprio (dopo Hughes, Hoover e Gatsby) e altro tassello di storia americana per Martin Scorsese che, con The Wolf of Wall Street, firma uno dei suoi film migliori da parecchi anni a questa parte.
Forte di un'interpretazione strepitosa dell'inarrivabile DiCaprio (che si conferma uno dei più grandi talenti della sua generazione) e di una produzione sontuosa, il film ci trascina per ben tre ore – che non si sentono – nel rutilante mondo della finanza allegra di Wall Street, senza annoiarci mai con tecnicismi che ammorbano opere simili. Scorsese sembra invece più interessato ad un'indagine etologica nel barbaro mondo della finanza d'assalto, riportando puntualmente l'inestricabile groviglio di pulsioni animalesche, megalomania e folle ingordigia che regna tra i lupi. L'oscena storia dell'immorale Belfort, arricchitosi oltre ogni limite sulla pelle degli altri, diventa l'amara parodia del sogno americano. Belfort è l'uomo che si è fatto da solo, dalle stalle alle stelle in pochi anni, tanto da diventare un personaggio da imitare e venerare per molti giovani rampanti. Ma la sua parabola ci rivela che il sogno americano spesso è una balla e il Paese delle opportunità è in realtà il paese degli opportunisti senza scrupoli. Scorsese sceglie i toni della commedia, sottilmente corrosiva nel mostrare le contraddizioni della società americana, e senza reticenze nel raffigurare un personaggio così eccessivo – affascinante e disgustoso al tempo stesso – che attrae lo sguardo come una carogna sulla strada.
Viste le vicende spesso esagerate, Scorsese adotta uno stile tutto sommato controllato. Non ci fa mancare i suoi eleganti movimenti di macchina (come le carrellate a volo d'uccello negli uffici immensi e formicolanti di impiegati) ma non scade mai nell'eccesso gratuito.
Il film ha un tono sorprendentemente scanzonato, ma mai grottesco (nonostante molte situazioni sopra le righe) e alterna sequenze decisamente comiche a scene più drammatiche. Il filo di questa narrazione a corrente alternata viene tenuto insieme dal protagonista stesso, che rievoca la sua vita con una notevole dose d'ironia e onestà, accompagnando lo spettatore in questa discesa agli inferi e ritorno senza mai pentirsi di quanto fatto. Belfort (e l'America) sembrano non dover mai chiedere scusa.
The Wolf of Wall Street resterà nella storia come un'altra grande lezione di regia di Scorsese e una formidabile prova d'attore per DiCaprio. Imperdibile.

The Wolf of Wall Street
(USA, 2013)
Un film di Martin Scorsese.
Con Leonardo DiCaprio, Jonah Hill, Margot Robbie, Matthew McConaughey, Kyle Chandler, Rob Reiner, Jon Favreau, Jean Dujardin. Durata 180 min.

mercoledì 15 gennaio 2014

Casa Bianca e storia nera

La lotta per i diritti civili dei neri in America vista dal maggiordomo di colore, che ha servito otto presidenti, in un film dal cast rigonfio di star.
Il personaggio interpretato da Forest Whitaker - ispirato ad un figura realmente esistita* - è lo spunto per raccontare la discriminazione razziale negli Stati Uniti lungo il Novecento. Compito che il film assolve con didascalica precisione. Ma visto che la tematica sembrava poco drammatica, sceneggiatura e regia ci mettono del loro per rendere la vita del protagonista una sequela di disgrazie, per controbilanciare la  fortunata carriera lavorativa.
Dopo un'apertura cruda e violenta, quasi da Tarantino unchained, il film mi diventa tristemente prevedibile, scadendo spesso nella retorica e nel pathos posticcio. I presidenti sono poco più che delle macchiette, mentre grande spazio viene dato allo scontro generazionale, con l'invenzione di un figlio che si trova (casualmente) in tutti i momenti caldi delle lotte per i diritti civili. Così, mentre il padre serve Kennedy, il figlio gira con Martin Luther King, e quando il papà serve Nixon, il pargolo mi diventa Black Panther. Insomma, una costruzione narrativa dallo schematismo imbarazzante, tanto è scoperto lo scheletro che tiene su scene madri e pistolotti vari. Forrest Whitaker fa del suo meglio nell'incarnare questo ultra-maggiordomo simbolico più realista del re, ma è servito da una sceneggiatura che non lo aiuta molto a rendere credibile e vivo il personaggio. Si finisce in gloria con Obama (ovviamente). Sopravvalutato.

The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca
(Lee Daniels' The Butler, USA, 2013)
Un film di Lee Daniels.
Con Forest Whitaker, Oprah Winfrey, Mariah Carey, John Cusack, Jane Fonda, Cuba Gooding Jr., Terrence Howard, Lenny Kravitz, James Marsden, David Oyelowo, Alex Pettyfer, Alan Rickman, Vanessa Redgrave, Liev Schreiber, Minka Kelly, Robin Williams.
Durata 132 min.

 * Per le differenze (notevoli) tra realtà e finzione si veda l'esauriente articolo di Time Entertainment.

venerdì 3 gennaio 2014

Un imbroglio americano

Un ambizioso agente del FBI becca due truffatori e poi li usa per incastrare politici corrotti nell'America fine anni Settanta. Bei tempi.
Il cinema da sempre è affascinato dagli imbroglioni e dal mondo delle truffe (dalla Stangata ai vari Ocean's), forse perché finzione e inganno sono elementi comuni in entrambi gli ambienti. In ogni caso il regista porta su un altro livello il genere, costruendo un elaborato intreccio di inganni multipli e intorbidendo così bene le acque che fino alla fine non si sa chi inganni chi.
Pur ispirandosi a fatti realmente accaduti, il film trova la sua forza non in un rigoroso ritratto d'epoca, ma nei suoi sfaccettati e affascinanti personaggi. Vero motore della storia sono loro, interpretati da un cast a dir poco stratosferico, a partire da un Christian Bale meravigliosamente sfatto e in sovrappeso e una bollente Amy Adams, passando per un esagitato Bradley Cooper, per finire con una irresistibilmente svitata Jennifer Lawrence. Jeremy Renner è un umanissimo sindaco che prende tangenti per aiutare i suoi cittadini, roba che qua in Italia fa un po' tenerezza, mentre De Niro – tanto per cambiare – interpreta un mafioso.
David O. Russel fa film d'attori, in cui non mancano mai scene madri e interpretazioni intense ed American Hustle non fa eccezione. Qui la trama si dipana più lentamente, con curve ampie, qualche salto temporale e senza troppa azione. Ma resteranno sicuramente nella memoria la misurata performance di Bale, con ventre gonfio e grottesco riporto architettonico e quella torrida della Adams con le sue scollature vertiginose e la sua intelligente sensualità.
American Hustle è una commedia raggelata, un affresco dell'America che ha perso da un po' l'innocenza e già fa i conti con i guasti del capitalismo, senza sapere che il peggio deve ancora arrivare.

American Hustle - L'apparenza inganna (American Hustle, USA 2013)
Un film di David O. Russell.
Con Christian Bale, Amy Adams, Bradley Cooper, Jeremy Renner, Jennifer Lawrence
Durata 138 min.