sabato 21 novembre 2009

Il mondo capovolto


Questa volta parlo di un film che non troverete nelle sale. E' un film da festival, recuperato al Miela all'interno della rassegna "Nollywood - I migliori film pop africani", organizzata nell'ambito di "S/Paesati".
E' un film di fantascienza "sociopolitica" che arriva dall'Africa.
Il suo grande pregio è affrontare il tema dell'immigrazione con un'idea semplice quanto efficace: rovesciando i ruoli. In "Africa Paradis" s'immagina il continente africano unificato e prospero, meta di milioni di migranti disperati in fuga da un'Europa devastata dalla guerra e dalla depressione economica. Mettendo in bocca al politico africano nazionalista le frasi del Bossi di turno, diventa evidente il razzismo insito in certi discorsi. Scegliendo di mostrare le disavventure di una giovane coppia di clandestini parigini (bianchi come noi), rende ben chiare le ingiustizie che subisce chi fugge dal suo Paese in cerca di sopravvivenza. Per questa sua valenza didattica il film andrebbe proiettato nelle scuole e nelle sedi della Lega Nord. Peccato che questo sia il suo unico pregio. Girato in economia (in Senegal), patisce una messa in scena povera, una trama prevedibile in alcuni suoi sviluppi, uno stile televisivo e un montaggio un po' raffazzonato. Forse questo soggetto – così originale e di attualità – meritava di essere svolto con mezzi economici e artistici più adeguati.
L'attore parigino di origine congolese Eriq Ebouaney , unica "star" del film, interpreta efficacemente il politicante razzista, un perfetto ruolo da "villain" che gli si addice. Il regista Sylvestre Amoussou, nonché sceneggiatore e attore (è il politico progressista Koudossou) vive in Francia da vent'anni e questo è il suo primo lungometraggio. "Africa Paradis" è stato premiato al 27° Festival del Cinema Africano di Verona nel 2007.

Africa Paradis
(Benin/Francia, 2007)
di Sylvestre Amoussou,
Con Stéphane Roux, Eriq Ebouaney , Sylvestre Amoussou, Charlotte Vermeil , Sandrine Bulteau
Durata: 86 min.

domenica 15 novembre 2009

Il senso di Pedro per il cinema


Almodóvar o il piacere di fare cinema. Di cosa parla "Gli abbracci spezzati"? A prima vista sembra un melodramma pieno di personaggi reticenti, doppie identità, tradimenti, segreti e amori tormentati: un regista cieco, un finanziere ricco e potente, una donna contesa sono il nucleo di un film pieno di false piste e (apparenti) divagazioni narrative. Ma alla fine si comprende che sono solo pretesti per fare del cinema. Infatti appare chiaro che tutta la trama ruota attorno all'ultimo film girato dal regista Mateo Blanco, prima dell'incidente che lo renderà cieco. E' una commedia con protagonista Lena (una folgorante Penelope Cruz), donna di Ernesto Martel (il possessivo finanziere produttore del film) e amante del regista. Tutti i misteri che scopriamo un po' alla volta riguardano queste riprese sino al tragico epilogo. Perché Lena muore due volte, prima nell'incidente stradale che rende cieco il regista, e poi come attrice nel film, massacrato al montaggio da Martel, folle di gelosia.
Ma finire un film sembra la cosa più importante. Lena arriva quasi al martirio pur di terminare le riprese. Judit, la direttrice di produzione che tradisce il regista permettendo lo scempio della pellicola, vivrà per il resto della sua vita questa colpa peggio di un delitto. Perché il film è più importante della vita stessa. E come dice Mateo Blanco nell'ultima battuta: "Un film va sempre finito, magari alla cieca"
Meno stravagante del solito, o meglio, più maturo, Almodóvar firma un film personalissimo, con attori perfetti, una messa in scena come sempre molto curata e mai scontata (occhio ai quadri sparsi nel film), e una serie di sequenze memorabili (splendida quella di apertura e da manuale quella in cui ci mostra come nasce il soggetto per un film sui vampiri!). Un atto d'amore verso l'arte di narrare con le immagini.

Los Abrazos Rotos (Spagna, 2009)
Un film di Pedro Almodóvar.
Con Penelope Cruz, Lluís Homar, Blanca Portillo, José Luis Gómez, Rubén Ochandiano
Durata 129 min.

giovedì 12 novembre 2009

Un belato vi seppelirà


Scordatevi "Three Kings" , forse il più riuscito film sulla Guerra del Golfo, con il quale l'unico punto di contatto è il buon George Clooney. Qui siamo nell'Iraq del 2003, ma il bersaglio della raffinata satira – in salsa zen – del film non è tanto la guerra e l'idiozia insita negli eserciti, quanto certe cialtronate new age tanto di moda in America. L'idea geniale è quella di mescolare il rude training militare con tali cialtronate. Le gag sono fulminanti e si ride spesso, ma la satira forse non graffia come dovrebbe. La guerra non si vede, a parte uno scontro tra milizie private, ed è la stoccata migliore all'insensata avventura irakena di Bush Jr.
Nel film si narra di un battaglione di super soldati (i Cavalieri Jedi!) dai poteri paranormali in grado di leggere il pensiero, passare attraverso i muri, localizzare persone e altre amenità simili. Almeno questo è ciò che racconta Lyn Cassady (George Clooney) all'attonito giornalista Bob Wilton (Ewan McGregor) in cerca dello scoop della sua vita. E' talmente improbabile che potrebbe essere vero. O almeno che qualcuno nell'esercito USA ci abbia pensato veramente.
Ma l'utopia di un esercito "hippy" (creato da un veterano del Viet-Nam, uno strepitoso Jeff Bridges) che prevenga le guerre finisce presto in vacca... anzi in capra. Infatti l'inutile morte dell'animale, per dimostrare i poteri mentali dei super soldati, porta gli "Jedi" al lato oscuro della forza.
E forse il film parla proprio di questo: la perdita dell'innocenza e delle energie positive dell'America e il suo passaggio al lato oscuro. Alla fine c'è una voglia di riscatto, una volontà di guardare ad un futuro migliore.
Clooney è a suo agio nel ruolo dello scombiccherato super soldato, Jeff Bridges è più sballato del grande Lebowsky, Kevin Spacey carogna come da copione, Ewan McGregor è il ragazzo biondo che sta su un pianeta deserto, ignorando il destino che lo attende... o questo era un altro film?

The Men Who Stare At Goats (USA, GB, 2009)
Un film di Grant Heslov.
Con George Clooney, Ewan McGregor, Jeff Bridges, Kevin Spacey, Stephen Lang.
Durata 93 min.

martedì 10 novembre 2009

Dillinger è morto



Ultimo anno di vita, rapine e amore di John Dillinger, gangster gentiluomo. Michael Mann gira in digitale, braccando i suoi personaggi con la macchina a mano, portando lo spettatore dentro l'azione, immergendolo in violente sparatorie – e nessuno meglio di lui sa girare bene una sparatoria – in un America disperata dalle scenografie hopperiane. Certamente fa strano vedere gli anni Trenta con questo stile visivo, che a volte sembra un reportage tv.
La lotta tra banditi feroci e polizia brutale è senza quartiere. Ma gli americani stanno con Dillinger, spietato con le banche ma generoso con la gente tra cui si nasconde. Più che al Bureau of Investigation (la futura FBI), dell'ambizioso e diabolico J. Edgar Hoover, il film suggerisce che è anche alla mala organizzata che si deve la cattura di Dillinger, scaricato dal "sindacato" perché diventato scomodo con le sue azioni ribalde.
Interessante la fotografia "naturale" di Dante Spinotti, ricercata e "sporca", come ben si vede nei notturni mai stati così "veri". John Depp recita più trattenuto del suo solito, Christian Bale è preciso come sempre (ma com'è serio 'sto ragazzo, vorrei vederlo sorridere in un film almeno un po'), Marion Cotillard dà vita ad una pupa del gangster dolce e forte, sognatrice e disillusa.

Public Enemies (USA, 2009)
Un film di Michael Mann
Con Johnny Depp, Christian Bale, Marion Cotillard, Billy Crudup, Stephen Dorff, Stephen Lang, Channing Tatum, Leelee Sobieski, Emilie de Ravin, Giovanni Ribisi, David Wenham, Rory Cochrane, Lili Taylor, Carey Mulligan, John Ortiz, James Russo, Christian Stolte, Jason Clarke, John Judd, Michael Vieau, Wesley Walker, Branka Katic.
Durata: 143 min.

giovedì 5 novembre 2009

Tristi mostri



Max è un bambino trascurato dalla madre divorziata e dalla sorella ormai più interessata ai compagni di classe, reagisce in modo rabbioso e "selvaggio". Dopo l'ultimo scontro con la madre, scappa di casa, ruba una barchetta e approda su un isola abitata da grosse creature pelose dall'aria triste e dal comportamento infantile. Qui Max darà sfogo alla sua natura selvaggia insieme ai suoi nuovi amici.
Spike Jonze passa con grande naturalezza dalla cornice reale al nucleo fantastico. L'isola che accoglie Max sembra il prodotto della sua mente immaginifica, ma ci appare piuttosto deprimente: un paesaggio ostile, con coste rocciose e taglienti, boschi invernali, aridi deserti e su tutto aleggia un clima cupo e freddo. Anche Carol, la creatura selvaggia con cui fa amicizia, pare proprio una sua proiezione, vista l'incapacità di stabilire una relazione con chi ama.
Film curioso, che parla della creatura selvaggia che da bambino ognuno di noi è stato. Per una buona metà della durata mette coraggiosamente in scena i giochi insensati e pieni di fantasia dei bambini, ma che gli adulti potrebbero trovare alla lunga noiosi.
Interessante il design delle creature – pupazzi giganti figli dei muppet, ma con visi espressivi grazie alla computer grafica – e bella colonna sonora. Un film molto particolare, delicato, poetico, originale ma forse non per tutti. Accostarsi con cautela.

Where the Wild Things Are (USA, 2009)
Un film di Spike Jonze. Con Max Records, Catherine Keener, Mark Ruffalo, Lauren Ambrose, Chris Cooper,
James Gandolfini, Catherine O'Hara, Forest Whitaker, Paul Dano, Michael Berry Jr, Robby D. Bruce, Steve Mouzakis, Tom Noonan, Alice Parkinson
Durata 101 min.