sabato 19 febbraio 2011

Non è un paese per ragazzine



Una ragazzina tosta e determinata assolda un vecchio sceriffo guercio e ubriacone per catturare l'assassino di suo padre. Si unisce a loro un Texas ranger. Giustizia sarà fatta.
I fratelli Coen scelgono un vecchio romanzo (già portato sullo schermo con successo nel 1969 con John Wayne protagonista) per la loro personale incursione nel western. Se la trama resta simile, svolgimento e atmosfere sono ben diverse. La vicenda è narrata in prima persona dalla giovane Mattie Ross, adolescente grintosa e impavida, ancor più dell'appesantito sceriffo alcolista Reuben J. Cogburn (uno strabordante Jeff Bridges) e dello sputasentenze texano La Boeuf, interpretato da un irriconoscibile Matt Damon. Donna giovane in un mondo di uomini duri e violenti dovrà mettercela tutta per avere il loro rispetto e lo conquisterà sul campo. La quasi esordiente Hailee Steinfeld (proprio come il suo personaggio) tiene testa alle star del film e si porta a casa una meritata nomination agli Oscar (e ci fa anche dimenticare che forse è troppo carina per quel ruolo).
L'impianto del film è piuttosto tradizionale, da western mainstream direi, ma senza fronzoli o edulcorazioni. Anzi, le atmosfere sono brutalmente realistiche. È un West freddo, spoglio, slavato, dove né gli uomini né la natura regalano nulla, un paese senza veri eroi, perché chi oggi è sceriffo ieri magari era un bandito. Ma al momento giusto gli uomini veri sanno cosa fare. Il finale struggente – e dolorosamente lucido – regala al film il gusto dolce amaro della vita vera.
Le uniche concessioni al cinema più originale dei Coen sono l'incipit e la splendida – quasi allucinata – cavalcata notturna nel pre-finale. Per il resto tutto scorre come in un film d'altri tempi, ma con un sapore diverso, più aspro.
Non sorprende perciò che Il Grinta sia stato un successone in patria, il maggior incasso di sempre dei fratelli Coen e il miglior incasso di un western degli ultimi dieci anni – per non parlare delle dieci nomination agli Oscar.
Onore a John Wayne ma anche questo Grinta lebowskiano non è niente male. Da vedere.

True Grit (USA, 2010)
Un film di Ethan Coen, Joel Coen.
Con Jeff Bridges, Matt Damon, Josh Brolin, Hailee Steinfeld, Barry Pepper
Durata 110 min.

domenica 13 febbraio 2011

Fiabesque



Riecco la fiaba della giovane campagnola povera e orfana, ma con un gran talento, che va nella Grande Città in cerca di fortuna. Come finisce? La troverà.
Trama quasi confortante nella sua prevedibilità: ma trattandosi di un film musicale serve solo a pretesto per le varie esibizioni canore e coreografiche. Il film è cucito addosso a Christina Aguilera e - ovviamente - alla rediviva Cher, inquietantemente con la stessa faccia negli ultimi vent'anni (complimenti al chirurgo!). Diciamo che non è un capolavoro, anche se ben sopra la media di film simili, grazie ad un cast di livello e battute frizzanti. Ha ritmo, è colorato e con una colonna sonora adeguata (il brano "You Haven’t Seen The Last Of Me" nell'intensa interpretazione di Cher è stato pure premiato con un Golden Globe*). Ma gli estenuanti virtuosismi della Aguilera alla lunga annoiano e costumi e scene spesso ricordano un po' troppo Moulin Rouge. E poi perché chiamano Stanley Tucci a fare sempre il gay simpatico a spalla della diva di turno? E perché non c'è un cattivo decente? Forse ci sarebbe voluto un po' più di coraggio, perché alla fine sembra un lungo videoclip della Aguilera o un mega spot di audace intimo femminile. È evidente che è un film per un pubblico ben preciso, innanzi tutto femminile e gay: i maschi trascinati dalle loro compagne (è il mio caso) non sapranno apprezzarlo fino in fondo. La prossima settimana ricambio il favore con Il Grinta!

Burlesque (Australia, 2010)
Un film di Steve Antin.
Con Cher, Christina Aguilera, Eric Dane, Cam Gigandet, Julianne Hough, Stanley Tucci
Durata 116 min.

* Ma è circola la notizia che la Sony (produttrice del film) abbia comprato i membri della giuria per aggiudicarsi nomination e premio. Leggi di più

domenica 6 febbraio 2011

La parola ritrovata



Inghilterra, anni Trenta. Dopo l'abdicazione di Edoardo VIII (che rinuncia al trono per sposare con grande scandalo Wallis Simpson, donna divorziata americana), sale al trono il fratello Albert con il nome di Giorgio VI. C'è solo un problema: è affetto da una balbuzie nervosa che gli impedisce di parlare in pubblico. Le cose si complicano quando l'Inghilterra scende in guerra contro il Terzo Reich, che ha un'oratore da brivido come Herr Hitler. Sua Maestà verrà aiutato da Lionel Logue, un anti-convenzionale logopedista australiano.
Il film sembra proprio una macchina da Oscar™: una piccola grande storia (vera), una sceneggiatura millimetrica, un'ambientazione curata e una manciata di attori strepitosi. Tutto si gioca sull'incontro-scontro tra due caratteri diversi, per stato sociale e indole, il complessato re suo malgrado e l'anticonformista e istrionico "uomo comune" che lo curerà. Perfettamente calati nei due ruoli Colin Firth – in una delle sue migliori interpretazioni di sempre - e Geoffrey Rush. L'origine della balbuzie ha radici nell'infanzia e nella mortificante educazione di corte che su Albert sembra aver avuto lo stesso effetto dei traumi di guerra sui reduci della Prima Guerra Mondiale, curati in Australia da Logue. Scardinate le convenzioni sociali e abbattuto il muro di solitudine che sembra imprigionare il sovrano, l'abile australiano riuscirà ad arrivare all'animo dell'umanissimo re, aiutandolo a sconfiggere il nemico più grande: la paura.
Il regista scommette di catturare il pubblico con un film biografico dall'impianto tradizionale, incentrato sulla parola e la sua assenza. Ed esso cresce sequenza dopo sequenza, deflagrando trionfalmente alla fine in un epico discorso radiofonico – una delle cose meno cinematografiche che si possano immaginare – vincendo alla grande la sfida.
Quasi a fare da contraltare ad una struttura narrativa piuttosto convenzionale, c'è uno stile visivo di grande impatto, con un bel uso di grandangoli e di inquadrature fortemente scorciate (con la macchina da presa seppellita nel pavimento stile Orson Welles in Quarto potere) e l'obiettivo spesso addosso agli attori. Insomma un film perfetto, anche troppo, e questo è l'unico difetto. Certo, 12 candidature agli Oscar™ forse sono troppe, ma un paio sono sicuramente meritate. Ad una settimana dall'uscita la sala era ancora incredibilmente gremita: è scattato il passaparola e questo vuol dire pur qualcosa. Forse può sembrare un film per signore, ma lo consiglio a tutti.

The King's Speech (Gran Bretagna, Australia, 2010)
Un film di Tom Hooper.
Con Colin Firth, Geoffrey Rush, Helena Bonham Carter, Guy Pearce, Jennifer Ehle.
Durata 111 min.