venerdì 29 dicembre 2017

L'uomo che visse due volte


Adriana, una donna solitaria che fa il medico legale, incontra ad una festa l’affascinante Andrea. Passano insieme un’appassionata notte d’amore. Lui le dà appuntamento per la sera successiva ma non si fa vedere. Ricompare invece sul tavolo autoptico morto assassinato. Adriana è sconvolta dall’episodio, soprattutto dopo che lo incrocia vivo e vegeto per strada.
Il nuovo misterioso film di Ozpetek comincia bene, con un interessate spunto narrativo degno di un buon giallo, un’ambientazione napoletana piuttosto originale e un manipolo di bravi attori. Putroppo il film ben presto si perde per strada, diventando un soporifero pasticcio tra echi manieristi e maldestri spunti hitckcockiani, senza decidersi che strada prendere tra il giallo e il melò. Ozpetek infarcisce il film un po’ a casaccio con singolari riti, affascinanti luoghi d’arte e personaggi folcloristici, ma in maniera poco organica alla trama, che intanto si sfalda minuto dopo minuto.
Il mistero viene alimentato con indizi buttati un po’ là, il delitto viene liquidato sbrigativamente e il regista sembra indeciso su come venirne fuori. E infatti conclude il film infilando uno dopo l’altro un paio di finali, uno peggio dell’altro.
Non è il suo film più riuscito, per usare un eufemismo.

Napoli velata (Italia, 2017)
Un film di Ferzan Ozpetek.
Con Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Borghi, Anna Bonaiuto, Peppe Barra, Biagio Forestieri.
Durata 113 minuti.

venerdì 15 dicembre 2017

Debole scorre la forza


Il malvagio Primo Ordine sta vincendo ma gli eroici ribelli, ultimi difensori della Repubblica, non si arrendono facilmente. La giovane Rey cerca l’aiuto del riluttante Luke Skywalker, ma dovrà cavarsela da sola contro Kylo Ren e il maligno leader Snoke.
Il secondo capitolo della nuova trilogia cerca nuove vie nell’interminabile saga di Lucas ma, pur evitando di ripetere trame già viste (come nell’episodio precedente), non si emancipa completamente dall’ingombrante eredità del Star Wars classico. Ma mentre questo aspetto è quasi inevitabile in un franchise miliardario (come ho già sottolineato sia per Star Wars: Episodio VII - Il risveglio della forza che per Rogue One), è imperdonabile una sceneggiatura che spesso gira a vuoto e che si limita a infarcire il film con il solito repertorio di battaglie, duelli, missioni impossibili, deboli gag comiche e animaletti coccolosi ma senza nessun senso dell’epica. Sbaglia poi clamorosamente sulla costruzione di alcuni personaggi, come il super malvagio leader Snoke: misterioso, onnipotente e imponente nell’episodio precedente, qui è poco più di un villain dalla brutta (mezza) faccia, che viene liquidato assurdamente in fretta. Anche il carattere di Rey, che sembrava promettere bene, è stato sviluppato in modo deludente, diventando sempre meno interessante. Un vero peccato, perché visivamente il film è impeccabile, con sequenze di grande virtuosismo ed eleganza (si veda la carrellata volante nel casinò), un buon ritmo e un sacco di invenzioni riuscite per quanto riguarda le ambientazioni e l’esotica fauna che da sempre popola la saga. Forse un po’ meno di azione, un po’ di maggior spessore ai protagonisti e più cura nello sviluppo della trama avrebbe giovato al film.

Star Wars: Episodio VIII - Gli ultimi Jedi (Star Wars: The Last Jedi, USA, 2017)
Un film di Rian Johnson.
Con Mark Hamill, Carrie Fisher, Adam Driver, Daisy Ridley, John Boyega, Oscar Isaac, Andy Serkis, Lupita Nyong'o, Domhnall Gleeson, Anthony Daniels, Gwendoline Christie, Kelly Marie Tran, Laura Dern, Benicio Del Toro, Peter Mayhew.
Durata 152 minuti.

venerdì 10 novembre 2017

Un grafico salverà il mondo


Finalmente anche noi grafici abbiamo il nostro eroe. Ciro è un qualificatissimo giovane laureato in comunicazione che si arrabatta tra clienti terribili e uno squallido lavoro in friggitoria, finchè non spedisce il suo curriculum nello spazio e viene assunto da degli alieni apparentemente gentili e disponibili. Alla fine gli toccherà salvare il mondo.
I ragazzi di The Jackal, dopo anni di esilaranti video su Youtube, sbarcano sul grande schermo con una divertente fanta-commedia in salsa napoletana. Girato con la consueta cura, che contraddistingue le produzioni del gruppo, AFMV si muove tra la satira sociale (la fuga dei cervelli portata all’estremo), puro divertissement e la fantascienza ironica e divertente in stile Douglas Adams. Il film gioca tra i luoghi comuni tipici della commedia, della fantascienza e dei film d’azione, con guizzi di genialità: il parcheggiatore napoletano zombi (esilarante auto-citazione), gli incontentabili clienti con i volti dei Savastano (direttamente da Gomorra, un loro chiodo fisso), lo chef cino-napoletano, l’affettato alieno con sprazzi di dottor Stranamore e l’irresistibile cameo di Gigi D’Alessio, emissario extraterreste sulla terra (la risposta partenopea al Michael Jackson di Men in Black)…
AFMV è un film coraggioso, pensato in grande e realizzato in modo impeccabile dal punto di vista tecnico, che osa dove pochi in Italia si avventurano (forse solo i Manetti Bros.) e non delude le aspettative.

Addio fottuti musi verdi (Italia, 2017)
Regia di Francesco Capaldo.
Con Ciro Priello, Beatrice Arnera, Simone Ruzzo, Fabio Balsamo, Alfredo Felaco.
Durata 93 minuti

giovedì 9 novembre 2017

Prosecco e cemento

Uno strano suicidio seguito da due omicidi in un tranquillo paesino sui colli trevigiani coperti di vigneti: l’ispettore Stucky, fresco di nomina, indaga e s’imbatte nelle imprese criminali dei soliti potenti insospettabili e senza scrupoli.
Padovan gira un frizzante giallo ecologico immergendolo nel bucolico veneto dei colli del prosecco, un ambiente in bilico tra chi rispetta la terra e chi la distrugge perseguendo una falsa idea di sviluppo e progresso. Lo spaesato ispettore si trova catapultato in uno strano mondo fatto da pittoresche congreghe di viticoltori, puttane dal cuore tenero, giovani ereditiere, immigrati e matti del villaggio. Unico difetto del film è un certo buonismo di stampo televisivo e qualche personaggio un po’ troppo macchiettistico.
Il giallo, come spesso accade, è un pretesto per parlare di un tema sempre più attuale, soprattutto in una regione devastata dalle "fabbrichette" come il Veneto: quello della sostenibilità, del rispetto per l’ambiente in cui viviamo e dei limiti dello sfruttamento del territorio. Il film è un affettuoso ritratto di una terra splendida ma minacciata ogni giorno dalla stupidità e dalla cupidigia umane, rappresentate metaforicamente dalla “ruggine”, che diventa qualcosa di più minaccioso di una malattia della vite.
Sempre perfetto Giuseppe Battiston nei panni di Stucky, coadiuvato da un buon cast, nel quale spiccano il bravo Roberto Citran e il grande Rade Serbedzija, nel ruolo del carismatico Conte Desiderio Ancillotto. Adatto anche agli astemi.

Finché c'è prosecco c'è speranza (Italia, 2017)
Un film di Antonio Padovan. 
Con Giuseppe Battiston, Teco Celio, Liz Solari, Roberto Citran, Silvia D'Amico, Rade Serbedzija
Durata 101 minuti.

giovedì 2 novembre 2017

Cosmonauti allo sbaraglio


Nel 1985 la stazione spaziale sovietica Sojuz 7 va fuori controllo per un guasto e rischia di schiantarsi a terra. L’unico modo per salvarla è mandare qualcuno a ripararla, una missione che sembra impossibile. 
Partendo da un fatto realmente accaduto, e poco noto in occidente, il regista Klim Shipenko costruisce un film epico e coinvolgente, una sorta di risposta russa agli hollywoodiani Space Cowboys o Apollo 13. Romanzando con una certa libertà la vicenda, riesce a realizzare un godibile film con tutti gli ingredienti del genere, dalla cinica burocrazia militare all’eroico e insubordinato pilota, in un crescendo di prove da superare fino al liberatorio finale. Salyut-7 è ottimamente girato, supportato da spettacolari effetti speciali e sfoggia un cast dalle facce giuste. Bisogna dire che il film non è immune da una certa dose di propaganda, per come mette in scena gli eroici protagonisti, per come approfitta del clima da guerra fredda dell’epoca per aggiungere pepe alla storia e per come sorvola sulla lunga serie di fallimenti e incidenti occorsi alle missioni Sojuz. Il regista arriva a inserire una scena verso il finale – la cui veridicità è molto dubbia – in cui l’equipaggio dello space shuttle Challenger rende onore ai cosmonauti russi subito dopo che questi hanno salvato in extremis la loro stazione. Ma dopo aver visto tanti inverosimili filmoni patriottici americani questo piccolo scivolone è perdonabile. Il film avrà una distribuzione nei cinema italiani: consiglio di vederlo. 

Salyut-7 (Russia, 2017)
Un film di Klim Shipenko
Con Vladimir Vdovichenkov, Pavel Derevyanko, Igor Ugolnikov, Lyubov Aksyonova, Oksana Fandera, Mariya Mironova
Durata: 111 min. 

mercoledì 1 novembre 2017

Quel che resta di noi


In un futuro prossimo delle sofisticate intelligente artificiali (chiamate prime) faranno compagnia e aiuteranno anziani vedovi e ammalati grazie a convincenti ologrammi con sembianze di persone care defunte. Questo lo spunto fantascientifico di un film dalla struttura teatrale e dal respiro filosofico, che s’interroga sull’essenza dei ricordi e, di conseguenza, di cosa rimane di noi ad amici e parenti, dopo la nostra dipartita.
Marjorie (Lois Smith, già protagonista del dramma omonimo da cui il film è tratto) ha l’alzheimer e viene accudita dal prime con le sembianze di suo marito Walter da giovane, perché lei quello ricorda. Il prime registra tutte le informazioni che riceve sulla persona che riproduce in modo da rappresentarla in modo sempre più fedele e convincente. Ma, ovviamente, si tratta del ricordo di chi l’ha conosciuta, perciò spesso è un informazione parziale, molto soggettiva e a volte reticente.
Il film di Michael Almereyda affronta in maniera intelligente e profonda il tema del ricordo e del suo progressivo corrompersi e disfarsi, mettendo in dubbio tutte le nostre certezze su ciò che abbiamo vissuto e – in fondo – su chi siamo.
La bella villa sul mare di Marjorie, che divide con la figlia e il marito di lei, nel corso degli anni finirà per popolarsi di prime, questa sorta di fantasmi iperrealisti che altro non sono che la condensazione digitale dei ricordi lasciati dai morti, eredità in grado di sopravvivere in eterno, come suggerisce lo splendido e malinconico finale.

Marjorie Prime (USA, 2017)
Un film di Michael Almereyda.
con Jon Hamm, Geena Davis, Tim Robbins, Lois Smith, Stephanie Andujar, Leslie Lyles.
Durata 99 min.


domenica 22 ottobre 2017

A colpi di racchetta


Billie Jean King è una campionessa di tennis che nei primi anni Settanta si batte per la parità di compensi tra giocatori uomini e donne nei tornei. L’ex campione di tennis cinquantenne Bobby Riggs la sfida a batterlo in una partita che passerà alla storia.
La curiosa storia vera di questo evento viene narrata con tocco leggero dai registi Jonathan Dayton e Valerie Faris (marito e moglie), che ci portano negli anni dei primi movimenti di liberazione femminile e delle conseguenti paternalistiche e irridenti reazioni maschili.
Il film sceglie di concentrarsi più sull’evento sportivo che sugli aspetti sociali della lotta per i diritti delle donne. Dopo una partenza promettente, il film si limita a mettere in scena un clownesco Steve Carell (Bobby) mentre cerca di rinverdire i fasti di una carriera sportiva ormai finita e una mimetica Emma Stone (Billie Jean), divisa tra sacrosante battaglie civili, lo sport e una complessa vita sentimentale. Così le rivendicazioni femminili all’interno di un ambiente gretto e maschilista vengono presto lasciate presto per strada per seguire la vita privata di Billie Jean o i siparietti buffoneschi di Bobby. Senza grandi invenzioni di regia si arriva allo scontro finale, ma con la sensazione che forse molte cose più interessanti siano state lasciate fuori dal film.
Quest’ultima opera di Dayton e Faris – molto più incisivi nel loro film d’esordio, il delizioso Little Miss Sunshine – non osa mai troppo e scivola via senza infamia e senza lode.

La battaglia dei sessi (Battle of the Sexes, USA / Gran Bretagna, 2017)
Un film di Jonathan Dayton, Valerie Faris.
Con Emma Stone, Steve Carell, Andrea Riseborough, Sarah Silverman, Martha MacIsaac.
Durata 121 minuti.


martedì 17 ottobre 2017

Una biografia dipinta


Un anno dopo la morte di Vincent Van Gogh, Armand Roulin viene incaricato dal padre di consegnare a Theo Van Gogh una lettera da poco ritrovata del pittore. Questo lo spunto per raccontare gli ultimi anni di vita dell’artista, attraverso le testimonianze – spesso contraddittorie – delle persone che l’hanno conosciuto e che lui ha ritratto. Tale espediente narrativo, che sembra preso pari pari da Quarto potere di Orson Welles, permette di inserire il maggior numero possibile di ritratti nel film, grazie al fatto che Van Gogh ha usato come modelli molte delle persone che incontrò sul suo cammino, dal postino Roulin al dottor Gachet.
Ma il punto forte del film non è certo la trama, ma la sua tecnica. Infatti Loving Vincent anima letteralmente un'impressionante serie di capolavori ridipingendoli fotogramma per fotogramma. Centinaia di pittori hanno materialmente dipinto tutto il film a olio su tela, grazie anche al supporto di sofisticate tecniche digitali, ma sostanzialmente realizzando tutto il lavoro a mano. Questo permette di addentrarci nei più noti dipinti di Van Gogh, o di vedere i suoi ritratti più celebri prender vita e diventare protagonisti di un'indagine sulla sua morte. Il trucco non sempre funziona bene: è impressionante quando aderisce allo spazio pittorico piatto e deformato dell’artista, muovendo solo alcune parti del quadro, o quando la “macchina da presa” entra in un dipinto, un po’ meno quando propone scene di azione più complesse (avvalendosi della rodata tecnica del rotoscope che si basa su filmati di attori ridipinti) o nei flash back in bianco e nero (molto raffinati ma più vicini al cinema noir che alla pittura vangoghiana).
Nei momenti migliori sembra di essere davanti ad un quadro stregato: la pennellata e la matericità della pittura sono così fisiche che sembra quasi di sentire l’odore dell’olio di lino. Il film è il più grande, eccentrico ed affettuoso tributo all’opera di Van Gogh mai visto e una tangibile testimonianza del grande amore popolare di cui gode la sua arte oggi. Da vedere.

Loving Vincent (Gran Bretagna / Polonia, 2016)
Un film di Dorota Kobiela, Hugh Welchman.
Con Aidan Turner, Helen McCrory, Saoirse Ronan, Douglas Booth, Jerome Flynn.

domenica 15 ottobre 2017

Al ritmo del contagio


Nella Parigi all’inizio degli anni Novanta gli attivisti di Act up - Paris organizzano azioni clamorose per costringere le case farmaceutiche e il governo a essere più solerti nella lotta contro l’AIDS: i membri dell’associazione sono drammaticamente motivati, essendo quasi tutti o sieropositivi o già ammalati. Ispirato a storie vere, il film ha vinto il Gran Premio della Giuria a Cannes.
L'opera di Robin Campillo affronta il tema in modo distaccato e quasi documentaristico, raccontando tutti gli aspetti delle lotte di Act Up, anche quelli meno d’effetto come le interminabili riunioni preparatorie e le diatribe interne. Il film passa progressivamente dal pubblico al privato, dedicando la seconda parte alla storia d’amore di due attivisti, l’esuberante Sean e il tranquillo Nathan, tanto per mettere nella giusta prospettiva le battaglie di persone che lottano per la propria sopravvivenza nell’indifferenza delle istituzioni. Con stile asciutto e senza usare facili trucchetti lacrimevoli ci si addentra nel quotidiano inferno personale dei malati e – contemporaneamente – si mette in scena il lucido coraggio di persone comuni che lottano per la salvezza di una comunità colpevolmente ignorata e condannata.
In tempi di reflussi omofobi e bigotti, un film quanto mai necessario e sincero.

120 battiti al minuto (120 battements par minute, Francia, 2017)
Un film di Robin Campillo.
con Nahuel Pérez Biscayart, Arnaud Valois, Adèle Haenel, Antoine Reinartz, Félix Maritaud.
Durata 135 minuti.

venerdì 6 ottobre 2017

Gli androidi ricordano cavallini elettrici?


In una Los Angeles – se possibile – peggiore di quella lasciata nel film precedente, l’Agente K è un blade runner, un cacciatore di vecchi modelli di replicanti messi fuori legge. Lui stesso è un androide, ma di ultima generazione, e si trova coinvolto in un’indagine dagli esiti esplosivi per il precario equilibrio sociale di un mondo ormai al collasso. La sua ricerca della verità sarà anche un viaggio alla scoperta di se stesso, tra ricordi impiantati, sogni di umanità e il desiderio di trovare un padre.
Dare un seguito al film culto, praticamente perfetto, di Ridley Scott è un’impresa sconsiderata, ma così funziona il cinema oggi… Il vecchio Ridley, dopo aver riportato nelle sale il suo Alien, ci prova con uno dei film di fantascienza più influenti del secolo scorso, ma questa volta lascia il timone al "giovane" Dennis Villeneuve (Arrival).
Detto questo, il talentuoso regista canadese riesce a realizzare un film personale, cannibalizzando l’universo del capostipite e piegandolo alla sua visione, regalandoci una pellicola dai toni spettacolarmente crepuscolari, malinconici, a volte struggenti. L’agente K (nome kafkiano per il laconico protagonista) finisce in una storia più grande di lui e perde il suo smalto da soldatino perfetto per ritrovare – o illudersi di ritrovare – un scintillio di umanità. In perfetto stile dickiano, realtà e illusione si confondono. Così, impeccabili donne virtuali si fondono con donne reali per amoreggiare con androidi che pensano di essere umani. Il ricordo impiantato di un cavallino nascosto da bambino, porta il cacciatore di replicanti, che non è stato mai bambino, a ritrovare il suo giocattolo perduto. Un creatore cieco che vuole salvare l’umanità, crede al miracolo di una concezione impossibile: un figlio nato da replicanti, l’uomo nuovo. E infine c’è Deckart, il vecchio blade runner, nascosto per trent’anni in una spettrale Las Vegas, in compagnia di un cane e dell’ologramma di Elvis, motore nascosto della trama del film e pedina, a sua volta, del gioco degli dei.
Magnificamente fotografato dal grande Roger Deakins, Blade Runner 2049, è un film lento e avvolgente, intriso di una decadente tristezza, in un mondo di macchine terribilmente consapevoli di sé e di un’umanità irrimediabilmente perduta. Chi ha amato il primo, non lo disdegnerà.

Blade Runner 2049 (USA, 2017)
Regia di Denis Villeneuve.
Con Ryan Gosling, Harrison Ford, Ana de Armas, Sylvia Hoeks, Robin Wright, Dave Bautista, Jared Leto
Durata 152 min.

martedì 26 settembre 2017

Le colorate avventure di Valérian


Una coppia di agenti speciali, gentili alieni scampati alla distruzione del loro pianeta, un comandante che tenta di celare il suo crimine di guerra, una gigantesca stazione spaziale sono al centro di una folle scorribanda – scritta e diretta da Luc Besson – ispirata ad un fumetto francese degli anni Sessanta.
L’esile trama sembra solo un pretesto per una interminabile serie di avventure girate con un ritmo forsennato in un universo pop ultra colorato e pieno di invenzioni divertenti, a partire dalla sequenza dei titoli di testa. La sfrenata fantasia che pervade il film trova il suo perfetto compimento nel design di mondi e di alieni (qua e là in stile Moebius come nel Quinto elemento), supportati da effetti speciali impeccabili. C’è un certo spirito bambinesco e un ottimismo che profuma di anni Sessanta in questa pellicola, che manca in altre opere simili di questi anni (l’unica che mi viene in mente è I guardiani della galassia), che dà un tono leggero e scanzonato alla narrazione, nonostante non manchino i momenti drammatici. La coppia Valérian e Laureline è incarnata da due volti giovani e freschi, che hanno trovato il giusto registro per le loro schermaglie amorose (in stile Leila e Ian Solo) e colmano lo scarso spessore psicologico dei loro personaggi.
Valérian e la Città dei Mille Pianeti non sarà un capolavoro ma è un simpatico film di intrattenimento puro e una meraviglia per gli occhi.

Valérian e la Città dei Mille Pianeti (Valérian and the City of a Thousand Planets, Francia 2017)
Regia di Luc Besson.
Con Dane DeHaan, Cara Delevingne, Clive Owen, Rihanna, Ethan Hawke, Herbie Hancock.
Durata 140 minuti.

giovedì 7 settembre 2017

L'apoteosi della trappola


Dunkerque, Francia, 1940. L’esercito inglese e francese sono intrappolati sulla spiaggia della località balneare dalle armate di Hitler. Quattrocentomila uomini – sotto il fuoco del nemico – che hanno come unica via di fuga il mare. Un'improbabile flotta di imbarcazioni da diporto li trarrà rocambolescamente in salvo.
Nolan prende spunto da un noto episodio della Seconda Guerra (una sorta di Caporetto inglese) per costruire un film di guerra potente e minimale, epico e asettico – non si vede una goccia di sangue, intrecciando tre semplici trame e momenti temporali. Con il suo consueto talento per un montaggio temporale non lineare, scompone e ricompone i tre fili narrativi in un flusso coinvolgente e senza tregua. Tutta la vicenda viene narrata catapultando lo spettatore in mezzo agli eventi, con pochi dialoghi, lasciando parlare le immagini.
Dunkirk è un’enorme trappola e il regista ribadisce varie volte il concetto, intrappolando i protragonisti in un’interminabile sequenza di luoghi claustrofobici, reali o mentali: dentro un cacciatorpendiniere che affonda, dentro un peschereccio in balia della marea e dei cecchini, nell’abitacolo di uno Spitfire abbattuto, su un affollato molo esposto agli attacchi aerei, nel terrore di un soldato scampato al naufragio…
Girato in modo elegante e impeccabile, come gli arabeschi disegnati in cielo dai duelli aerei, il film è sostenuto in modo importante dalla colonna sonora minimal-ossessiva del poderoso Hans Zimmer, abituale collaboratore di Nolan.

Dunkirk (USA, Gran Bretagna, Francia, 2017)
Un film di Christopher Nolan
Con Fionn Whitehead, Tom Glynn-Carney, Jack Lowden, Harry Styles, Aneurin Barnard, Kenneth Branagh, Cillian Murphy, Mark Rylance, Tom Hardy
Durata 106 minuti.

mercoledì 15 marzo 2017

Donne che contano


Storia vera di Katherine Johnson, Dorothy Vaughn e Mary Jackson, tre scienziate afro-americane impiegate alla NASA durante la corsa nello spazio negli anni Sessanta, che hanno contribuito al successo delle missioni spaziali con i loro formidabili talenti nel campo della matematica e della fisica.
La forza de Il diritto di contare sta nella straordinaria storia che riesce a narrare in modo coinvolgente, grazie ad un'ottima sceneggiatura e un cast notevole.
Katherine, donna nera vedova con figli in uno Stato segregazionista, è una vera eroina che deve combattere in ogni attimo della vita. I risultati che ottiene affermandosi in un ambiente razzista e sessista sono forse più importanti del successo di una missione nello spazio. Il parallelo tra i primi famosi astronauti e la dura e anonima vita di Katherine e delle sue colleghe sono l'aspetto più interessante del film, che riesce a mantenere sempre un tono frizzante e positivo.
Kevin Costner (e chi altri se no) ha la scena migliore e la battuta più memorabile: dopo aver divelto l'insegna per i bagni per soli neri se ne va sentenziando "Qui alla NASA facciamo tutti la pipì dello stesso colore."
Ignorato dagli Oscar – inflazionati quest'anno da storie di afro-americani – il film va assolutamente recuperato per lo stile elegante e la sua piacevole fattura.

Il diritto di contare (Hidden Figures, USA, 2017)
Un film di Theodore Melfi.
Con Taraji P. Henson, Octavia Spencer, Janelle Monáe, Kevin Costner, Kirsten Dunst, Jim Parsons, Mahershala Ali.
Durata: 127 min.

martedì 14 marzo 2017

Il più grande mercato dei Balcani


Trieste, Yugoslavia
ci riporta indietro alla Trieste dei jeansinari, vetrina sul capitalismo occidentale per le genti della Jugoslavia di Tito, ai decenni in cui il mercato di Ponterosso (e il Borgo Teresiano) venivano presi d'assalto dai folcloristici compratori d'oltreconfine.
Il documentario si avvale di interviste a commercianti, giornalisti e fotografi locali che ricostruiscono il clima degli anni in cui a Ponterosso la lingua franca era il serbo-croato, quando a Trieste il sabato arrivavano cinquecento pullman da tutta la Jugoslavia e la città era invasa da decine di migliaia di compratori. Il film poi oltrepassa il confine per raccontare il punto di vista degli ex-jugoslavi, completando il quadro di questo fenomeno epocale, con analisi storiche e testimonianze di intellettuali, storici, artisti e vip balcanici come Goran Bregović e Rade Šerbedžija, ma anche doganieri, autisti e semplici compratori. Ne esce un affresco a volte nostalgico, spesso divertente, di un mondo scomparso improvvisamente con l'implosione (e la successiva guerra) jugoslava, che si avvale di affascinati immagini e riprese d'epoca. Resta la triste sensazione di un'occasione persa dalla città per essere più accogliente e veramente cosmopolita. Il documentario sceglie di non affrontare l'aspetto politico della faccenda, come il noto sentimento anti-slavo presente in città (ne accenna solo una testimonianza nel film), che spiega l'assenza di qualsiasi forma di accoglienza o servizi per questo enorme flusso di turisti commerciali susseguitosi per ben tre decenni.
Trieste, Yugoslavia è un importante e preziosa testimonianza storica di un passato recente, ignoto ai più giovani e – molto probabilmente – al resto d'Italia. Il documentario è stato accolto calorosamente dal pubblico triestino durante tutte le sue affollate proiezioni. Da non perdere!


Trieste, Yugoslavia  (Italia, 2017)
Un film di Alessio Bozzer.
Durata 62 min.

domenica 26 febbraio 2017

La versione di Jackie


Pochi giorni dopo l'assassinio del marito a Dallas, Jackie Kennedy concede un'intervista esclusiva ad un giornalista di Life per dire la sua sull'eredità politica e storica del marito e raccontare il suo punto di vista sulla sua tragica scomparsa.
Di film sui Kennedy e soci se ne sono fatti a decine, perciò non è facile trovare spunti nuovi. Jackie non è un classico biopic hollywoodiano, visto che – nonostante il titolo – non narra la vita di Jacqueline Kennedy. Che non si tratti del solito polpettone più o meno agiografico forse era da aspettarselo, visto che è prodotto da un regista eccentrico come Darren Aronofsky e diretto da un outsider come il cileno Pablo Larrain.
La trama indaga i giorni successivi all'assassinio e, a sprazzi, i due anni di permanenza della coppia alla Casa Bianca (soprattutto attraverso gli spezzoni di un documentario televisivo). La scelta dello sceneggiatore e del regista è quella di raccontare la Jacqueline più intima e meno scontata, con una certa asciuttezza e distanza. Ne risulta il ritratto di una donna con molte facce, apparentemente in contraddizione tra loro: forte e vulnerabile, ingenua e manipolatrice, ma che comprende sempre molto bene qual è il suo posto nella Storia. Mentre Jackie racconta la sua versione (piena di omissioni e bugie), il film ci narra una storia leggermente diversa di quello che è accaduto dietro le quinte. Natalie Portman dà corpo a questo ingombrante personaggio in modo convincente, giocando sulle sfumature e senza cercare la mimesi con l'originale. Il film non concede grandi emozioni o colpi di scena ed è tutto sulle spalle della Portman, giustamente candidata all'Oscar per questo ruolo.

Jackie (USA / Cile, 2016)
Un film di Pablo Larrain.
Con Natalie Portman, Peter Sarsgaard, Greta Gerwig, Billy Crudup, John Hurt.
Durata 91 min.

giovedì 23 febbraio 2017

La guerra di Desmond


Hacksaw Ridge narra la storia vera di Desmond Doss, soldato volontario nella Seconda Guerra Mondiale, obiettore di coscienza, insignito dalla Medaglia d'onore del Congresso per aver salvato 75 commilitoni sul campo di battaglia a Okinawa.
Mel Gibson, con il suo gusto epico e la regia muscolare, confeziona un filmone dall'impianto tradizionale su un personaggio un po' sempliciotto ma dall'etica incrollabile, con una fede granitica nel Signore, ad un pelo dalla follia. La battaglia con l'ottuso sistema militare, che non comprende la sua volontà di servire il Paese senza imbracciare un fucile e lo vuole riformare per infermità mentale, assume i toni di una gara a chi è più de coccio. Dopo un addestramento duro – con un sergente in stile Full Metal Jacket – durante il quale tutti lo trattano da vigliacco (quando non lo menano), Desmond arriva sul fronte come infermiere e da solo salva la vita a decine di compagni, diventando un eroe.
Diviso grosso modo in due parti (caratterizzate da diversi toni cromatici – vividi e saturi nella prima, tetri e cupi nella seconda), con una messa in scena accurata ma un po' datata, il film è coinvolgente, nonostante certi colpi di teatro un po' forzati. Le scene di battaglia – punto forte della pellicola – sono piene delle efferatezze a cui Gibson ci ha abituato, con un sadica attenzione per i particolari più raccapriccianti: la guerra è sangue, sudore, morte e con tante viscere sparse in giro. Ma colpisce di più il racconto di babbo Doss (Hugo Weaving) sulla Prima Guerra che tante scene splatter della battaglia. A parte questo, Gibson è bravissimo a muovere la macchina da presa nell'azione, portandoci in modo crudo e assai poco retorico, al centro della carneficina.
Andrew Garfield è bravo, ma troppo spesso la sua espressione un po' ebete lo porta ad un pelo da Forrest Gump, nuocendo alla complessità del suo personaggio.
Hacksaw Ridge è un film d'altri tempi, godibile ma imperfetto, e forse 6 candidature agli Oscar sono un po' troppe.

La battaglia di Hacksaw Ridge (Hacksaw Ridge, Australia / USA, 2016)
Un film di Mel Gibson.
Con Andrew Garfield, Teresa Palmer, Hugo Weaving, Rachel Griffiths, Luke Bracey, Vince Vaughn, Sam Worthington.
Durata 131 minuti.

martedì 21 febbraio 2017

Ragazzo al chiaro di luna


Storia di Chiron, che cresce con la madre tossica in un quartiere malfamato di Miami, narrata in tre capitoli (infanzia, adolescenza, età adulta). Il film parla d'identità, di ricerca di sé e anche della scoperta e dell'accettazione della propria omosessualità, in un ambiente violento e omofobo, e lo fa in modo molto elegante e delicato.
Moonlight è un film dalla trama quasi minimale ma dalla forte carica emotiva.
Il taciturno protagonista è ben interpretato da tre di attori molto bravi e convincenti, affiancati da un ottimo cast, tra cui si distinguono Naomie Harris, nell'ingrato ruolo della madre snaturata, e Mahershala Ali, in quello dello spacciatore affettuosamente paterno, entrambi candidati agli Oscar.
Ottima anche la fotografia di James Laxton, che mette in scena una Miami dalla luce abbacinante ma dimessa e poco turistica. La macchina da presa sta addosso agli attori, o ci volteggia nervosamente attorno, sottolineando i momenti più drammatici della storia.
Tratto da una pièce teatrale (come si intuisce dalla divisione in tre atti e per alcune scene madri), il film tocca il tema della scoperta dell'omosessualità scansando gli stereotipi, adottando invece una certa sofferta leggerezza.

Moonlight (USA, 2016)
Un film di Barry Jenkins. 
Con Alex R. Hibbert, Ashton Sanders, Trevante Rhodes, Mahershala Ali, Naomie Harris. 
Durata 110 minuti. 

mercoledì 1 febbraio 2017

Canta che ti passa


Lui incontra lei, si detestano, si innamorano, si lasciano e poi…
Lui è Sebastian (Ryan Gosling), un pianista jazz imbronciato e un po' rompipalle, lei Mia (Emma Stone), una cameriera carina ma non troppo, aspirante attrice-drammaturga. Entrambi seguono le loro ambizioni artistiche in un mondo competitivo e senza pietà. Ma realizzare i propri sogni ha un costo.
La La Land  è uno strano ibrido tra una moderna commedia sentimentale e un classico musical dell'epoca d'oro. L'ambientazione contemporanea e un certo tono realistico si fondono con gli strepitosi numeri cantati e ballati su accattivanti musiche retrò. Bastano dei vestiti sgargianti o un tramonto in technicolor per passare da un mondo all’altro, grazie ad un’attenta messa in scena e ad una curatissima fotografia.
Questo film è una curiosa chimera che risucchia lo spettatore in un mondo fantastico d'altri tempi, come fosse un antidoto ai tempi cupi di un'America che pare scivolare nel fascismo giorno dopo giorno.
Girato con grande sfoggio di virtuosismo, nel formato cinemascope dei grandi musical classici, si apre con uno stupefacente piano sequenza di grande complessità, che mette in scena con millimetrica precisione e grande senso del ritmo, un incredibile numero di ballo sulle highway di Los Angeles.
Vista la trama piuttosto scontata (fondata sui più triti stereotipi hollywoodiani), il vero gioiello del film è la coinvolgente colonna sonora e i numeri musicali, sostenuti da due protagonisti affiatati e convincenti. Si esce dalla sala fischiettando i temi del film e con una leggera malinconia.

La La Land (USA, 2016)
Regia di Damien Chazelle
Con Ryan Gosling, Emma Stone, J. K. Simmons, Finn Wittrock, Sandra Rosko, Sonoya Mizuno
Durata 126 min.

venerdì 20 gennaio 2017

Una donna ci salverà



Dodici astronavi aliene arrivano in vari luoghi sulla Terra. Cosa vorranno da noi? Vengono in pace o è un’invasione? Scienziati di tutto il mondo cercano di comunicare con gli extraterrestri, ma solo la linguista Louise Banks riuscirà a risolvere l’enigma della loro venuta.
Arrival è fantascienza umanista, più vicina al genere di Contact o Incontri ravvicinati che a Indipendence Day, per capirsi.
Il film è girato in tono dimesso, con poca luce, sotto cieli plumbei, stanze in penombra e con protagonista una donna triste e sola, una famosa linguista che ha perso la giovane figlia (o così sembra), interpretata da una convincente Amy Adams. Sarà lei che riuscirà a trovare un canale di comunicazione con gli occupanti di una delle imponenti astronavi-monolito (dal design minimale, tra Apple e monumento del neolitico), decifrando le eleganti pennellate circolari con cui si esprimono gli alieni.
Arrival cerca di affrontare il tema dell’incontro con intelligenze extraterrestri in modo originale e realistico, pur cadendo in alcuni stereotipi del genere (l’esercito idiota, l’umanità bestiale) e usando degli espedienti cervellotici e poco credibili. Resta comunque il coraggio di affrontare temi come la percezione del tempo, il senso del linguaggio, la capacità di comprendere l’incomprensibile. Il film unisce l’epica di un momento epocale per la storia dell’umanità al dolore intimo di una perdita, storia universale e personale, intrecciandole in una lenta affascinante spirale.
Sempre in bilico tra la voglia di mostrare e quella di suggerire, tra l’astrazione filosofica kubrickiana e il realismo di un documentario, Arrival funziona di più per i concetti che propone che per la costruzione astutamente ingannevole della trama. Ne risulta un misterioso oggetto di fantascienza, malinconico ma con una punta di speranza per noi insensati esseri umani: una donna triste ci salverà.

Arrival (Usa, 2016)
Un film di Denis Villeneuve.
Con Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg, Tzi Ma.
Durata 116 min.