sabato 29 giugno 2013

Palle d'acciaio

Kal-El neonato viene spedito sulla Terra da Russel Crowe prima che Krypton si disintegri. Finirà in Kansas allevato da Kevin Kostner, crescendo come un disadattato a causa dei suoi inusitati poteri. Un viaggio verso i ghiacci del nord gli farà scoprire la sua vera natura e capirà qual è la sua missione. L'arrivo di alcuni kryptoniani criminali lo metterà  a dura prova.
Lasciando da parte ogni polemica sul dilagare di remake e reboot a Hollywood (l'ultimo Superman è del 2006), mi concentrerei sull'estetica della meraviglia portata all'eccesso, presente in questo film, ma anche in molte pellicole degli ultimi tempi (vedi l'ultimo Star Trek). Un'estetica possibile e sostenuta dal reparto effetti speciali, che ormai possono tutto. Perciò sono un'arma micidiale in mano a registi dal polso debole o dal dubbio talento. Sulla carta L'uomo d'acciaio era un progetto interessante: soggetto e sceneggiatura dei creatori della più recente saga di Batman (Goyer e Nolan), con una riscrittura più attuale e adulta di Superman (nome che viene pronunciato solo una volta in tutto il film), un regista dalla produzione altalenante ma con qualche film interessante al suo attivo. Il risultato è piuttosto deludente. Il film inizia con un lungo prologo su Krypton, con un'ambientazione un po' alla Avatar e un po' retrò (astronavi organiche, visori in 3D metallico, bestie volanti, costumi medioevali) per continuare sulla Terra con il viaggio di Clark Kent per scoprire se stesso. Questa parte del film è quella migliore, costruita con flashback sulla difficile infanzia a Smallville, dove il protagonista fa i conti con la sua diversità, si confronta con gli amorevoli genitori adottivi e incontra la giornalista Lois Lane. Poi arrivano i cattivi, capitanati da un ossessivo e spiritato Michael Shannon, e il film diventa un'interminabile, noiosa sequela di scontri e distruzioni catastrofiche, senza un minimo di spirito epico o senso della misura. Un vandalismo digitale ipertrofico e imbarazzante che affossa il film, facendo dimenticare i pochi pregi della riscrittura di questo personaggio, come la rilettura cristiana della sua venuta sulla Terra, il rapporto con i due padri e il cammino che egli intraprende per la salvezza del mondo. Occasione sprecata.

L'uomo d'acciaio (Man of Steel, USA/Canada/Gran Bretagna, 2013)
Un film di Zack Snyder.
Con Henry Cavill, Amy Adams, Michael Shannon, Kevin Costner, Diane Lane, Russel Crowe
Durata 143 min.

lunedì 24 giugno 2013

Salti nel buio

Dove si può mandare un vulcaniano? Dentro un vulcano, ovviamente. J.J. Abrams e i suoi simpatici sceneggiatori stanno ancora ridendo della trovata… ma questo è solo il prologo.
La flotta stellare è sotto attacco. La minaccia contro cui si trovano a lottare il capitano Kirk e il suo equipaggio è più insidiosa del solito, perché arriva dal lato oscuro dell'animo umano, sempre pronto ad una nuova guerra. Il tema, interessante e fecondo di sviluppi interessanti, viene svolto nel consueto modo esagerato, continuando la linea dettata dal primo episodio. Perciò super cattivi, super effetti e disastri uno via l'altro. Ci vuole ben più che la sospensione dell'incredulità per assistere a questo film, per altro confezionato benissimo e con gran profusione di dollari. Con la regia turbo di Abrams non ci si annoia mai, ma forse un po' meno roba da disintegrare e qualche battuta in più a Spock non guastava. Sto diventando vecchio? Può essere. Però, pur con tutta la sua spettacolarità esagerata, il primo episodio conteneva elementi di trama più interessanti e originali, che qui vengono sacrificati nella interminabile baraonda di scene d'azione ben oltre i confini della verosimiglianza. Dai creatori delle trame cervellotiche di Lost e Fringe mi aspettavo qualche guizzo d'intelligenza in più.
Zachary Quinto è un impeccabile Spock, perfetto quando mantiene la sua comica imperturbabilità, un po' meno quando si arrabbia. Il cattivo di turno è l'ottimo Benedict Cumberbatch, purtroppo usato al di sotto delle sue capacità, mentre il redivivo Peter Weller è l'ambiguo e pericoloso ammiraglio Marcus.
Colpone di scena nel pre-finale ma con soluzione telefonata (anzi teletrasportata). Classico pop-corn a cui si assiste tra il divertito e lo stordito. Astenersi amanti film lenti e contemplativi.

Star Trek Into Darkness
(USA, 2012)
Un film di J.J. Abrams.
Con John Cho, Benedict Cumberbatch, Alice Eve, Bruce Greenwood, Simon Pegg, Chris Pine, Zoe Saldana, Zachary Quinto, Karl Urban, Peter Weller, Anton Yelchin.
Durata 132 min.

mercoledì 5 giugno 2013

Il grande nulla


Jep Gambardella (Toni Servillo), autore di un unico romanzo in gioventù, divenuto giornalista e re della mondanità romana, spende la sua vita tra party caciaroni, happening artistici, funerali e matrimoni, attraversando come un sonnambulo una Roma di dolente bellezza. Indossando una maschera di amara disillusione, incontra nel suo vagare nani e ballerine, artisti cialtroni e stripteuse attempate, cardinali mondani e sante mummificate, in un girovagare che, come i trenini che ama fare nelle sue feste, non porta da nessuna parte.
La grande bellezza è un film ondivago, come il suo protagonista, e senza una vera trama, un elemento che interessa poco al regista (e che era già stato in gran parte sacrificato nel precedente This must be the place). Unico filo che lega episodi e personaggi è lo sguardo del protagonista e il suo monologo interiore. Ne esce un film affastellato di roba, roba di buona qualità, ma che nell'insieme sembra ammassata un po' a caso, anche se così non è. Nel film ci sono spunti e idee per una decina di film, personaggi appena abbozzati che meriterebbero una pellicola tutta per loro (ad esempio Ramona, egregiamente interpretata da Sabrina Ferilli), brillanti grezzi che intravediamo in una miniera senza fine, dove viaggiamo su un trenino senza freni. Il film è un ritratto – forse un po' troppo estetizzante – dell'Italia in putrefazione di oggi, almeno di certa Italia, quella che balla mentre la nave affonda. Non è un caso che in una scena appaia il relitto della Costa Concordia, elegantemente reclinata nell'azzurro del mare, bella ma morta.
La grande bellezza è un film sul nulla e forse per questo sembra così inconsistente (è indicativo di un intento progettuale del regista che il protagonista ricordi come Flaubert progettasse un romanzo sul nulla). Ma a ben vedere mena fendenti a destra e a manca. Ce n'è per tutti: artisti velleitari, finti intellettuali che "grondano impegno sociale", cardinali senza fede ma con molte ricette, dive della tv sfatte, nobili a noleggio. Grande assente solo il mondo della politica, ma c'è tutta la società che ha creato e sostenuto quel mondo.
Un film dunque solo apparentemente irrisolto, che invece è ricco di spunti di riflessione, di personaggi affascinanti e facce giuste, girato con il consueto virtuosismo in una Roma di abbagliante bellezza, pieno di momenti di poesia senza essere stucchevole, spruzzato di surrealismo senza diventare felliniano (l'ombra de La dolce vita aleggia lieve). Un film da guardare con gli occhi bene aperti.

La grande bellezza (Italia / Francia, 2013)
Un film di Paolo Sorrentino. 
Con Toni Servillo, Carlo Verdone, Carlo Buccirosso, Sabrina Ferilli, Pamela Villoresi.
Durata 150 min.